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THE GREAT VORTEX EXODUS | AI DREAMS IN THE GREAT PACIFIC GARBAGE PATCH

 

La mostra mette in scena una diversa idea di progetto di architettura che, come prodotto, si ridefinisce artefatto esperienziale atto a sollevare questioni piuttosto che soluzioni e, come processo, sequenza ribaltata rispetto al tradizionale modo di procedere.

THE GREAT VORTEX EXODUS | AI DREAMS IN THE GREAT PACIFIC GARBAGE PATCH

 

La mostra mette in scena una diversa idea di progetto di architettura che, come prodotto, si ridefinisce artefatto esperienziale atto a sollevare questioni piuttosto che soluzioni e, come processo, sequenza ribaltata rispetto al tradizionale modo di procedere.

Progetto RIVA

Sinestesie

 

a cura di Valentina Gensini

opere di Marcela Castañeda Florian, Chiara Gasbarro, Veronica Greco, Elisa Pietracito, Irene Scartoni, Giacomo Donati e Yun Zhang

 

Il Progetto RIVA, diretto da Valentina Gensini, propone un’indagine critica ed interdisciplinare che valorizza il terzo paesaggio in area urbana; la rigogliosa vegetazione nata spontaneamente intorno al fiume rappresenta infatti una straordinaria risorsa di biodiversità e di paesaggio non antropizzato, costituendo un vero e proprio parco nel cuore della città. Attraverso la partecipazione di artisti, curatori, scienziati, biologi e architetti, italiani e stranieri, il progetto ha prodotto originali ritratti visivi e sonori del parco fluviale e della sua memoria, promuovendo nuove visioni del fiume e delle sue sponde, accompagnati da workshop, incontri, residenze d’artista.

Progetto RIVA

Sinestesie

 

a cura di Valentina Gensini

opere di Marcela Castañeda Florian, Chiara Gasbarro, Veronica Greco, Elisa Pietracito, Irene Scartoni, Giacomo Donati e Yun Zhang

 

Il Progetto RIVA, diretto da Valentina Gensini, propone un’indagine critica ed interdisciplinare che valorizza il terzo paesaggio in area urbana; la rigogliosa vegetazione nata spontaneamente intorno al fiume rappresenta infatti una straordinaria risorsa di biodiversità e di paesaggio non antropizzato, costituendo un vero e proprio parco nel cuore della città. Attraverso la partecipazione di artisti, curatori, scienziati, biologi e architetti, italiani e stranieri, il progetto ha prodotto originali ritratti visivi e sonori del parco fluviale e della sua memoria, promuovendo nuove visioni del fiume e delle sue sponde, accompagnati da workshop, incontri, residenze d’artista.

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Sentiero del Teatro accanto alla follia

Giuliano Scabia e Franco Basaglia 

a cura di Andrea Mancini

 

Intitolato Sentiero del Teatro accanto alla follia e presentato nel centenario dalla nascita di Franco Basaglia, il progetto esplora la collaborazione tra il grande psichiatra e Giuliano Scabia, iniziata nel 1971 con il laboratorio teatrale “Quattordici azioni per quattordici giorni”, realizzato a Sissa, vicino a Parma, dove Giuliano era stato invitato per un’azione teatrale. Fu durante quell’intervento che conobbe Franco Basaglia, allora direttore dell’ospedale psichiatrico di Colorno (Parma), che alla fine dell’anno dopo (Natale 1972) – trasferitosi  a Trieste – avrebbe invitato Scabia e altri artisti a “Fare quello che volete”, dentro al Laboratorio P, un reparto dismesso dell’ospedale di Trieste. Quel primo progetto artistico, culminato nell’iconica creazione del simbolico Marco Cavallo, anticipò in maniera si

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Sentiero del Teatro accanto alla follia

Giuliano Scabia e Franco Basaglia 

a cura di Andrea Mancini

 

Intitolato Sentiero del Teatro accanto alla follia e presentato nel centenario dalla nascita di Franco Basaglia, il progetto esplora la collaborazione tra il grande psichiatra e Giuliano Scabia, iniziata nel 1971 con il laboratorio teatrale “Quattordici azioni per quattordici giorni”, realizzato a Sissa, vicino a Parma, dove Giuliano era stato invitato per un’azione teatrale. Fu durante quell’intervento che conobbe Franco Basaglia, allora direttore dell’ospedale psichiatrico di Colorno (Parma), che alla fine dell’anno dopo (Natale 1972) – trasferitosi  a Trieste – avrebbe invitato Scabia e altri artisti a “Fare quello che volete”, dentro al Laboratorio P, un reparto dismesso dell’ospedale di Trieste. Quel primo progetto artistico, culminato nell’iconica creazione del simbolico Marco Cavallo, anticipò in maniera significativa la Legge Basaglia, che ha rivoluzionato la cura della malattia mentale.

Come affermato dal curatore, Sentiero del Teatro accanto alla follia era già un progetto di Giuliano Scabia, accompagnato da almeno uno dei Quaderni del Teatro Vagante, redatti come approfondimento del suo lavoro, testimoniati in due pubblicazioni e una mostra. Il primo dei due libri testimonia uno straordinario repertorio di immagini – in parte presenti anche nella mostra – che documentano giorno per giorno l’impegno di Scabia, Vittorio Basaglia e tanti altri nel Laboratorio P, ospitato in un reparto dismesso dell’Ospedale psichiatrico di Trieste, diretto da Franco Basaglia; l’altro è invece un libro di materiali, inediti o rari, che racconta l’eccezionale viaggio di Scabia a fianco della malattia mentale, con una serie di spunti critici, confessioni, incertezze, scarti e euforie, che narrano, meglio di altre fonti, la natura di questo cammino. Una natura a volte incerta, non sempre strategicamente orientata, anche se c’è forte la presenza di Marco Cavallo e quella del Drago Blu, personaggi magici atti a risolvere ogni problema si ponga davanti all’eroe.

La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Giuliano Scabia e curata da Andrea Mancini, presenta materiali dal Laboratorio P di Trieste, tra cui disegni, sculture, fotografie e filmati storici. Tra le opere più significative si ricordano il Paradiso terrestre, la Signorina Rosina, e il Drago Blu di Montelupo. La documentazione celebra anche la chiusura di altri manicomi tra cui, nel 1998, San Salvi, vivacemente presente nella memoria della nostra comunità, allora festeggiato nella Veglia di Marco Cavallo a San Salvi.

 

L’inaugurazione avrà luogo giovedì 29 agosto alle ore 17:00.

Seguirà la spettacolo teatrale Quelli di Basaglia… A 180 gradi dell’Accademia della Follia – Claudio Misculin di Trieste.

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Welcome to Barerarerungar

curated by Valentina Gensini and Renata Summo O'Connell

Welcome to Barerarerungar

Maree Clarke

12 apr – 28 lug 2024

a cura di Valentina Gensini e Renata Summo O’Connell

 

Inaugurazione venerdì 12 aprile
ore 17:00 Museo di Antropologia e Etnologia
ore 18:00 MAD Murate Art District

 

Maree Clarke, discendente dei Mutti Mutti, Yorta Yorta, Wamba Wamba e Boon Wurrung, è un’artista indigena australiana che, celebrando la continuità con la sua cultura e la sua storia, apre spazi artistici innovativi tra riappropriazione del patrimonio culturale nativo e sensibilità ecologica. Con il suo progetto espositivo dal titolo Welcome to Barerarerungar, prima monografica in una istituzione pubblica europea, l’artista presenta opere site-specific realizzate nel corso della residenza presso MAD, opere magistrali nel suo percorso e installazioni sulle facciate delle antiche carceri del Complesso delle Murate, avviando una conversazione con la storia coloniale europea attraverso un’imponente opera che abita il cuore d



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Welcome to Barerarerungar

Maree Clarke

12 apr – 28 lug 2024

a cura di Valentina Gensini e Renata Summo O’Connell

 

Inaugurazione venerdì 12 aprile
ore 17:00 Museo di Antropologia e Etnologia
ore 18:00 MAD Murate Art District

 

Maree Clarke, discendente dei Mutti Mutti, Yorta Yorta, Wamba Wamba e Boon Wurrung, è un’artista indigena australiana che, celebrando la continuità con la sua cultura e la sua storia, apre spazi artistici innovativi tra riappropriazione del patrimonio culturale nativo e sensibilità ecologica. Con il suo progetto espositivo dal titolo Welcome to Barerarerungar, prima monografica in una istituzione pubblica europea, l’artista presenta opere site-specific realizzate nel corso della residenza presso MAD, opere magistrali nel suo percorso e installazioni sulle facciate delle antiche carceri del Complesso delle Murate, avviando una conversazione con la storia coloniale europea attraverso un’imponente opera che abita il cuore del Museo Antropologico.

Le installazioni esposte presso MAD Murate Art District attivano un dialogo con la cittadinanza e il fiume mentre le opere in mostra al Museo di Antropologia e Etnologia ci osservano dal museo stesso come per riappropriarsi della storia dell’Oceania, rappresentata dai preziosi reperti custoditi dall’Istituzione museale.

Il lavoro multimediale di Maree Clarke esprime in modo innovativo il profondo desiderio dell’artista di riconnettersi alle pratiche perdute delle popolazioni indigene del sud-est australiano. L’approccio proposto genera uno spazio aperto alla condivisione della sua pratica artistica, secondo una collaborazione intergenerazionale volta a riattivare una conoscenza culturale partecipata.

La produzione dell’artista a Firenze è iniziata lungo l’Arno, con la realizzazione di collane di canne fluviali, simbolo di passaggio sicuro e amicizia nella tradizione indigena australiana, e infatti indossate come protezione nei viaggi tribali. In questo senso la loro presenza nell’esposizione fiorentina acquisisce un significato simbolico. Il recupero di tale pratica ancestrale, in cui le canne sono tinteggiate e intrecciate con piume, collega il fiume Arno e la sua città a una cultura lontana, attraversando epoche ed emisferi, in un atto generoso di benvenuto.

In questo modo, ancora una volta, l’arte di Maree Clarke riesce a onorare temi dolorosi come la terra perduta, le pratiche culturali e i linguaggi scomparsi, aprendo contemporaneamente il suo ricco mondo al pubblico, in un invito gentile volto a imparare, comprendere e rispettare le tradizioni della cultura antichissima dei popoli nativi australiani.

L’artista, premiata nel 2023 da Creative Victoria, Australian Centre for Contemporary Art (ACCA) e TarraWarra Museum of Art con il prestigioso Yalingwa Fellowship, rappresenta oggi un punto di riferimento nella cultura contemporanea australiana, contemperando linguaggi visivi molto attuali con il prezioso recupero di tradizioni e memorie ancestrali.

La mostra, curata da Valentina Gensini e Renata Summo O’Connell, è organizzata da Mus.e nell’ambito del Progetto RIVA e del Progetto Fuori Sede, in occasione del centenario dell’Ateneo fiorentino, ed è realizzata con il contributo dell’Università di Firenze e della Fondazione CR Firenze, con il patrocinio del Comune di Firenze e di Rai Toscana, con la media partnership de La Nazione e di Rai Cultura e la collaborazione di Artegiro e Vivien Anderson Gallery.

 

 

Per maggiori informazioni
055 2476873
info.mad@musefirenze.it

Welcome to Barerarerungar

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INGRATE ETS PRESENTA

LA GRANDE OCCASIONE

audio/video, 18 minuti circa

 

Mercoledì 21 marzo ore 17:30

 

 

Questa Partitura audiovideo per un’opera futura prende le mosse dagli studi intorno alla morte alla coscienza e al fine vita indagati durante il primo corso di specializzazione postuniversitario multidisciplinare dell’Università di Pisa relativo a questi temi. Il lavoro rappresenta, quindi, una sintesi aperta, artistica e transdisciplinare degli insegnamenti del percorso di studio, e vuole essere al contempo una traccia/partitura per un lavoro di teatro musicale e un primo spunto di riflessione e ispirazione per nuovi percorsi di cura e di ampliamento epistemologico e spirituale sul tema della morte.

Il cortometraggio audio-video, in cui immagini testi e musica si integrano in un racconto dalla narrativa espansa, include alcune scene (le “sepolture”) dalla performance Dreams About Dying presentata nel 2023 da Marta Capaccioli e Lucrezia Palandri: una tessitu

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INGRATE ETS PRESENTA

LA GRANDE OCCASIONE

audio/video, 18 minuti circa

 

Mercoledì 21 marzo ore 17:30

 

 

Questa Partitura audiovideo per un’opera futura prende le mosse dagli studi intorno alla morte alla coscienza e al fine vita indagati durante il primo corso di specializzazione postuniversitario multidisciplinare dell’Università di Pisa relativo a questi temi. Il lavoro rappresenta, quindi, una sintesi aperta, artistica e transdisciplinare degli insegnamenti del percorso di studio, e vuole essere al contempo una traccia/partitura per un lavoro di teatro musicale e un primo spunto di riflessione e ispirazione per nuovi percorsi di cura e di ampliamento epistemologico e spirituale sul tema della morte.

Il cortometraggio audio-video, in cui immagini testi e musica si integrano in un racconto dalla narrativa espansa, include alcune scene (le “sepolture”) dalla performance Dreams About Dying presentata nel 2023 da Marta Capaccioli e Lucrezia Palandri: una tessitura gestuale incarnata, reinterpretata e ricomposta per La grande occasione.

“La grande occasione” nella cultura tibetana è la morte, considerata non come una fine ma come un passaggio, un trasferimento verso livelli di coscienza sconosciuti ed espansi, verso una dimensione completa ed ineffabile di cui la vita è semplice preparazione. Tuttavia, al di là del rimosso progressivamente operato dalla società occidentale, che vede il suo apice nel ventesimo secolo (il secolo breve, ma anche il secolo del sé, citando rispettivamente Eric Hobsbawm e Alan Curtis), dove la morte è assimilata principalmente alla malattia, al dolore, alla violenza e alla mancanza, nel nuovo millennio gli studi sulla coscienza da un punto di vista fisico, filosofico, sociale e spirituale stanno operando una rivoluzione profonda e carsica, ancora non assimilata dal mainstream e dagli approcci riduzionisti (e tanto meno dai sistemi politici), che ci conduce a riconsiderare l’umanità, la vita e la morte in una possibile relazione ampliata, rivista e corretta con la natura e il trascendente, oltre il logos e fuori dal sé.

Questo lavoro di INGRATE ETS propone un dialogo e tenta di aprire un piccolo varco critico e poetico in questa direzione.

 

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Stephan Zimmerli. Studiolo dell’esilio

a cura di Valentina Gensini 

 

Inaugurazione 16 maggio 2024 ore 17.30

 

Giovedì 16 maggio 2024 inaugura l’installazione di Stephan Zimmerli, vincitore del bando per residenze d’artista 2024, dedicata alla memoria collettiva di migranti, esiliati e viaggiatori

 

Studiolo dell’esilio è il progetto che l’artista visivo Stephan Zimmerli ha sviluppato durante la sua residenza presso MAD Murate Art District. Dedicato alla memoria collettiva dei cittadini arrivati a Firenze a causa di migrazioni, esili, trasferimenti volontari o ineludibili, il progetto raccoglie i ricordi che alcuni cittadini del mondo, partecipanti al progetto, hanno voluto condividere con l’artista. Questi racconti, materializzati nei disegni dell’artista, restituiscono una collezione di memorie, materiche e organiche, che vengono riunite all’interno di un’architettura effimera costruita nella sala Laura Orvieto di MAD Murate Art Distric

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Stephan Zimmerli. Studiolo dell’esilio

a cura di Valentina Gensini 

 

Inaugurazione 16 maggio 2024 ore 17.30

 

Giovedì 16 maggio 2024 inaugura l’installazione di Stephan Zimmerli, vincitore del bando per residenze d’artista 2024, dedicata alla memoria collettiva di migranti, esiliati e viaggiatori

 

Studiolo dell’esilio è il progetto che l’artista visivo Stephan Zimmerli ha sviluppato durante la sua residenza presso MAD Murate Art District. Dedicato alla memoria collettiva dei cittadini arrivati a Firenze a causa di migrazioni, esili, trasferimenti volontari o ineludibili, il progetto raccoglie i ricordi che alcuni cittadini del mondo, partecipanti al progetto, hanno voluto condividere con l’artista. Questi racconti, materializzati nei disegni dell’artista, restituiscono una collezione di memorie, materiche e organiche, che vengono riunite all’interno di un’architettura effimera costruita nella sala Laura Orvieto di MAD Murate Art District.

 

Una scenografia in legno – analoga a quella di uno studiolo rinascimentale – in cui ornamenti e decorazioni corrispondono alla manifestazione di un mondo invisibile, uno spazio mentale costituito da parole e ricordi, tradotti in immagini e rivitalizzati dal segno grafico dell’artista.

 

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Repose and Resist

15 feb – 30 mar 2024

a cura di BHMF

 

Repose and Resist è una mostra collettiva a cura di Black History Month Florence che esamina i concetti di riposo e guarigione in relazione alla produzione culturale afro discendente. Le opere degli artisti internazionali – Raziel Perin, Nari Ward, Eve Tagny, Anike Joyce Sadiq, Bradly Dever Treadaway, Sikelela Owen – esplorano la cura del corpo e dello spirito come gesto di riconoscimento della fatica e dell’esaurimento che fanno parte della vita di coloro che operano nel settore culturale, dove la divisione tra vita professionale e personale è quasi inesistente. I gesti scultorei, pittorici o espressi in video installazioni, intesi come forme di cura collettiva, abitano gli spazi di MAD Murate Art District, in dialogo con la sua storia di spiritualità e reclusione. Dalle opere emergono pratiche volte alla rigenerazione di energie, simili al riposo della terra tra una stagione di semina e l’a

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Repose and Resist

15 feb – 30 mar 2024

a cura di BHMF

 

Repose and Resist è una mostra collettiva a cura di Black History Month Florence che esamina i concetti di riposo e guarigione in relazione alla produzione culturale afro discendente. Le opere degli artisti internazionali – Raziel Perin, Nari Ward, Eve Tagny, Anike Joyce Sadiq, Bradly Dever Treadaway, Sikelela Owen – esplorano la cura del corpo e dello spirito come gesto di riconoscimento della fatica e dell’esaurimento che fanno parte della vita di coloro che operano nel settore culturale, dove la divisione tra vita professionale e personale è quasi inesistente. I gesti scultorei, pittorici o espressi in video installazioni, intesi come forme di cura collettiva, abitano gli spazi di MAD Murate Art District, in dialogo con la sua storia di spiritualità e reclusione. Dalle opere emergono pratiche volte alla rigenerazione di energie, simili al riposo della terra tra una stagione di semina e l’altra.

 

L’esposizione riunisce un gruppo di artisti internazionali ed è arricchita da un film documentario realizzato da Bradly Dever Treadaway in relazione a un ritiro, dal quale la mostra prende il nome, tenutosi a Giverny, in Francia, in seguito a una collaborazione tra The Recovery Plan e la Terra Foundation for American Art.

La condivisione delle metodologie di Recovery Plan fornisce lo sfondo per una meditazione stratificata sul riposo e la tranquillità in relazione alla resistenza: un invito allo spettatore a rallentare, a riposare e a riconoscere i bisogni del corpo e dello spirito. La mostra è accompagnata da un programma pubblico di conferenze, performance e workshop.

 

L’inaugurazione avrà luogo giovedì 15 febbraio alle ore 18:00.

 

Per maggiori informazioni:
055 2476873
info.mad@musefirenze.it

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Agorà

SADI

Installazione sonora site-specific permanente, Carcere duro

 

Agorà è un progetto di installazione sonora site-specific per il Carcere duro, realizzato in collaborazione con BHMF Black History Month Florence, e curato da Veronica Caciolli e Valentina Gensini. Il progetto è il vincitore a pari merito del bando per residenze d’artista di MAD Murate Art District nell’ottobre 2023 ed è un’opera del sound artist SADI di Firenze.

L’installazione Agorà rappresenta il risultato di una ricerca intensiva durata quattro mesi sulle memorie dei detenuti del carcere duro delle Murate. La ricerca ha coinvolto testimonianze orali di collaboratori come Valeria Muledda e Corrado Marcetti, nonché documenti provenienti dall’Archivio di Stato di Firenze, dall’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, da Villa Romana, e da ricercatori come Pamela Giorgi ed Elena Gonnelli, oltre a risorse conservate da MAD.

Focalizza

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Agorà

SADI

Installazione sonora site-specific permanente, Carcere duro

 

Agorà è un progetto di installazione sonora site-specific per il Carcere duro, realizzato in collaborazione con BHMF Black History Month Florence, e curato da Veronica Caciolli e Valentina Gensini. Il progetto è il vincitore a pari merito del bando per residenze d’artista di MAD Murate Art District nell’ottobre 2023 ed è un’opera del sound artist SADI di Firenze.

L’installazione Agorà rappresenta il risultato di una ricerca intensiva durata quattro mesi sulle memorie dei detenuti del carcere duro delle Murate. La ricerca ha coinvolto testimonianze orali di collaboratori come Valeria Muledda e Corrado Marcetti, nonché documenti provenienti dall’Archivio di Stato di Firenze, dall’Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea, da Villa Romana, e da ricercatori come Pamela Giorgi ed Elena Gonnelli, oltre a risorse conservate da MAD.

Focalizzandosi su un periodo di circa sessant’anni, dagli anni Venti agli anni Settanta del Novecento, la ricerca ha evidenziato una vasta gamma di figure antifasciste, tra cui Gaetano Salvemini, Hans Purrmann, Aldo Capitini, Carlo Levi e Alessandro Sinigaglia. Agorà intende far risuonare le idee, gli orientamenti e le lotte di queste figure, rappresentanti di una variegata minoranza resistente e dissidente, che hanno contribuito a plasmare la nostra comprensione del mondo.

Il carcere, originariamente uno spazio di negazione, è trasformato in un’Agorà, richiamando l’antica polis greca come luogo di democrazia, incontri religiosi, politici, commerciali e sociali. Questo progetto rappresenta una restituzione all’onore della libertà di pensiero, di genere, di origine e di religione, attraverso la celebrazione delle vite e delle idee di coloro che hanno resistito e dissentito in quegli anni cruciali della storia.

 

Il progetto è stato realizzato con il sostegno di Regione Toscana e Giovanisì e con il contributo di CR Firenze.

 

L’installazione è visibile al pubblico da giovedì 1 Febbraio 2024.

 

Per maggiori informazioni:
055 2476873
info.mad@musefirenze.it

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Presentazione "Drawing everyday. Diario visivo di Stefano Chiassai"

Giovedì 2 novembre

ore 17:30

Presentazione mostra e incontro con l’artista

 

In vista della chiusura della mostra Drawing everyday. Diario visivo di Stefano Chiassai l’artista presenta il progetto e incontra i visitatori.

La mostra, realizzata con la collaborazione di ADI Toscana e curata da Valentina Gensini, espone  le opere di Stefano Chiassai. Partendo dalla parola come elemento grafico queste mettono in scena geometrie, pattern, figure e parole. Le sale Laura Orvieto e Ketty La Rocca di MAD e il Semiottagono del Complesso delle Murate aprono le porte ad una selezione di disegni inediti realizzati dall’artista tra il 2022 e il 2023, accompagnati da alcuni arazzi inediti.

 

Ingresso libero.

 

Per maggiori informazioni
055 2476873
info.mad@musefirenze.it



Giovedì 2 novembre

ore 17:30

Presentazione mostra e incontro con l’artista

 

In vista della chiusura della mostra Drawing everyday. Diario visivo di Stefano Chiassai l’artista presenta il progetto e incontra i visitatori.

La mostra, realizzata con la collaborazione di ADI Toscana e curata da Valentina Gensini, espone  le opere di Stefano Chiassai. Partendo dalla parola come elemento grafico queste mettono in scena geometrie, pattern, figure e parole. Le sale Laura Orvieto e Ketty La Rocca di MAD e il Semiottagono del Complesso delle Murate aprono le porte ad una selezione di disegni inediti realizzati dall’artista tra il 2022 e il 2023, accompagnati da alcuni arazzi inediti.

 

Ingresso libero.

 

Per maggiori informazioni
055 2476873
info.mad@musefirenze.it

Presentazione "Drawing everyday. Diario visivo di Stefano Chiassai"

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Libertà Clandestine

di Mariana Ferratto

La personale dell’artista italo-argentina Mariana Ferratto, Libertà clandestine, curata da Valentina Gensini e organizzata da MUS.E, nasce da una collaborazione attiva con MAD Murate Art District.

 

Libertà clandestine è un progetto che affronta e racconta gli spazi di “libertà” e “creatività clandestina” che i prigionieri politici argentini hanno conquistato durante la dittatura argentina del 1976-83. La mostra espone opere che ruotano intorno a due progetti centrali dell’artista: Memoria de la materia, vincitore dell’Italian Council 2022, ambito premio per il sostegno alla ricerca internazionale di artisti, curatori e critici, e Affiorare, sviluppato durante la residenza che l’artista ha svolto presso Murate Art District a partire da gennaio 2023.

 

Durante la dittatura in Argentina, molti istituti penitenziari sottoposero i prigionieri politici ad un regime di isolamento e inattività come metodo di distruzione fisica e psicologica. In

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La personale dell’artista italo-argentina Mariana Ferratto, Libertà clandestine, curata da Valentina Gensini e organizzata da MUS.E, nasce da una collaborazione attiva con MAD Murate Art District.

 

Libertà clandestine è un progetto che affronta e racconta gli spazi di “libertà” e “creatività clandestina” che i prigionieri politici argentini hanno conquistato durante la dittatura argentina del 1976-83. La mostra espone opere che ruotano intorno a due progetti centrali dell’artista: Memoria de la materia, vincitore dell’Italian Council 2022, ambito premio per il sostegno alla ricerca internazionale di artisti, curatori e critici, e Affiorare, sviluppato durante la residenza che l’artista ha svolto presso Murate Art District a partire da gennaio 2023.

 

Durante la dittatura in Argentina, molti istituti penitenziari sottoposero i prigionieri politici ad un regime di isolamento e inattività come metodo di distruzione fisica e psicologica. In segno di resistenza si formarono piccoli gruppi che portarono avanti delle attività alle spalle delle guardie carcerarie. Le opere in mostra raccontano questa esperienza, del potere della creatività come spinta alla sopravvivenza.

 

Con delicatezza, i vari ambienti di MAD propongono storie di resilienza e di amicizia, pratiche di sopravvivenza intellettiva, di custodia della memoria, di coltivazione dell’affetto per i cari lontani, e per le nuove amicizie vicine.

 

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 7 gennaio 2024.

 

 

Per maggiori informazioni
055 2476873
info.mad@musefirenze.it

Libertà Clandestine

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Drawing Everyday

Diario visivo di Stefano Chiassai

La mostra Drawing Everyday. Diario visivo di Stefano Chiassai, curata da Valentina Gensini e organizzata da MUS.E, nasce dalla collaborazione con ADI Toscana e propone una selezione di disegni inediti realizzati dall’artista Stefano Chiassai tra il 2022 e il 2023, accompagnati da alcuni pezzi del biennio 2020-2021.

 

Disegni, tessuti, pregiati arazzi e oggetti di design mettono in scena parole, geometrie, pattern, figure, riattivando una memoria collettiva e condivisa che racchiude i principali avvenimenti dal 2021 al 2023 attraverso un progetto site specific di materiali inediti pensato e progettato appositamente per le sale Laura Orvieto, Ketty La Rocca di MAD e il Semiottagono del Complesso delle Murate.

Una suggestiva fusione di linguaggi rispondente all’eclettica creatività di Chiassai, che concretizza in un trionfo cromatico il dialogo tra il passato storico della città di Firenze, intensamente legato alla progettazione artistica di arazzi, e l’arte contemporanea

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La mostra Drawing Everyday. Diario visivo di Stefano Chiassai, curata da Valentina Gensini e organizzata da MUS.E, nasce dalla collaborazione con ADI Toscana e propone una selezione di disegni inediti realizzati dall’artista Stefano Chiassai tra il 2022 e il 2023, accompagnati da alcuni pezzi del biennio 2020-2021.

 

Disegni, tessuti, pregiati arazzi e oggetti di design mettono in scena parole, geometrie, pattern, figure, riattivando una memoria collettiva e condivisa che racchiude i principali avvenimenti dal 2021 al 2023 attraverso un progetto site specific di materiali inediti pensato e progettato appositamente per le sale Laura Orvieto, Ketty La Rocca di MAD e il Semiottagono del Complesso delle Murate.

Una suggestiva fusione di linguaggi rispondente all’eclettica creatività di Chiassai, che concretizza in un trionfo cromatico il dialogo tra il passato storico della città di Firenze, intensamente legato alla progettazione artistica di arazzi, e l’arte contemporanea.

Al centro del lavoro, la pratica quotidiana del disegno a pennarello che non ammette errori o revisioni, una disciplina sistematica ed un metodo di rielaborazione delle vicende globali, così come arrivano sulle nostre scrivanie e nelle nostre case attraverso la scrittura giornalistica dei quotidiani. Chiassai rielabora tutto con toni ironici dal sapore popolare, che traducono la percezione collettiva della storia presente.

 

L’esposizione inaugura giovedì 21 settembre alle ore 17:30.

 

 

Per maggiori informazioni
055 2476873
info.mad@musefirenze.it

 

Drawing Everyday

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Nel Segno della Libertà

"Occupo un piccolo spazio di mondo, ma non l'ho delimitato" (Altiero Spinelli)
a cura di 𝗗𝗶𝘀𝗽𝗼𝘀𝗶𝘁𝗶𝘃𝗶 𝗖𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝗰𝗮𝗻𝘁𝗶 e 𝗠𝗶𝗻𝗱 𝘁𝗵𝗲 𝗚𝗔𝗣

La mostra è dedicata alla libertà vista dal carcere e alla luce dell’arte. L’iniziativa nasce per dare voce attraverso l’arte ai sogni di giovani detenuti minorenni collegando i loro pensieri alle riflessioni sulla libertà e sulla dignità della pena dei padri fondatori dell’Europa, Altiero Spinelli in primis.

Il progetto artistico – che è già stato ospitato presso l’Istituto Centrale di Restauro di Roma – nasce dalle intenzioni dell’onorevole Silvia Costa, Commissario straordinario di Governo per il recupero dell’ex carcere borbonico sull’isola di Santo Stefano a Ventotene. Organizzato assieme ad alcuni degli Istituti di Cultura dei Paesi europei in Italia (EUNIC-Cluster Roma) quali il Centro Ceco, l’Istituto Bulgaro di Cultura, l’Istituto Polacco, l’Istituto Slovacco, l’Istituto Yunus Emre Centro Culturale Turco, la Rappresentanza Generale della Comunità fiamminga e della Regione delle Fiandre, ha ricevuto la collaborazione dell’Archivio storico de

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La mostra è dedicata alla libertà vista dal carcere e alla luce dell’arte. L’iniziativa nasce per dare voce attraverso l’arte ai sogni di giovani detenuti minorenni collegando i loro pensieri alle riflessioni sulla libertà e sulla dignità della pena dei padri fondatori dell’Europa, Altiero Spinelli in primis.

Il progetto artistico – che è già stato ospitato presso l’Istituto Centrale di Restauro di Roma – nasce dalle intenzioni dell’onorevole Silvia Costa, Commissario straordinario di Governo per il recupero dell’ex carcere borbonico sull’isola di Santo Stefano a Ventotene. Organizzato assieme ad alcuni degli Istituti di Cultura dei Paesi europei in Italia (EUNIC-Cluster Roma) quali il Centro Ceco, l’Istituto Bulgaro di Cultura, l’Istituto Polacco, l’Istituto Slovacco, l’Istituto Yunus Emre Centro Culturale Turco, la Rappresentanza Generale della Comunità fiamminga e della Regione delle Fiandre, ha ricevuto la collaborazione dell’Archivio storico dell’Unione Europea di Firenze e del Ministero della Giustizia e viene accolto da MAD Murate Art District, coinvolgendo giovani artisti e curatrici dell’Accademia di Belle Arti di Firenze.

L’eterogeneo percorso della mostra, curato nella sua sede fiorentina da Dispositivi Comunicanti e Mind the GAP, raccoglie le opere di Stefano Bellanova, Giorgia Errera, Sadra Ghahari, Weronika Guenther, Martin Jurik, Katerina Kuchtova, Federico Niccolai, Marianna Panagiotoudi, Karina Popova, Ilaria Restivo, Zoya Shokoohi, Maria Giovanna Sodero, Valerio Tirapani e Laura Zawada.

Gli artisti coinvolti, chiamati a partecipare dalle istituzioni promotrici, sono stati esortati a interpretare con le loro opere alcuni dei concetti a fondamento dell’Unione Europea: libertà, unità, memoria, comunità e parità. E proprio partendo dalla parola libertà sono stati evocati desideri, sogni e aspirazioni da parte di alcuni giovani reclusi nel Carcere minorile di Casal del Marmo a Roma coinvolti in un laboratorio di scrittura creativa dall’attore Salvatore Striano, realizzato in collaborazione con il Dipartimento della Giustizia minorile del Ministero della Giustizia. I testi prodotti sono stati poi affidati tramite gli Istituti di Cultura ai diplomandi delle Accademie di Belle Arti dei sei Paesi europei (Bulgaria, Repubblica Ceca, Fiandre, Polonia, Slovacchia, Turchia) che hanno realizzato, partendo dalla reinterpretazione, opere artistiche di grande valore, collegate tra loro da un elemento simbolico: la dimensione delle celle del carcere.

La scelta degli spazi del Complesso delle Murate per la tappa fiorentina di questo percorso non è casuale, ma deriva dall’importante storia di questo luogo. Dal 1424 al 1808 la struttura ha ospitato il Convento della Congregazione delle Suore Murate; tra il 1848 e il 1983 fu convertito in carcere maschile, con un’ala adibita a carcere duro nel periodo del Ventennio fascista, destinato a anarchici, socialisti ed antifascisti.  Tra i numerosi detenuti di alto profilo politico spiccano i nomi di Carlo Levi, Gaetano Salvemini, Nello Rosselli, Carlo Ludovico Ragghianti e Alcide De Gasperi; quest’ultimo, insieme ad Altiero Spinelli, tra i promotori dell’Unione Europea.

I progetti artistici contestualizzati nel carcere duro delle Murate esplorano il concetto di libertà all’interno della cella carceraria, si interrogano non solo sulla natura, ma anche sulla forma che questa può assumere quando è vissuta, desiderata o immaginata all’interno di un luogo di detenzione. Le opere, impiegando media diversi, spaziano dalla scultura alla performance, alla proiezione di un mondo virtuale, trasformando le celle in varchi verso realtà sconosciute, esperienze condivise e luoghi di memoria.

 

Per informazioni

055 2476873

info.mad@musefirenze.it

Nel Segno della Libertà

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Trying to Grow Wings

È una comunità che lotta, che spiega le ali per volare nonostante un presente difficile quella raccontata nelle opere di Ana Vujovic per MAD Murate Art District.

Inaugura  il 28 aprile “Trying to grow wings”, l’articolato  progetto dell’artista serba curato da Renata Summo O’Connell, Artegiro, commissionato e prodotto da MAD Murate Art District.

La mostra, che si sviluppa nei vari ambienti del complesso, dal portico esterno fino alle celle al primo piano, è il frutto di una lunga residenza negli spazi del centro di arte contemporanea, dove l’artista ha lavorato per oltre un mese ad un progetto interamente site-specific.

 

Partendo da una tradizione pre-slavica di tessituraantica arte femminileAna Vujovic ha a lungo investigato il rapporto tra tradizione, storia, questione di genere da un lato, e sul ruolo dell’errore, del glitch dall’altro, come scrive la storica dell’arte Sladjana Petrović Varagić a proposito del suo lavoro. Un lavoro di

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È una comunità che lotta, che spiega le ali per volare nonostante un presente difficile quella raccontata nelle opere di Ana Vujovic per MAD Murate Art District.

Inaugura  il 28 aprile “Trying to grow wings”, l’articolato  progetto dell’artista serba curato da Renata Summo O’Connell, Artegiro, commissionato e prodotto da MAD Murate Art District.

La mostra, che si sviluppa nei vari ambienti del complesso, dal portico esterno fino alle celle al primo piano, è il frutto di una lunga residenza negli spazi del centro di arte contemporanea, dove l’artista ha lavorato per oltre un mese ad un progetto interamente site-specific.

 

Partendo da una tradizione pre-slavica di tessituraantica arte femminileAna Vujovic ha a lungo investigato il rapporto tra tradizione, storia, questione di genere da un lato, e sul ruolo dell’errore, del glitch dall’altro, come scrive la storica dell’arte Sladjana Petrović Varagić a proposito del suo lavoro. Un lavoro di ricerca che, dalle tecniche tradizionali del suo paese d’origine approda oggi a Firenze, ibridando la pratica di quest’artista contemporanea con materie e simboli della lunga tradizione locale.

Attraverso il concetto di canone e del gesto di tessitura, già al centro della serie Kanonatra, l’artista si è calata nel contesto fiorentino scegliendo di utilizzare come materia prima sete e carte pregiate, grazie alla collaborazione di Antico Setificio Fiorentino e Rossi1931.

 

Il fil rouge che attraversa il corpus di opere create per la mostra è il simbolo dell’uccello, che l’artista ha individuato sia nel pattern del tessuto rinascimentale “Uccellini” sia in alcune carte tradizionali: lo ritroviamo in tutti gli ambienti, dall’esterno all’interno di MAD, quale simbolo di resilienza. La nostra città, fiera di una bellezza antica e presente, è fin dal primo sopralluogo fiorentino apparsa all’artista autentica e resistente grazie al senso profondo di Comunità, riscoperto da Ana Vujovic quale segno fondante il MAD, e potente strumento di reazione e rivivificazione estetica.

 

I versi della poetessa Etel Adnan citati nel titolo, “Non stiamo giocando un gioco di dolore, stiamo cercando di sviluppare le ali e volare” (trying to grow wings), definiscono l’invito dell’artista a liberarsi dalle complesse difficoltà del presente per andare oltre.

Come in tre capitoli, dall’audio esterno sotto il loggiato, con i versi di Adnan letti dall’artista,  fino al culmine in sala Anna Banti, passando per le complesse installazioni nelle tre celle, l’artista utilizza la materia per costruire un complesso palinsesto di significati che scava, costruisce, moltiplica i livelli di senso e di lettura del lavoro.

“L’attesa generata nel loggiato attraverso anticipazioni  sensoriali e visive” spiega Valentina Gensini, “diviene esplorazione multimediale nelle celle al primo piano dove le pareti, il soffitto e il pavimento acquisiscono una dimensione polimorfa e generativa: Vujovic ci proietta in ambienti che divorano, scavano, estroflettono molteplici strati di senso in una sollecitazione continua dello sguardo, avvinto in una esplorazione mai paga. L’esperienza culmina in sala Anna Banti, dove una sfolgorante seta pregiata tessuta a mano si mostra tesa in due versi opposti, brandello di compiutezza estetica, sospeso in una tensione perenne che ne svela l’ordito, la dimensione processuale e la complessità.  L’estetizzazione del lacerto sembra dunque l’unica istanza possibile in un mondo in cui la tecnologia brutalizzante del mondo programmato esclude l’errore della sapienza collettiva femminile, in una ricerca estetica che alla perfezione compiuta predilige la poetica del frammento, da conquistare con coraggio oltre il velo di Maja”.

Trying to Grow Wings

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Le simmetrie dei desideri | Interviste

Ilaria Turba
Interventi di Ilaria Turba, Cristina Giachi, Giorgio Bacci, Valentina Gensini
Credits Luca Segato

Le simmetrie dei desideri | Interviste

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Le simmetrie dei desideri | Video

di Ilaria Turba
credits Luca Segato

Le simmetrie dei desideri | Video

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Le simmetrie dei desideri

Ilaria Turba, a cura di Giorgio Bacci e Valentina Gensini

Le simmetrie dei desideri è un progetto di ricerca nato in dialogo con i cittadini che abitano il quartiere di Sant’Ambrogio e il Complesso delle Murate, riattivando un ricco tessuto di memorie personali e territoriali che sottolinea la feconda e complessa articolazione della società contemporanea.
Significativamente, il lavoro si riallaccia alla straordinaria esperienza vissuta da Ilaria Turba nel corso dei quattro anni trascorsi a Marsiglia come artiste associée di Le ZEF – scène nationale de Marseille, di cui il progetto attuale costituisce un capitolo collegato eppure totalmente nuovo. In quella circostanza la pratica della panificazione, rituale antico che accomuna tutte le culture mediterranee, aveva condotto a una iconica materializzazione dei desideri della comunità nei pani dei desideri. Nella residenza fiorentina l’artista ha ricercato oggetti privati e d’affezione in quanto veicoli di desideri, storie e immaginari. I pani rituali impastati con i marsigliesi

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Le simmetrie dei desideri è un progetto di ricerca nato in dialogo con i cittadini che abitano il quartiere di Sant’Ambrogio e il Complesso delle Murate, riattivando un ricco tessuto di memorie personali e territoriali che sottolinea la feconda e complessa articolazione della società contemporanea.
Significativamente, il lavoro si riallaccia alla straordinaria esperienza vissuta da Ilaria Turba nel corso dei quattro anni trascorsi a Marsiglia come artiste associée di Le ZEF – scène nationale de Marseille, di cui il progetto attuale costituisce un capitolo collegato eppure totalmente nuovo. In quella circostanza la pratica della panificazione, rituale antico che accomuna tutte le culture mediterranee, aveva condotto a una iconica materializzazione dei desideri della comunità nei pani dei desideri. Nella residenza fiorentina l’artista ha ricercato oggetti privati e d’affezione in quanto veicoli di desideri, storie e immaginari. I pani rituali impastati con i marsigliesi sono dunque serviti da attivatori di un nuovo percorso partecipativo con gli abitanti delle Murate e del quartiere di Sant’Ambrogio. I cittadini sono stati coinvolti in un percorso di ricerca, identitario e migrante al tempo stesso, il cui esito immediato e più visibile è stata la raccolta di oggetti appartenenti agli intervistati, messi idealmente in simmetrico dialogo con i desideri espressi dagli abitanti di Marsiglia, in un sentire condiviso di aspirazioni e desideri.
Durante il mese di residenza Ilaria Turba ha dunque progressivamente collocato negli spazi espositivi oggetti, pani e immagini fotografiche cui ha lavorato in progress, creando una personale topografia del quartiere. Gli oggetti sono a loro volta accompagnati da racconti e tracce del processo di ricerca: ogni singolo elemento è parte di una narrazione collettiva, di una mappatura delle memorie e delle istanze, oltre che dei desideri della nostra comunità.

Al primo piano l’idea di comunità è evocata dal tavolo dei pani di Marsiglia, circondato dagli oggetti affidati all’artista dagli abitanti del quartiere. Nelle celle invece è possibile ritrovare lo studio dell’artista e spazi di ascolto e visualizzazione di documenti, per ripercorrere il processo di ricerca e di mappatura, ascoltare le voci delle persone coinvolte, ricomporre le tracce e la stratificazione di questo percorso collettivo, un palinsesto in cui ogni singolo elemento rinvia a una costellazione di vissuti e relazioni, indagata e sollecitata dall’artista con attenzione.

Ilaria Turba ha incontrato e coinvolto gli abitanti di Sant’Ambrogio recandosi nelle loro case, negli spazi artigiani o commerciali, nel mercato e per la strada, bussando all’interno delle comunità e delle redazioni, delle università e dei ristoranti, delle associazioni e di atelier. Adesso la vita del quartiere e gli oggetti importanti per la comunità entrano nello spazio dell’arte, protagonisti di questa esposizione.

Il lungo processo di rigenerazione e riqualificazione delle Murate prosegue dunque prendendo sempre nuove forme.

 

Le simmetrie dei desideri

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FUGA

Black History Month Florence | VII edizione

Trying to Grow Wings

Parole di Ana Vujovic, Renata Summo O'Connell, Valentina Gensini

Trying to Grow Wings

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Trying to Grow Wings

Ana Vujovic
a cura di Renata Summo O'Connell

Trying to Grow Wings

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Black Archive Alliance IV | a cura di Jessica Sartiani

Black History Month Florence | VII edizione

Dopo quattro anni di sviluppo della piattaforma di ricerca Black Archive Alliance e nell’ambito di una residenza triennale al Murate Art District, presentiamo il quarto volume. In collaborazione con la nostra attuale ricercatrice in residenza, Jessica Sartiani che lavora al MAD da dicembre all’interno di una collaborazione triennale con BHFM, presentiamo una serie di documenti e ricerche. L’attuale volume di lavoro comprende ricerche di Roberto Bianchi sullo Sciopero della Fame del 1990, una serie di documenti dell’archivio personale di Mestre Boca Nua sul suo lavoro intorno alla Capoeira a Firenze e frammenti dell’archivio virtuale di Jordan Anderson su Black Queerness in Italia. Questi lavori si mettono in dialogo con le ricerche di Jessica Sartiani che guardano alle connessioni tra storia coloniale, emigrazione e produzione, consumo e marketing del caffè.

Dopo quattro anni di sviluppo della piattaforma di ricerca Black Archive Alliance e nell’ambito di una residenza triennale al Murate Art District, presentiamo il quarto volume. In collaborazione con la nostra attuale ricercatrice in residenza, Jessica Sartiani che lavora al MAD da dicembre all’interno di una collaborazione triennale con BHFM, presentiamo una serie di documenti e ricerche. L’attuale volume di lavoro comprende ricerche di Roberto Bianchi sullo Sciopero della Fame del 1990, una serie di documenti dell’archivio personale di Mestre Boca Nua sul suo lavoro intorno alla Capoeira a Firenze e frammenti dell’archivio virtuale di Jordan Anderson su Black Queerness in Italia. Questi lavori si mettono in dialogo con le ricerche di Jessica Sartiani che guardano alle connessioni tra storia coloniale, emigrazione e produzione, consumo e marketing del caffè.

Black Archive Alliance IV | a cura di Jessica Sartiani

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come sa di sale lo pane altrui | Nidhal Chamekh

Black History Month Florence | VII edizione

Questa mostra riunisce due serie di opere dello straordinario disegnatore Nidhal Chamekh che mettono in discussione la nozione dell’archivio come testimone, come spettatore. Le opere a tecnica mista inondano l’abisso di storiografie evacuate, che solo apparentemente fanno fatica a mantenere un’accuratezza puntuale, a mettere in discussione l’ambiguità dell’obiettivo empirico dell’anatomia zoologica, la classificazione delle foto segnaletiche, la precisione dei disegni meccanici con gli indizi personali che le tengono insieme.

L’infanzia di Chamekh nei quartieri popolari di Tunisi e la persecuzione della sua famiglia militante hanno un profondo impatto sulla sua arte, situata tra dimensione biografica e politica, mentre disegna ricordi trasformati in testimonianze, investigando la cosituzione della nostra identità contemporanea in relazione a eventi storici ed archivi.

Questa mostra riunisce due serie di opere dello straordinario disegnatore Nidhal Chamekh che mettono in discussione la nozione dell’archivio come testimone, come spettatore. Le opere a tecnica mista inondano l’abisso di storiografie evacuate, che solo apparentemente fanno fatica a mantenere un’accuratezza puntuale, a mettere in discussione l’ambiguità dell’obiettivo empirico dell’anatomia zoologica, la classificazione delle foto segnaletiche, la precisione dei disegni meccanici con gli indizi personali che le tengono insieme.

L’infanzia di Chamekh nei quartieri popolari di Tunisi e la persecuzione della sua famiglia militante hanno un profondo impatto sulla sua arte, situata tra dimensione biografica e politica, mentre disegna ricordi trasformati in testimonianze, investigando la cosituzione della nostra identità contemporanea in relazione a eventi storici ed archivi.

come sa di sale lo pane altrui | Nidhal Chamekh

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Hazel | Kevin Jerome Everson

Black History Month Florence | VII edizione

La mostra personale Hazel, del noto artista e regista Kevin Jerome Everson, nasce da ricordi mal rammentati o mal interpretati in relazione all’iconica canzone Maggot Brain dei Parliament Funkadelic. L’opera attinge alla memoria dell’artista riguardo a quanto ha ispirato il memorabile assolo di chitarra della canzone che dà il titolo all’album: il ricordo distorto, una finzione progettata per ispirare un’esecuzione appassionata. L’attualità della storia della traccia e gli scambi tra il leader della band, George Clinton, e il chitarrista Eddie Hazel diventano percezioni, intuizioni e immaginazioni alternative, in quest’opera dedicata proprio al chitarrista del gruppo. La dimensione sonora funziona come un elemento familiare ma dissonante, ricordata ma ossessivamente distante.

La mostra personale Hazel, del noto artista e regista Kevin Jerome Everson, nasce da ricordi mal rammentati o mal interpretati in relazione all’iconica canzone Maggot Brain dei Parliament Funkadelic. L’opera attinge alla memoria dell’artista riguardo a quanto ha ispirato il memorabile assolo di chitarra della canzone che dà il titolo all’album: il ricordo distorto, una finzione progettata per ispirare un’esecuzione appassionata. L’attualità della storia della traccia e gli scambi tra il leader della band, George Clinton, e il chitarrista Eddie Hazel diventano percezioni, intuizioni e immaginazioni alternative, in quest’opera dedicata proprio al chitarrista del gruppo. La dimensione sonora funziona come un elemento familiare ma dissonante, ricordata ma ossessivamente distante.

Hazel | Kevin Jerome Everson

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FUGA

Black History Month Florence | VII edizione

La settima edizione del Black History Month Florence è arrivata portando con sé un nuovo centro culturale, The Recovery Plan presso SRISA con la funzione di hub per informazioni, dialoghi, ricerca e scambio durante tutto il mese di febbraio. Questa edizione rappresenta anche un ampliamento del programma trasformandosi in Black History Fuori le Mura. Estendendo la portata dell’iniziativa per collettivizzare gli incredibili sforzi organizzativi in ​​corso nelle città di Bologna, Torino e Roma, ma puntando anche verso nuove collaborazioni a Parigi, Black History Fuori le Mura è il frutto di un’organizzazione collettiva che porta insieme una serie di associazioni, individui e istituzioni ed è uno spazio condiviso per la co-promozione degli eventi di Black History Month. Questa piattaforma vuole essere generatrice di un modello per una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.

Questa edizione è inquadrata dal titolo tematico FUGA. FUGA è una

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La settima edizione del Black History Month Florence è arrivata portando con sé un nuovo centro culturale, The Recovery Plan presso SRISA con la funzione di hub per informazioni, dialoghi, ricerca e scambio durante tutto il mese di febbraio. Questa edizione rappresenta anche un ampliamento del programma trasformandosi in Black History Fuori le Mura. Estendendo la portata dell’iniziativa per collettivizzare gli incredibili sforzi organizzativi in ​​corso nelle città di Bologna, Torino e Roma, ma puntando anche verso nuove collaborazioni a Parigi, Black History Fuori le Mura è il frutto di un’organizzazione collettiva che porta insieme una serie di associazioni, individui e istituzioni ed è uno spazio condiviso per la co-promozione degli eventi di Black History Month. Questa piattaforma vuole essere generatrice di un modello per una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.

Questa edizione è inquadrata dal titolo tematico FUGA. FUGA è una meditazione sulla fugacità di Blackness (Moten, Harney 2013) e sulla sua non fissità che permea le realtà geoculturali e offusca i confini tra il locale e il transnazionale. È anche una riflessione sul respingimento che continua a persistere nel contesto italiano in relazione al discorso su popoli e culture di origine africana che spinge molti alla fuga. FUGA in musica è un elemento compositivo in cui un tema melodico è introdotto da una voce solo per essere ripreso successivamente da altre. Questa edizione vuole fornire la chiamata e la risposta necessarie per impegnarsi collettivamente nel lavoro che deve essere svolto per andare oltre le concezioni che troppo spesso sono definite dalla piattezza e dalla cornice limitata della Blackness come riflessa nei mass media, nelle strutture istituzionali e nel discorso accademico in Italia e non solo.

Passare da BHMF a BHFM significa impegnarsi in una forma di modulazione di frequenza necessaria per ascoltare ed essere ascoltati.

FUGA

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De-clouding

Giulio Saverio Rossi

De-clouding

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Marrakech - In times of stillness

di Rida Tabit
a cura di Roi Saade

Marrakech - In times of stillness

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Rivers

di Peter Bialobrzeski

Rivers

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Il teatro di ricerca al Rondò di Bacco 1975-1978

Documenti dall'Archivio Teatrale Andres Neumann

a cura di Massimiliano Barbini e Andrea Strangio

Il teatro di ricerca al Rondò di Bacco 1975-1978

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Marrakech - In times of stillness

Rida Tabit, a cura di Roï Saade
all'interno del Middle East Now 2021

Middle East Now, in collaborazione con MAD, presenta in anteprima il lavoro del giovane fotografo marocchino Tabit Rida, 25 anni, uno dei talenti emergenti della fotografia dal Middle East. Fotografo autodidatta, Rida è sceso in strada per documentare la sua città natale, Marrakech, in questo momento storico senza precedenti. Mentre l’industria del turismo, principale fonte di reddito per la città, è stata pesantemente colpita dalla pandemia, Rida ha colto l’occasione per fotografare i numerosi cambiamenti e osservare la realtà spesso trascurata di Marrakech, al di là del turismo e della folla. Questo progetto, tra immagini fisse e video registrati col suo smartphone, rivela incontri di vita quotidiana in tempi di quiete, ricorda che il tempo non si è davvero fermato, e che la resistenza umana è un fenomeno naturale.

 

Progetto e mostra a cura del fotografo e artista libanese Roï Saade. Coordinamento set design di Archivio Personale.

 

Middle East Now, in collaborazione con MAD, presenta in anteprima il lavoro del giovane fotografo marocchino Tabit Rida, 25 anni, uno dei talenti emergenti della fotografia dal Middle East. Fotografo autodidatta, Rida è sceso in strada per documentare la sua città natale, Marrakech, in questo momento storico senza precedenti. Mentre l’industria del turismo, principale fonte di reddito per la città, è stata pesantemente colpita dalla pandemia, Rida ha colto l’occasione per fotografare i numerosi cambiamenti e osservare la realtà spesso trascurata di Marrakech, al di là del turismo e della folla. Questo progetto, tra immagini fisse e video registrati col suo smartphone, rivela incontri di vita quotidiana in tempi di quiete, ricorda che il tempo non si è davvero fermato, e che la resistenza umana è un fenomeno naturale.

 

Progetto e mostra a cura del fotografo e artista libanese Roï Saade. Coordinamento set design di Archivio Personale.

 

Marrakech - In times of stillness

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Tabit Rida

Fotografo

Rida Tabit, 25 anni, è nato a Marrakech, in Marocco. La sua passione per la fotografia nasce nel 2017 con un interesse verso la fotografia sociale e documentaristica. Il suo lavoro riflette principalmente la sua più importante fonte di ispirazione: la cultura marocchina. Nel 2020 ha co-fondato, insieme ad altri 13 giovani fotografi marocchini, il collettivo Noorseen. Nello stesso anno, dopo essersi laureato in Scienza Economiche e Sociali, ha iniziato a usare la fotografia come strumento di ricerca per esaminare proprio problemi di carattere sociale ed economico. Per Rida, la fotografia è un mezzo finalizzato a una migliore conoscenza del mondo, delle persone attorno a lui e di sè stesso.

Rida Tabit, 25 anni, è nato a Marrakech, in Marocco. La sua passione per la fotografia nasce nel 2017 con un interesse verso la fotografia sociale e documentaristica. Il suo lavoro riflette principalmente la sua più importante fonte di ispirazione: la cultura marocchina. Nel 2020 ha co-fondato, insieme ad altri 13 giovani fotografi marocchini, il collettivo Noorseen. Nello stesso anno, dopo essersi laureato in Scienza Economiche e Sociali, ha iniziato a usare la fotografia come strumento di ricerca per esaminare proprio problemi di carattere sociale ed economico. Per Rida, la fotografia è un mezzo finalizzato a una migliore conoscenza del mondo, delle persone attorno a lui e di sè stesso.

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If the wind blows in Florence...?

Presentazione della mostra
30 giugno 2021

Credits Kor D.L. O'Connell 2021
If the wind blows in Florence...?

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If the wind blows in Florence...?

Workshop al MAD
15 giugno 2021

Credits Kor D.L. O'Connell 2021
If the wind blows in Florence...?

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If the wind blows in Florence...?

Mostra dell'artista giapponese Mariko Hori, in collaborazione con Artegiro Contemporary Art e Ailae

If the wind blows in Florence…? è una indagine artistica di Mariko Hori, artista giapponese basata a Amsterdam, sul rapporto tra linguaggio e storia, partendo da un antico proverbio giapponese che propone una sorta di profezia sociale, dove “i bottai si arricchirebbero se il vento soffia”. Il proverbio suggerisce che nella storia, incluso la nostra presente, si creano reazioni a catena tra eventi inattesi, sottolineando il ruolo dell’umanità in tali eventi. Nell’antica società giapponese, tale reazione a catena di cause e effetti portava a un vantaggio utilitaristico: il profitto per la categoria dei bottai.

Nella visione dell’artista però, questo proverbio ha illuminato il collegamento tra la potenza della natura e la socialità umana, il modo in cui l’umanità interpreta l’influenza della natura sulla vita della collettività, alterata e condizionata dall’elemento naturale, imprevedibile e imponderabile.

L’esperienza della recen

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If the wind blows in Florence…? è una indagine artistica di Mariko Hori, artista giapponese basata a Amsterdam, sul rapporto tra linguaggio e storia, partendo da un antico proverbio giapponese che propone una sorta di profezia sociale, dove “i bottai si arricchirebbero se il vento soffia”. Il proverbio suggerisce che nella storia, incluso la nostra presente, si creano reazioni a catena tra eventi inattesi, sottolineando il ruolo dell’umanità in tali eventi. Nell’antica società giapponese, tale reazione a catena di cause e effetti portava a un vantaggio utilitaristico: il profitto per la categoria dei bottai.

Nella visione dell’artista però, questo proverbio ha illuminato il collegamento tra la potenza della natura e la socialità umana, il modo in cui l’umanità interpreta l’influenza della natura sulla vita della collettività, alterata e condizionata dall’elemento naturale, imprevedibile e imponderabile.

L’esperienza della recente pandemia, con il suo carattere di catastrofe globale, invita a una nuova apertura e rispetto per l’equilibrio della natura, così come alla realizzazione di un profondo punto di contatto tra gli esseri umani e tutte le creature viventi.

L’installazione di Mariko Hori, curata da Renata Summo-O’Connell, ha incluso la partecipazione diretta di cittadini fiorentini che hanno risposto al suo invito disseminato via Instagram e ai giovani artisti Grazie ad una partnership con l’Accademia di Belle Arti, a immaginarsi una possibile continuazione dell’incipit ” Cosa accade se il vento soffia a Firenze?”.

Nelle sale e nelle celle al primo piano del MAD, immagini, suoni e parole, che il pubblico potrà udire e leggere, trascritte, invitano a partecipare in questa riflessione collettiva che Mariko Hori articola, sala dopo sala, creando e ricreando atmosfere e esperienze sensoriali con una particolare attenzione agli spazi tra gli spazi, il tempo tra i tempi, una costante nel lavoro artistico dell’artista.

Il lavoro è stato sviluppato in preparazione e durante il periodo di residenza artistica presso MAD Murate Art District, ispirato e nutrito dalla natura, la cultura e dal linguaggio vivo, in una Firenze che rinasce, in una era che è indubbiamente nuova.

” If the wind blows in Florence…” apre al pubblico il 30 giugno e sarà visitabile fino al 4 settembre 2021.

Per meglio comprendere i contenuti e le peculiarità della mostra è previsto un programma di visite guidate gratuite – che andrà avanti fino alla fine del mese – curate da un gruppo di studentesse dell’Accademia di Belle Arti, formate direttamente da Mariko Hori, Renata Summo O’Connell e dalla direttrice artistica di MAD, Valentina Gensini.
Si comincia mercoledì 7 luglio, per poi proseguire l’8, 9, 14, 15, 16, 20, 21, 22, 23, 27, 28, 29 e infine il 30 luglio, sempre con un doppio orario, alle 17:30 e alle 18:30.

In collaborazione con Artegiro Contemporary Art, Ailae, Villa Romana e Numeroventi.
La mostra rientra all’interno del progetto Citizens, Fondazione CRF, in partnership con ABI Firenze.

Opening 30 giugno: dalle 14.30 alle 19.30 mostra aperta con prenotazione obbligatoria; 17.30 talk con l’artista Mariko Hori e la curatrice Renata Summo O’Connell e Valentina Gensini con prenotazione obbligatoria

 

If the wind blows in Florence...?

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Mishima Code Gallery

Mostra di Fukushi Ito, dedicata a Yukio Mishima

Mishima Code Gallery

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Mishima Code

Mostra di Fukushi Ito, dedicata a Yukio Mishima

L’esposizione site specific vuol far riflettere sul rapporto tra Occidente ed Estremo Oriente, attraverso videoproiezioni, installazioni ambientali, trasparenze, sculture digitali

Al centro, la questione di genere a le trasformazioni globali dei linguaggi artistici, a partire dalle parole chiave della poetica di Mishima

Trasparenze, videoproiezioni, installazioni ambientali, sculture digitali, in un inedito allestimento site specific, per interrogarsi sul rapporto tra Occidente ed Estremo Oriente, a partire dalle parole chiave della poetica di Yukio Mishima, uno dei più grandi scrittori del Novecento, scomparso nel 1970. È “Mishima Code”, la mostra personale dell’artista nipponica Fukushi Ito, in esposizione dal 1 luglio al 3 settembre a Firenze presso MAD – Murate Art District.

Fukushi Ito torna a Firenze dopo oltre 30 anni dalla sua prima esposizione nella Galleria Palazzo Vecchio (nel 1984), per presentare una mostra narrativa, che reinterpreta in immagini l’iconog

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L’esposizione site specific vuol far riflettere sul rapporto tra Occidente ed Estremo Oriente, attraverso videoproiezioni, installazioni ambientali, trasparenze, sculture digitali

Al centro, la questione di genere a le trasformazioni globali dei linguaggi artistici, a partire dalle parole chiave della poetica di Mishima

Trasparenze, videoproiezioni, installazioni ambientali, sculture digitali, in un inedito allestimento site specific, per interrogarsi sul rapporto tra Occidente ed Estremo Oriente, a partire dalle parole chiave della poetica di Yukio Mishima, uno dei più grandi scrittori del Novecento, scomparso nel 1970. È “Mishima Code”, la mostra personale dell’artista nipponica Fukushi Ito, in esposizione dal 1 luglio al 3 settembre a Firenze presso MAD – Murate Art District.

Fukushi Ito torna a Firenze dopo oltre 30 anni dalla sua prima esposizione nella Galleria Palazzo Vecchio (nel 1984), per presentare una mostra narrativa, che reinterpreta in immagini l’iconografia di Mishima, a partire dai suoi romanzi e dai temi in essi trattati. In esposizione alcuni lavori inediti, site specific, e una selezione di installazioni pittorico digitali che si nutrono dei linguaggi e delle tecnologie contemporanee per dare vita a dispositivi artistici, presentate in esposizioni museali in Italia e Giappone negli ultimi 5 anni.

A cura del critico e filosofo Roberto Mastroianni, organizzata da fund4art, in collaborazione con MAD – Murate Art District, “Mishima Code” prosegue infatti il percorso iniziato al Palazzo Ducale di Genova con “Luce Spazio Tempo” nel 2013, al MAG di Amalfi e Palazzo Bufalini a Spoleto con “Persona” nel 2017, e un primo studio proprio su Mishima nel 2015 a Torino.

 

A partire da una formazione e da una pratica della pittura tradizionale giapponese, Fukushi Ito ha sviluppato una poetica contemporanea la cui natura espressiva si nutre dell’eredità dell’arte europea e italiana del ‘900. Da molti anni, la sua produzione si concentra su problemi di natura onto-antropologica che indagano l’emersione della realtà nello spazio e nel tempo, alla ricerca di un dialogo tra le forme di vita occidentali ed estremo orientali nel tentativo di dare risposta alle universali domande di senso dell’umanità. In questo percorso, le diverse figure esemplari di umanità con cui Ito si è confrontata danno vita a una galleria di personaggi notevoli di natura socio-politica e artistica che diventano una specie di galleria tipologica dal carattere esemplare, con cui lei entra in relazione. Tra tutti questi personaggi (Macchiavelli, Leonardo, Musashi, Fallaci,  Fontana…), Mishima ricopre un posto particolare.

“Mishima Code” consta di una ventina di opere di forme e dimensioni differenti divisi tra computer drawing e assemblage. In questi lavori, come ne “Il mare della fertilità”, “Algoritmo” o l’installazione a piramidi “Mishima P”, il carattere iconico viene ottenuto sovrapponendo immagini, foto realistiche di paesaggi, dei personaggi stessi, riproduzioni dei loro scritti e delle loro opere dando vita ad una rappresentazione virtuale che produce una realtà dilatata, anche grazie ad immagini digitali estratte dal mondo del web e della comunicazione televisiva, che sono successivamente stampate su pannelli di tela. La saturazione e la sovrapposizione delle immagini e la loro proiezione nell’ambiente espositivo, grazie all’uso della luce montata all’interno delle installazioni a forma di poliedro, restituisce la sensazione immersiva di una contemporaneità popolata di immagini e figure che circondano la nostra esistenza e formano il tessuto connettivo del mondo globalizzato. Così come le opere in trasparenza costituiscono un’installazione che partendo da immagini digitali interagiscono con la luce e le pellicole di rivestimento in un paziente lavoro di ri-composizione del reale. La mostra presenta il filo rosso della poetica e della sperimentazione su materiali e linguaggi. Tutte le serie realizzate dall’artista negli ultimi 30 anni portano il titolo “In the space and in the time”, visto l’interesse costante di Ito per la relazione tra la luce, l’ombra e la rappresentazione tecnologica.

 

Mishima Code” è quindi il dialogo differito nello spazio e nel tempo tra due artisti – Mishima e Ito – che tentano di unire, nella loro poetica e nella loro ricerca artistica, i linguaggi e i temi della ricerca estetica e della cultura dell’occidente europeo con quelli ereditati dalla tradizione estremo asiatica di riferimento. Non solo una mostra celebrativa, ma un percorso di riflessione e ricerca che ha portato Ito ad assumere e interpretare i temi sollevati da Mishima, rendendoli opere dal grande impatto emotivo e immaginario e dalla raffinata delicatezza visiva tipica di un’arte che si pone come ponte tra Oriente e Occidente. Il punto di partenza sono i libri, i temi, i titoli e le parole chiave della poetica di Mishima, scrittore, drammaturgo, saggista e poeta, a circa 50 anni dalla sua morte, avvenuta tramite Seppuku (suicidio rituale giapponese) per protestare contro l’occidentalizzazione del Giappone e la crisi e collasso dello spirito tradizionale nipponico e dell’etica dei Samurai cui era legato. Acceso nazionalista, ebbe notorietà anche come attore, regista cinematografico e artista marziale. Il dialogo di Ito con Mishima si nutre di opposizioni e somiglianze che permettono a questa relazione artistica di rappresentare iconicamente le contraddizioni del nostro tempo.

 

In occasione dell’inaugurazione, il 1 luglio alle ore 11.30, si terrà un incontro su Sopravvivenza, ricorrenza e trasformazione dei modelli culturali nell’arte, a cui parteciperanno l’artista Fukushi Ito, il curatore Roberto Mastroianni, Valentina Gensini, direttrice del MAD, Patrizia Asproni, presidente del Museo Marino Marini e founder di #Boycottmanels, e Luca Bravi, ricercatore presso il Dipartimento di Formazione, lingue, intercultura, letterature e psicologia (FORLILPSI) dell’Università di Firenze. Si parlerà di questione di genere, delle trasformazioni globali dei linguaggi artistici e del rapporto tra tradizione e innovazione. Completano l’iniziativa, la proiezione del cortometraggio “Fukushi Ito-Mishima”, a cura di Christian Velcich, e la nuova composizione musicale di Sachito Hata, creata appositamente per la mostra e dedicata a Yukio Mishima.

“Il valore esistenziale, si potrebbe dire antropologico e spirituale delle immagini ispirate al corpus letterario e biografico di Mishima diventano il terreno di gioco di una ricerca da parte di Fukushi Ito, che si snoda tra fotografia, computer drawing e scultura installativa e, nello stesso tempo, si presentano come un omaggio alla figura del grande scrittore giapponese, alla sua vita, produzione e poetica. – dice il curatore Roberto Mastroianni – La mostra è, infatti, il risultato di un’indagine in qualche modo etimologico-filosofica sui luoghi, i temi, i libri e la poetica di Mishima: Fukushi Ito ha realizzato le proprie opere a partire da un dialogo decennale con lo scrittore giapponese, articolandolo intorno ai temi, alle immagini e alle parole evocative della narrativa di Mishima (morte, onore, devozione, sigillo, desiderio, grazia, tradizione…), accettando la sollecitazione che proviene dai libri di Mishima, dai luoghi in cui sono ambientati e dalle tematiche socio-politiche che in essi sono affrontate”.

 

“Sono molto felice di festeggiare i miei 40 anni in Italia, e in particolare a Firenze, che è stata la prima città in cui ho vissuto in questo paese, è un bel traguardo proporre la mia mostra personale proprio qui!”. dichiara l’artista Fukushi Ito.

Mishima Code

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Mishima Code Audioguida

Audioguida alla mostra con Fukushi Ito, intervistata da Francesca Martini

Mishima Code Audioguida

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Formal Interference

Progetto di CAAPO ideato e prodotto in collaborazione con Spazi Docili

Dal 7 di maggio 2014 Le Murate. Progetti Arte Contemporanea ha ospitato Formal Interference, un progetto di CAAPO ideato e prodotto in collaborazione con Spazi Docili (progetto di arte pubblica basato a Firenze) e con John O’Hare & Gordon Culshaw, curatori dal 2006 al 2010 di Wolstenholme Projects (galleria di Liverpool che ha esposto il lavoro di artisti affermati, britannici ed internazionali, quali Keren Cytter, Mark Lewis, Paul Rooney, Jordan Baseman e Wolfgang Tilmans e offerto, allo stesso tempo, una piattaforma espositiva per artisti emergenti e collettivi artistici quali the Centre of Attention di Londra e Stand Assembly/Moot di Nottingham).

La pubblicità e l’informazione estetizzano i messaggi provenienti da qualunque ambito pubblico. Gli eventi sono riportati in maniera uniforme senza alcuna considerazione riguardo la loro sostanza. I cittadini sono alienati da tali modalità comunicative che hanno il solo effetto, in sostanza, di renderli impotenti rispetto al m

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Dal 7 di maggio 2014 Le Murate. Progetti Arte Contemporanea ha ospitato Formal Interference, un progetto di CAAPO ideato e prodotto in collaborazione con Spazi Docili (progetto di arte pubblica basato a Firenze) e con John O’Hare & Gordon Culshaw, curatori dal 2006 al 2010 di Wolstenholme Projects (galleria di Liverpool che ha esposto il lavoro di artisti affermati, britannici ed internazionali, quali Keren Cytter, Mark Lewis, Paul Rooney, Jordan Baseman e Wolfgang Tilmans e offerto, allo stesso tempo, una piattaforma espositiva per artisti emergenti e collettivi artistici quali the Centre of Attention di Londra e Stand Assembly/Moot di Nottingham).

La pubblicità e l’informazione estetizzano i messaggi provenienti da qualunque ambito pubblico. Gli eventi sono riportati in maniera uniforme senza alcuna considerazione riguardo la loro sostanza. I cittadini sono alienati da tali modalità comunicative che hanno il solo effetto, in sostanza, di renderli impotenti rispetto al messaggio.
Questa forzata impotenza cresce quando gli spazi personali, pubblici, virtuali, testuali e narrativi vengono trasformati in spazi estetici. Per affrontare e neutralizzare tali tecniche di controllo è necessario che gli artisti si riapproprino dei linguaggi estetici sottraendoli dalla sfavorevole associazione con le aree di senso legate al mercato e all’intrattenimento.
L’attenzione critica verso tali sottigliezze formali può mostrare quanto una trasmissione aggressiva dell’informazione stimoli precisi comportamenti e risposte: solo attraverso l’introduzione di sottili elementi perturbatori questa finzione di autorità può essere palesata e rimossa.
Il fine di questo progetto è  stato di contrastare e sfidare la legittimità di questa retorica estetizzante insidiosamente autoritaria. Gli artisti prescelti sono stati selezionati in considerazione della qualità e dello sviluppo della loro pratica artistica: CAAPO mira a costituire un programma internazionale di arte pubblica che includa una varietà di nuovi lavori in grado di esplorare i temi dell’appropriazione, della contaminazione e della corruzione.

Gli artisti partecipanti sono stati: Kathryn Ashill, Lee Campbell, Jamie Davies, John O’Hare, Brychan Tudor e Spazi Docili

Il programma ha previsto, oltre ad eventi di arte pubblica in giro per la città, anche una serie di workshop, incontri e dibattiti aperti al pubblico organizzati presso Le Murate. Progetti Arte Contemporanea.

Formal Interference è un progetto sostenuto da:  British Council, Wales Arts Internationa, Comune di Firenze, Associazione Mus.e e Le Murate. Progetti Arte Contemporanea.

Formal Interference

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Formal Interference

Progetto di CAAPO ideato e prodotto in collaborazione con Spazi Docili

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Un passato fuori dal tempo (2019) | Zhang Xiang

Progetto RIVA

Un passato fuori dal tempo (2019) | Zhang Xiang

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Arno flow, Arno bridge, Arno love, Arno flood, Arno restore (Il corso del fiume Arno, Ponte sull’Arno, Amore per l’Arno, L’alluvione, La riqualificazione delle sponde dell’Arno, 2016) | Jay Wolke

Progetto RIVA 2021

Arno flow, Arno bridge, Arno love, Arno flood, Arno restore (Il corso del fiume Arno, Ponte sull’Arno, Amore per l’Arno, L’alluvione, La riqualificazione delle sponde dell’Arno, 2016) | Jay Wolke

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Pescatori (2016), Ponte Vecchio - Marangoni (2016) | Massimo Vitali

Progetto RIVA 2021

Pescatori (2016), Ponte Vecchio - Marangoni (2016) | Massimo Vitali

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Incontri confluenti (2018) | Giuseppe Toscano

Progetto RIVA 2021

Incontri confluenti (2018) | Giuseppe Toscano

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Incontri confluenti (2018) | Davide Virdis

Progetto RIVA 2021

Incontri confluenti (2018) | Davide Virdis

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Confluenze (2018) | Radio Papesse

Progetto RIVA 2021

Confluenze (2018) | Radio Papesse

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Arno Atlas (2013-2016) | Radio Papesse

Progetto RIVA 2021

Arno Atlas (2013-2016) | Radio Papesse

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Vivente (2016) | Francesco Pellegrino

Progetto RIVA 2021

Vivente (2016) | Francesco Pellegrino

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Di queste luci si servirà la notte (2017) | Adrian Paci

Progetto RIVA 2021

Di queste luci si servirà la notte (2017) | Adrian Paci

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Arno on the Arno (Arno sull'Arno, 2016), Arno Minkkinen
Arno on the Arno (Arno sull'Arno, 2016), Arno Minkkinen

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40.000 chiodi (2018), Tracce sul territorio (2018) | Paolo Masi

Progetto RIVA 2021

40.000 chiodi (2018), Tracce sul territorio (2018) | Paolo Masi

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Incontri confluenti (2018) | Martino Marangoni

Progetto RIVA 2021

Incontri confluenti (2018) | Martino Marangoni

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I Guess the River Never Knew (Il fiume ignaro, 2018) | Alisa Martynova

Progetto RIVA 2021

I Guess the River Never Knew (Il fiume ignaro, 2018) | Alisa Martynova

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Adelmo (2018) | Alice Machado

Progetto RIVA 2021

Adelmo (2018) | Alice Machado

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Living Lab (2021) | Progettato da LWCircus e realizzato da Giacomo Salizzoni

Progetto RIVA 2021

Living Lab (2021) | Progettato da LWCircus e realizzato da Giacomo Salizzoni

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Path of awareness (2018) | Katrinem

Progetto RIVA 2021

Path of awareness (2018) | Katrinem

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La terza sponda del fiume (2018) | Federica Gonnelli

Progetto RIVA 2021

La terza sponda del fiume (2018) | Federica Gonnelli

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Quei giorni del diluvio (2016) | Fotoromanzo Italiano

Progetto RIVA 2021

Quei giorni del diluvio (2016) | Fotoromanzo Italiano

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Lumières d’Automne sur l’Arno (Luci d’autunno sull’Arno, 2016) | Bernard Fort

Progetto RIVA 2021

Lumières d’Automne sur l’Arno (Luci d’autunno sull’Arno, 2016) | Bernard Fort

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Il diario popolare (2020)

Progetto RIVA 2021

Il diario popolare (2020)

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Sospesi (2018/2019) | Edoardo Delille e Paolo Woods

Progetto RIVA 2021

Sospesi (2018/2019) | Edoardo Delille e Paolo Woods

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Flow (Flusso, 2018) | Giulia Dari

Progetto RIVA 2021

Flow (Flusso, 2018) | Giulia Dari

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If the wind blows in Florence...?

di Mariko Hori, a cura di Renata Summo O'Connell

If the wind blows in Florence...?

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Along the 𝄐 (Attraverso la 𝄐, 2019-2020) | Kirsten Stromberg

Progetto RIVA 2021

Along the 𝄐 (Attraverso la 𝄐, 2019-2020) è un’installazione sinestetica di arte visiva ed una partitura, frutto di una ricerca sull’ecologia relazionale delle piante che vivono sulle rive dell’Arno. Disegnando liberamente a mano il segno che emerge dagli spazi lasciati dalle forme di plantago lanceolata, canne di palude e piante acquatiche incontrate sulle sponde del fiume, Stromberg ha trasposto graficamente i vuoti ed i pieni che si creano durante la loro crescita, dal loro oscillare al vento, dalle loro interazioni. Sono così nate partiture musicali interpretate da Renato Grieco (contrabbasso), Francesco Pellegrino (sassofono e clarinetto), e Francesco Toninelli (percussioni/vibrafono).

Né composizioni classiche, né improvvisazioni pure, queste partiture e la loro ra nata traduzione sonora sono un omaggio alla natura transitoria delle piante che vivono lungo il fiume e evidenziano l’interazione umano/vegetale come potenziale musicale.



Along the 𝄐 (Attraverso la 𝄐, 2019-2020) è un’installazione sinestetica di arte visiva ed una partitura, frutto di una ricerca sull’ecologia relazionale delle piante che vivono sulle rive dell’Arno. Disegnando liberamente a mano il segno che emerge dagli spazi lasciati dalle forme di plantago lanceolata, canne di palude e piante acquatiche incontrate sulle sponde del fiume, Stromberg ha trasposto graficamente i vuoti ed i pieni che si creano durante la loro crescita, dal loro oscillare al vento, dalle loro interazioni. Sono così nate partiture musicali interpretate da Renato Grieco (contrabbasso), Francesco Pellegrino (sassofono e clarinetto), e Francesco Toninelli (percussioni/vibrafono).

Né composizioni classiche, né improvvisazioni pure, queste partiture e la loro ra nata traduzione sonora sono un omaggio alla natura transitoria delle piante che vivono lungo il fiume e evidenziano l’interazione umano/vegetale come potenziale musicale.


Along the 𝄐 (Attraverso la 𝄐, 2019-2020) | Kirsten Stromberg

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Living Lab (2021) | Progettato da LWCircus e realizzato da Giacomo Salizzoni

Progetto RIVA 2021

Progettato da LWCircus e realizzato da Giacomo Salizzoni, Living Lab (2021) è un corridoio ecologico di piante di gelsomino (Rincospermum), arricchito da un’aiuola peripatetica di aromatiche tipiche del paesaggio toscano, che riqualificano il loggiato di MAD aprendo uno spazio polifunzionale per incontri e laboratori per i cittadini. L’installazione, destinata a crescere e svilupparsi durante il corso della mostra, vuole sottolineare la possibile convivenza del paesaggio urbano con quello naturale, fusi in un unico ambiente capace di generare consapevolezza e cultura ecologica grazie a laboratori inclusivi, e ad incontri con artisti, designer, paesaggisti, scienziati, architetti.

In collaborazione con XVII Biennale di Architettura di Venezia.

 



Progettato da LWCircus e realizzato da Giacomo Salizzoni, Living Lab (2021) è un corridoio ecologico di piante di gelsomino (Rincospermum), arricchito da un’aiuola peripatetica di aromatiche tipiche del paesaggio toscano, che riqualificano il loggiato di MAD aprendo uno spazio polifunzionale per incontri e laboratori per i cittadini. L’installazione, destinata a crescere e svilupparsi durante il corso della mostra, vuole sottolineare la possibile convivenza del paesaggio urbano con quello naturale, fusi in un unico ambiente capace di generare consapevolezza e cultura ecologica grazie a laboratori inclusivi, e ad incontri con artisti, designer, paesaggisti, scienziati, architetti.

In collaborazione con XVII Biennale di Architettura di Venezia.

 


Living Lab (2021) | Progettato da LWCircus e realizzato da Giacomo Salizzoni

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Il diario popolare (2020)

Progetto RIVA 2021

Il diario popolare (2020) è un archivio di memorie collettive costruito da cittadini che, attraverso la condivisione di interviste, ricordi e documenti, creano un museo dell’immateriale legato alla propria città. È qui presentato il capitolo riguardante l’Arno, composto dalle memorie sul fiume della comunità fiorentina, raccolte in videoregistrazioni e ettuate presso MAD, e da ricordi spontanei liberamente raccolti sul sito web.

Vuoi partecipare inviando il tuo racconto? Registrati seduto davanti a un muro bianco, poggiando il cellulare in orizzontale su un supporto stabile e invia il materiale a info.mad@musefirenze.it.
Lo condivideremo su ildiariopopolare.it.




Il diario popolare (2020) è un archivio di memorie collettive costruito da cittadini che, attraverso la condivisione di interviste, ricordi e documenti, creano un museo dell’immateriale legato alla propria città. È qui presentato il capitolo riguardante l’Arno, composto dalle memorie sul fiume della comunità fiorentina, raccolte in videoregistrazioni e ettuate presso MAD, e da ricordi spontanei liberamente raccolti sul sito web.

Vuoi partecipare inviando il tuo racconto? Registrati seduto davanti a un muro bianco, poggiando il cellulare in orizzontale su un supporto stabile e invia il materiale a info.mad@musefirenze.it.
Lo condivideremo su ildiariopopolare.it.


Il diario popolare (2020)

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Di queste luci si servirà la notte (2017) | Adrian Paci

Progetto RIVA 2021

Ho immaginato un passaggio, una barca che va sul fiume, una presenza che è, in qualche modo, naturale per un fiume. Ho voluto aggiungere anche un gesto di rottura, rumoroso: un generatore che nutre con la propria energia la luce di fili, fibre ottiche che vanno sotto l’acqua nella profondità del fiume Arno.
È una profondità misteriosa perché nascosta dalla torbidezza delle acque, e i fili tentano di portare la luce, di pescare l’immagine del fondo del fiume.”

Di queste luci si servirà la notte (2017) testimonia una lunga permanenza creativa di Adrian Paci a Firenze: all’invito del Progetto RIVA l’artista albanese rispose prima con una performance sul fiume ed in seguito con la video-installazione omonima.
Lo scheletro sospeso di una barca con una coda di filamenti che illuminano l’ambiente circostante richiama l’esperienza performativa che è poeticamente narrata dal video.

Un renaiolo naviga l’Arno dalla sua piccola imbarcazione e con gesti lenti e



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Ho immaginato un passaggio, una barca che va sul fiume, una presenza che è, in qualche modo, naturale per un fiume. Ho voluto aggiungere anche un gesto di rottura, rumoroso: un generatore che nutre con la propria energia la luce di fili, fibre ottiche che vanno sotto l’acqua nella profondità del fiume Arno.
È una profondità misteriosa perché nascosta dalla torbidezza delle acque, e i fili tentano di portare la luce, di pescare l’immagine del fondo del fiume.”

Di queste luci si servirà la notte (2017) testimonia una lunga permanenza creativa di Adrian Paci a Firenze: all’invito del Progetto RIVA l’artista albanese rispose prima con una performance sul fiume ed in seguito con la video-installazione omonima.
Lo scheletro sospeso di una barca con una coda di filamenti che illuminano l’ambiente circostante richiama l’esperienza performativa che è poeticamente narrata dal video.

Un renaiolo naviga l’Arno dalla sua piccola imbarcazione e con gesti lenti e cadenzati muove i fili luminosi che si immergono nelle acque del fiume alla ricerca di nuove luci e nuovi significati nascosti.
La scia illumina il fondale torbido e misterioso dell’Arno in una poetica indagine archeologica del fiume che poco mostra e molto nasconde.

Il silenzio dell’azione è rotto dal suono di un generatore di corrente che attiva le fibre ottiche: l’artista lo ha scelto, come in altre opere, ricordando il rumore dei generatori che illuminavano le abitazioni della sua Albania, ricreando una sorta di paesaggio sonoro emozionale.
“Di queste luci si servirà la notte è un tentativo di creare un dialogo tra la superficie e la profondità, tra la luce e il buio; e l’uomo, che diventa un attivatore di questo dialogo, senza pretendere di risolverlo, senza pretendere di svelare tutto, di portare tutto alla conoscenza”.
L’opera, prodotta dal Progetto RIVA, fu esposta per la prima volta al Museo Novecento nella mostra dedicata all’artista che coinvolse anche le Murate. In seguito è stata presentata alla National Gallery of Arts di Tirana per la prima monografica dedicata ad Adrian Paci nel suo Paese nel 2019, prima di tornare a Firenze
in questa occasione.


Di queste luci si servirà la notte (2017) | Adrian Paci

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Arno on the Arno (Arno sull'Arno, 2016) | Arno Minkkinen

Progetto RIVA 2021

Focus della ricerca del fotografo finno-americano Arno Minkkinen è l’indagine sul paesaggio segnato dalla presenza antropica. In particolare nel rapporto tra figura umana e elemento naturale la poetica di Minkkinen introduce elementi di ironia surrealista ed usa il corpo come soggetto e oggetto stesso della percezione, in analogia a quanto esprime il filosofo Maurice Merleau Ponty. Lavorando sul tema dell’autoritratto, Arno on the Arno (Arno sull’Arno, 2016) diventa una sfida con se stesso, Arno versus Arno, come lui stesso ama dire ostentando la omonimia con il fiume: una “partita a scacchi in cui si vince e si perde al tempo stesso e il cui risultato finale si può conoscere solo a posteriori”.



Focus della ricerca del fotografo finno-americano Arno Minkkinen è l’indagine sul paesaggio segnato dalla presenza antropica. In particolare nel rapporto tra figura umana e elemento naturale la poetica di Minkkinen introduce elementi di ironia surrealista ed usa il corpo come soggetto e oggetto stesso della percezione, in analogia a quanto esprime il filosofo Maurice Merleau Ponty. Lavorando sul tema dell’autoritratto, Arno on the Arno (Arno sull’Arno, 2016) diventa una sfida con se stesso, Arno versus Arno, come lui stesso ama dire ostentando la omonimia con il fiume: una “partita a scacchi in cui si vince e si perde al tempo stesso e il cui risultato finale si può conoscere solo a posteriori”.


Arno on the Arno (Arno sull'Arno, 2016) | Arno Minkkinen

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Pescatori (2016), Ponte Vecchio - Marangoni (2016) | Massimo Vitali

Progetto RIVA 2021

L’obbiettivo di Massimo Vitali indaga con preferenza luoghi a ollati, di cui tutti ricordano la serie delle spiagge gremite di bagnanti in costume. Il dittico commissionato dal Progetto RIVA (2016) non fa eccezione: il focus sull’Arno si declina in due luoghi opposti con un comun denominatore, dato dall’assembramento umano. Il fiume è infatti anche luogo di aggregazione, sia per Pescatori, cittadini che si rilassano in amene gare di pesca sulle sponde vicino alle Cascine, sia per Ponte Vecchio – Marangoni, con le folle di turisti accalcate sul ponte più famoso del mondo. Proprio questo scatto racconta un luogo iconico da una prospettiva interna e improbabile, ribaltata rispetto l’iconografia tradizionale che inquadra il ponte e le sue botteghe nel panorama cittadino.

In collaborazione con Fondazione Studio Marangoni



L’obbiettivo di Massimo Vitali indaga con preferenza luoghi a ollati, di cui tutti ricordano la serie delle spiagge gremite di bagnanti in costume. Il dittico commissionato dal Progetto RIVA (2016) non fa eccezione: il focus sull’Arno si declina in due luoghi opposti con un comun denominatore, dato dall’assembramento umano. Il fiume è infatti anche luogo di aggregazione, sia per Pescatori, cittadini che si rilassano in amene gare di pesca sulle sponde vicino alle Cascine, sia per Ponte Vecchio – Marangoni, con le folle di turisti accalcate sul ponte più famoso del mondo. Proprio questo scatto racconta un luogo iconico da una prospettiva interna e improbabile, ribaltata rispetto l’iconografia tradizionale che inquadra il ponte e le sue botteghe nel panorama cittadino.

In collaborazione con Fondazione Studio Marangoni


Pescatori (2016), Ponte Vecchio - Marangoni (2016) | Massimo Vitali

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Arno flow, Arno bridge, Arno love, Arno flood, Arno restore (Il corso del fiume Arno, Ponte sull’Arno, Amore per l’Arno, L’alluvione, La riqualificazione delle sponde dell’Arno, 2016) | Jay Wolke

Progetto RIVA 2021

Anziché utilizzare tecniche fotografiche tradizionali, il fotografo americano Jay Wolke si è servito di un piccolo scanner portatile ad alta definizione per scansionare diverse superfici e trame, che ha poi combinato e post-prodotto in una sintesi caleidoscopica. Invertendo i rapporti tra micro e macro, l’autore ha restituito questa indagine delle piccole cose su un formato inedito e monumentale,
che traduce piccoli particolari in grandi e lunghi banner verticali. Wolke usa un sistema combinatorio che riesce a tenere insieme le diverse anime dell’Arno, tra cartoline in vendita sui ponti del turismo, licheni sul cemento delle rive, icone legate all’immaginario e alla storia del fiume, piante e fiori sulle sponde. Cinque le parole chiave da lui scelte in relazione ai soggetti aggregati nelle cinque opere: Arno flow, Arno bridge, Arno love, Arno flood, Arno restore (Il corso del fiume Arno, Ponte sull’Arno, Amore per l’Arno, L’alluvione, La riqualificazione delle sponde

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Anziché utilizzare tecniche fotografiche tradizionali, il fotografo americano Jay Wolke si è servito di un piccolo scanner portatile ad alta definizione per scansionare diverse superfici e trame, che ha poi combinato e post-prodotto in una sintesi caleidoscopica. Invertendo i rapporti tra micro e macro, l’autore ha restituito questa indagine delle piccole cose su un formato inedito e monumentale,
che traduce piccoli particolari in grandi e lunghi banner verticali. Wolke usa un sistema combinatorio che riesce a tenere insieme le diverse anime dell’Arno, tra cartoline in vendita sui ponti del turismo, licheni sul cemento delle rive, icone legate all’immaginario e alla storia del fiume, piante e fiori sulle sponde. Cinque le parole chiave da lui scelte in relazione ai soggetti aggregati nelle cinque opere: Arno flow, Arno bridge, Arno love, Arno flood, Arno restore (Il corso del fiume Arno, Ponte sull’Arno, Amore per l’Arno, L’alluvione, La riqualificazione delle sponde dell’Arno, 2016).


Arno flow, Arno bridge, Arno love, Arno flood, Arno restore (Il corso del fiume Arno, Ponte sull’Arno, Amore per l’Arno, L’alluvione, La riqualificazione delle sponde dell’Arno, 2016) | Jay Wolke

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Lumières d’Automne sur l’Arno (Luci d’autunno sull’Arno, 2016) | Bernard Fort

Progetto RIVA 2021

Lumières d’Automne sur l’Arno (Luci d’autunno sull’Arno, 2016) è un’installazione sonora immersiva pensata e realizzata dal noto compositore francese per l’ambiente urbano del Complesso delle Murate, in occasione del 50° anniversario dell’alluvione di Firenze. Questo ritratto sonoro del fiume si sviluppa su due diversi registri che generano il paesaggio sonoro dell’Arno. L’immagine acustica, figurativa e realistica, in cui dal rumore bianco continuo e regolare della città emergono voci lontane provenienti dalla riva, mentre tutto intorno si sentono i cinguettii degli uccelli; e l’immagine acusmatica, un’immagine composta, discreta e consacrata al canto dell’acqua. L’opera è nata a seguito di un workshop di field recording realizzato in collaborazione con Tempo Reale che ha coinvolto giovani sound artist del territorio.



Lumières d’Automne sur l’Arno (Luci d’autunno sull’Arno, 2016) è un’installazione sonora immersiva pensata e realizzata dal noto compositore francese per l’ambiente urbano del Complesso delle Murate, in occasione del 50° anniversario dell’alluvione di Firenze. Questo ritratto sonoro del fiume si sviluppa su due diversi registri che generano il paesaggio sonoro dell’Arno. L’immagine acustica, figurativa e realistica, in cui dal rumore bianco continuo e regolare della città emergono voci lontane provenienti dalla riva, mentre tutto intorno si sentono i cinguettii degli uccelli; e l’immagine acusmatica, un’immagine composta, discreta e consacrata al canto dell’acqua. L’opera è nata a seguito di un workshop di field recording realizzato in collaborazione con Tempo Reale che ha coinvolto giovani sound artist del territorio.


Lumières d’Automne sur l’Arno (Luci d’autunno sull’Arno, 2016) | Bernard Fort

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I Guess the River Never Knew (Il fiume ignaro, 2018) | Alisa Martynova

Progetto RIVA 2021

In I Guess the River Never Knew (Il fiume ignaro) il rapporto con il fiume è rappresentato dall’ostacolo fisico della propria abitazione, che separa gli abitanti dall’ambiente naturale, e al tempo stesso o re sempre una finestra aperta che, come un diaframma, introietta il paesaggio fluviale come parte della dimensione domestica, ricomponendo questa distanza.



In I Guess the River Never Knew (Il fiume ignaro) il rapporto con il fiume è rappresentato dall’ostacolo fisico della propria abitazione, che separa gli abitanti dall’ambiente naturale, e al tempo stesso o re sempre una finestra aperta che, come un diaframma, introietta il paesaggio fluviale come parte della dimensione domestica, ricomponendo questa distanza.


I Guess the River Never Knew (Il fiume ignaro, 2018) | Alisa Martynova

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Flow (Flusso, 2018) | Giulia Dari

Progetto RIVA 2021

Rielaborando in modo digitale vecchie foto d’archivio del Comune di Pontassieve legate all’alluvione del 1966, Flow (Flusso) crea sovrapposizioni spazio-temporali tra passato e presente: un’indagine attenta ha ricondotto la fotografa nelle vie ritratte subito dopo l’inondazione, per ritrovare luoghi e punti di vista, qui restituiti in uno straniante dialogo che a da il 1966 al bianco e nero innestando elementi del presente, restituiti a colori.



Rielaborando in modo digitale vecchie foto d’archivio del Comune di Pontassieve legate all’alluvione del 1966, Flow (Flusso) crea sovrapposizioni spazio-temporali tra passato e presente: un’indagine attenta ha ricondotto la fotografa nelle vie ritratte subito dopo l’inondazione, per ritrovare luoghi e punti di vista, qui restituiti in uno straniante dialogo che a da il 1966 al bianco e nero innestando elementi del presente, restituiti a colori.


Flow (Flusso, 2018) | Giulia Dari

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Adelmo (2018) | Alice Machado

Progetto RIVA 2021

Il ritratto di Adelmo nasce dalla volontà di riunire in un’unica immagine i momenti di una vita intera. Il lavoro è infatti composto da migliaia di piccole fotografie che raccontano i luoghi, i lavori, gli a etti del signor Adelmo, abitante di San Francesco che ha intrecciato la sua esistenza con le acque della Sieve.



Il ritratto di Adelmo nasce dalla volontà di riunire in un’unica immagine i momenti di una vita intera. Il lavoro è infatti composto da migliaia di piccole fotografie che raccontano i luoghi, i lavori, gli a etti del signor Adelmo, abitante di San Francesco che ha intrecciato la sua esistenza con le acque della Sieve.


Adelmo (2018) | Alice Machado

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La terza sponda del fiume (2018) | Federica Gonnelli

Progetto RIVA 2021

La terza sponda del fiume presenta una foto a doppia esposizione, stampata su organza e immersa nell’acqua. Nel lavoro si osserva il fiume come simbolo del confine, tema più volte indagato dall’autrice, ma anche come opportunità di un luogo nuovo da vivere e condividere, in cui immaginare e costruire poetiche storie d’acqua.



La terza sponda del fiume presenta una foto a doppia esposizione, stampata su organza e immersa nell’acqua. Nel lavoro si osserva il fiume come simbolo del confine, tema più volte indagato dall’autrice, ma anche come opportunità di un luogo nuovo da vivere e condividere, in cui immaginare e costruire poetiche storie d’acqua.


La terza sponda del fiume (2018) | Federica Gonnelli

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Terzo Giardino (2016) , Stones Stories (Storie di pietre, 2018) | Studio ++

Progetto RIVA 2021

Il Terzo Giardino (2016) è un parco di oltre 10.000 metri quadri situato sulla sponda sinistra del fiume Arno restituito alla città ed esplorabile grazie a percorsi disegnati nella vegetazione di piante spontanee in memoria degli antichi orti dei semplici. L’aggettivo “terzo” richiama il terzo paesaggio di Gilles Clément, che ci ricorda quanto la vegetazione spontanea costituisca una straordinaria riserva di biodiversità e potenziale evolutivo. Il parco, qui rappresentato in una fotografia area di Gabriele Galimberti, è visitabile con ingresso da Piazza Poggi.

L’intervento ambientale Stones Stories (Storie di pietre, 2018) nasce dagli incontri con gli abitanti di San Francesco (Pelago) e dal loro racconto del fiume Sieve: nel loro immaginario, come possiamo ascoltare dalle interviste, il fiume è sempre visto dal suo interno, a contatto con l’acqua. Per questo il nuovo passaggio da riva a riva riconnette due comunità e consente di vivere il fiume dal centro de

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Il Terzo Giardino (2016) è un parco di oltre 10.000 metri quadri situato sulla sponda sinistra del fiume Arno restituito alla città ed esplorabile grazie a percorsi disegnati nella vegetazione di piante spontanee in memoria degli antichi orti dei semplici. L’aggettivo “terzo” richiama il terzo paesaggio di Gilles Clément, che ci ricorda quanto la vegetazione spontanea costituisca una straordinaria riserva di biodiversità e potenziale evolutivo. Il parco, qui rappresentato in una fotografia area di Gabriele Galimberti, è visitabile con ingresso da Piazza Poggi.

L’intervento ambientale Stones Stories (Storie di pietre, 2018) nasce dagli incontri con gli abitanti di San Francesco (Pelago) e dal loro racconto del fiume Sieve: nel loro immaginario, come possiamo ascoltare dalle interviste, il fiume è sempre visto dal suo interno, a contatto con l’acqua. Per questo il nuovo passaggio da riva a riva riconnette due comunità e consente di vivere il fiume dal centro del suo corso, magari sostando su una pietra circondati dall’acqua.


Terzo Giardino (2016) , Stones Stories (Storie di pietre, 2018) | Studio ++

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Incontri Confluenti (2018) | Giuseppe Toscano

Progetto RIVA

Incontri Confluenti (2018) è un progetto inedito elaborato in collaborazione con Fondazione Studio Marangoni. L’interesse di Toscano si è concentrato sul rapporto tra paesaggio fluviale e paesaggio urbano nei territori di San Francesco (Pelago) e Pontassieve, dove la Sieve incontra l’Arno e anonimi particolari antropici segnano il panorama. Le immagini, spesso colte in verticale, si propongono come una sorta di carotaggio della stratificazione del territorio e, a sse sugli angoli degli edifici del Complesso delle Murate, richiamano l’articolato rapporto tra architettura e natura.



Incontri Confluenti (2018) è un progetto inedito elaborato in collaborazione con Fondazione Studio Marangoni. L’interesse di Toscano si è concentrato sul rapporto tra paesaggio fluviale e paesaggio urbano nei territori di San Francesco (Pelago) e Pontassieve, dove la Sieve incontra l’Arno e anonimi particolari antropici segnano il panorama. Le immagini, spesso colte in verticale, si propongono come una sorta di carotaggio della stratificazione del territorio e, a sse sugli angoli degli edifici del Complesso delle Murate, richiamano l’articolato rapporto tra architettura e natura.


Incontri Confluenti (2018) | Giuseppe Toscano

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Path of awareness (2018) | Katrinem

Progetto RIVA 2021

Realizzata dall’artista berlinese Katrinem durante una residenza artistica a Montelupo Fiorentino in collaborazione con Tempo Reale, Path of awareness (2018) è un Percorso di Consapevolezza che esplora l’esperienza, individuale e personale, di camminare in uno spazio aperto, prestando particolare attenzione all’interazione tra l’evento sonoro legato alla presenza del nostro corpo (i passi) e il soundscape (ambiente sonoro) circostante: una passeggiata sonora sull’interazione tra presenza umana e paesaggio intorno al fiume. La camminata di Katrinem, che con la presenza e il rumore del suo corpo misura liberamente l’ambiente circostante, viene qui proposta nel carcere duro, che negli anni della Resistenza antifascista è stato luogo di so erenza civile e di privazione della libertà di pensiero e di movimento.



Realizzata dall’artista berlinese Katrinem durante una residenza artistica a Montelupo Fiorentino in collaborazione con Tempo Reale, Path of awareness (2018) è un Percorso di Consapevolezza che esplora l’esperienza, individuale e personale, di camminare in uno spazio aperto, prestando particolare attenzione all’interazione tra l’evento sonoro legato alla presenza del nostro corpo (i passi) e il soundscape (ambiente sonoro) circostante: una passeggiata sonora sull’interazione tra presenza umana e paesaggio intorno al fiume. La camminata di Katrinem, che con la presenza e il rumore del suo corpo misura liberamente l’ambiente circostante, viene qui proposta nel carcere duro, che negli anni della Resistenza antifascista è stato luogo di so erenza civile e di privazione della libertà di pensiero e di movimento.


Path of awareness (2018) | Katrinem

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40.000 chiodi (2018) | Paolo Masi

Progetto RIVA 2021

40.000 chiodi (2018) contrassegna permanentemente la seconda cella al terzo piano delle Murate dopo il lungo lavoro realizzato su commissione del Progetto RIVA per la mostra QUI (2018). La parete, una sorta di mappa geografica del dolore, ha preso vita in maniera circostanziata, nel progredire spontaneo del lavoro e nella reazione stessa del muro e del suo disgregarsi sotto la vibrazione del martello e la ferita dei chiodi.

In questo luogo prima di clausura e poi di detenzione, Masi ha voluto restituire il legame obbligato di chi abitava le celle prigioniero delle loro pareti, allo stesso tempo ostili e rappresentanti l’unica alterità con cui al detenuto è dato rapportarsi. Da qui nasce la contrapposizione con il fiume, in eterno movimento, le cui acque non abitano mai lo stesso luogo.



40.000 chiodi (2018) contrassegna permanentemente la seconda cella al terzo piano delle Murate dopo il lungo lavoro realizzato su commissione del Progetto RIVA per la mostra QUI (2018). La parete, una sorta di mappa geografica del dolore, ha preso vita in maniera circostanziata, nel progredire spontaneo del lavoro e nella reazione stessa del muro e del suo disgregarsi sotto la vibrazione del martello e la ferita dei chiodi.

In questo luogo prima di clausura e poi di detenzione, Masi ha voluto restituire il legame obbligato di chi abitava le celle prigioniero delle loro pareti, allo stesso tempo ostili e rappresentanti l’unica alterità con cui al detenuto è dato rapportarsi. Da qui nasce la contrapposizione con il fiume, in eterno movimento, le cui acque non abitano mai lo stesso luogo.


40.000 chiodi (2018) | Paolo Masi

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Tracce sul territorio (2018) | Paolo Masi

Progetto RIVA 2021

Tracce sul territorio comprende due serie di polaroid realizzate nel corso della residenza artistica dell’autore presso MAD per il Progetto RIVA nel 2018.
Dedicati uno al Complesso delle Murate e l’altro al fiume Arno, i due cicli, uno a colori e l’altro in bianco e nero, qui rappresentati in una selezione significativa, uniscono i due luoghi non solo dal punto di vista concettuale, ma anche stilistico.

Le serie di polaroid, realizzate fino dagli anni Settanta, testimoniano l’attenzione ossessiva dell’artista per il segno. Negli scatti ravvicinati lo sguardo dissolve il contesto e si concentra unicamente sulle tracce, impronte umane o naturali, cristallizzate dalla fotografia che ne restituisce racconti cifrati, sequenze iconiche e preziose capaci di rappresentare l’anima profonda dei luoghi.




Tracce sul territorio comprende due serie di polaroid realizzate nel corso della residenza artistica dell’autore presso MAD per il Progetto RIVA nel 2018.
Dedicati uno al Complesso delle Murate e l’altro al fiume Arno, i due cicli, uno a colori e l’altro in bianco e nero, qui rappresentati in una selezione significativa, uniscono i due luoghi non solo dal punto di vista concettuale, ma anche stilistico.

Le serie di polaroid, realizzate fino dagli anni Settanta, testimoniano l’attenzione ossessiva dell’artista per il segno. Negli scatti ravvicinati lo sguardo dissolve il contesto e si concentra unicamente sulle tracce, impronte umane o naturali, cristallizzate dalla fotografia che ne restituisce racconti cifrati, sequenze iconiche e preziose capaci di rappresentare l’anima profonda dei luoghi.


Tracce sul territorio (2018) | Paolo Masi

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Un passato fuori dal tempo (2019) | Zhang Xiang

Progetto RIVA 2021

Un passato fuori dal tempo (2019) propone un paesaggio surreale: oggetti cristallizzati dai fanghi in memoria della grande alluvione del 1966 a Firenze divengono un insolito, eppur familiare, teatro di una rinascita post-apocalittica. Questo paesaggio fuori dal tempo realizzato dall’artista cinese in residenza presso MAD, evoca la spiritualità e il comportamento della comunità in occasione di grandi eventi catastrofici, a seguito dei quali la vita rinasce, riprende le proprie consuetudini, ritrova la capacità di creare e produrre. Concepita in epoca pre-pandemica, l’opera può essere oggi riletta come un segno di speranza verso una nuova rinascita.

L’opera è stata selezionata all’interno dei lavori realizzati nel corso delle residenze artistiche China Project, nell’ambito degli scambi MAD tra Italia e Cina, in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Sichuan e Zhong Art International.



Un passato fuori dal tempo (2019) propone un paesaggio surreale: oggetti cristallizzati dai fanghi in memoria della grande alluvione del 1966 a Firenze divengono un insolito, eppur familiare, teatro di una rinascita post-apocalittica. Questo paesaggio fuori dal tempo realizzato dall’artista cinese in residenza presso MAD, evoca la spiritualità e il comportamento della comunità in occasione di grandi eventi catastrofici, a seguito dei quali la vita rinasce, riprende le proprie consuetudini, ritrova la capacità di creare e produrre. Concepita in epoca pre-pandemica, l’opera può essere oggi riletta come un segno di speranza verso una nuova rinascita.

L’opera è stata selezionata all’interno dei lavori realizzati nel corso delle residenze artistiche China Project, nell’ambito degli scambi MAD tra Italia e Cina, in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Sichuan e Zhong Art International.


Un passato fuori dal tempo (2019) | Zhang Xiang

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Vivente (2016) | Francesco Pellegrino

Progetto RIVA 2021

La committenza di Vivente (2016)nasce dal premio produzione per giovani artisti lanciato da MAD per il Progetto RIVA, vinto dal compositore Francesco Pellegrino nel cinquantenario dell’alluvione. L’installazione multimediale restituisce un inedito ritratto sonoro del fiume Arno, dove aspetti sonori e visivi si fondono nella creazione di uno spazio immersivo e contemplativo. L’opera è composta da canne di bambù di lunghezze diverse, sospese dall’alto; ogni canna viene fatta suonare sia come aerofono (con un piccolo motore che ci so a dentro l’aria) sia come percussione (facendola vibrare meccanicamente) creando un ambiente estetico visivo e acustico. Le dimensioni e la disposizione delle canne, che suonano secondo un algoritmo aleatorio progettato dall’artista, suggeriscono diversi percorsi ed esperienze, ed un tempo di fruizione indeterminato e soggettivo, potenzialmente infinito.



La committenza di Vivente (2016)nasce dal premio produzione per giovani artisti lanciato da MAD per il Progetto RIVA, vinto dal compositore Francesco Pellegrino nel cinquantenario dell’alluvione. L’installazione multimediale restituisce un inedito ritratto sonoro del fiume Arno, dove aspetti sonori e visivi si fondono nella creazione di uno spazio immersivo e contemplativo. L’opera è composta da canne di bambù di lunghezze diverse, sospese dall’alto; ogni canna viene fatta suonare sia come aerofono (con un piccolo motore che ci so a dentro l’aria) sia come percussione (facendola vibrare meccanicamente) creando un ambiente estetico visivo e acustico. Le dimensioni e la disposizione delle canne, che suonano secondo un algoritmo aleatorio progettato dall’artista, suggeriscono diversi percorsi ed esperienze, ed un tempo di fruizione indeterminato e soggettivo, potenzialmente infinito.


Vivente (2016) | Francesco Pellegrino

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Quei giorni del diluvio (2016) | Fotoromanzo Italiano

Progetto RIVA 2021

Quei giorni del diluvio (2016) è il risultato di un workshop di ricerca attorno all’Arno che ha coinvolto studenti e giovani artisti under 35 attivi sul territorio toscano. I partecipanti hanno lavorato come una vera e propria redazione, procedendo prima alla stesura e poi alla realizzazione di un fotoromanzo sul fiume in occasione del 50esimo anniversario dell’alluvione del 1966. La scelta del fotoromanzo utilizza questo medium pop e démodé per raccontare in maniera ironica e attuale una vicenda epica della storia fiorentina.



Quei giorni del diluvio (2016) è il risultato di un workshop di ricerca attorno all’Arno che ha coinvolto studenti e giovani artisti under 35 attivi sul territorio toscano. I partecipanti hanno lavorato come una vera e propria redazione, procedendo prima alla stesura e poi alla realizzazione di un fotoromanzo sul fiume in occasione del 50esimo anniversario dell’alluvione del 1966. La scelta del fotoromanzo utilizza questo medium pop e démodé per raccontare in maniera ironica e attuale una vicenda epica della storia fiorentina.


Quei giorni del diluvio (2016) | Fotoromanzo Italiano

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Sospesi (2018/2019) | Edoardo Delille e Paolo Woods

Progetto RIVA 2021

Nel progetto fotografico Sospesi (2018/2019), i cittadini di San Francesco (Pelago) e Pontassieve che transitavano nei pressi del fiume sono stati chiamati a compiere una insolita performance. Invitati a saltare su un trampolino portato appositamente sul posto, hanno compiuto un atto che, senza manipolazioni o fotomontaggi, ha consentito un loro ritratto in sovrapposizione diretta con le acque della Sieve. Gli scatti degli autori hanno così restituito una prospettiva in cui gli abitanti del quartiere, sospesi in aria, sono tanto prossimi quanto sovrapposti al fiume, ricostruendo visivamente un rapporto uomo/acqua che va oltre il semplice immergersi o porsi in posa di fronte alle rive.

La scelta, condivisa con gli abitanti, di esporre in facciata di MAD e delle case popolari delle Murate le opere monumentali prodotte da Delille e Woods per il Progetto RIVA, è stata guidata dalla volontà di richiamare il forte legame tra il complesso delle Murate e l’Arno, dal momento che il p

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Nel progetto fotografico Sospesi (2018/2019), i cittadini di San Francesco (Pelago) e Pontassieve che transitavano nei pressi del fiume sono stati chiamati a compiere una insolita performance. Invitati a saltare su un trampolino portato appositamente sul posto, hanno compiuto un atto che, senza manipolazioni o fotomontaggi, ha consentito un loro ritratto in sovrapposizione diretta con le acque della Sieve. Gli scatti degli autori hanno così restituito una prospettiva in cui gli abitanti del quartiere, sospesi in aria, sono tanto prossimi quanto sovrapposti al fiume, ricostruendo visivamente un rapporto uomo/acqua che va oltre il semplice immergersi o porsi in posa di fronte alle rive.

La scelta, condivisa con gli abitanti, di esporre in facciata di MAD e delle case popolari delle Murate le opere monumentali prodotte da Delille e Woods per il Progetto RIVA, è stata guidata dalla volontà di richiamare il forte legame tra il complesso delle Murate e l’Arno, dal momento che il primo nucleo del convento si trovava proprio sul fiume, sull’attuale Ponte alle Grazie. Si è deciso così di valorizzare in ambito pubblico il loro progetto, anche per la suggestione simbolica relativa al contesto: Sospesi, liberi, i protagonisti spiccano sugli elementi naturali di acqua e aria, esposti a dimensione monumentale in un luogo a lungo destinato alla detenzione e finalmente
restituito alla comunità.


Sospesi (2018/2019) | Edoardo Delille e Paolo Woods

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Incontri confluenti (2018) | Martino Marangoni, Davide Virdis, Giuseppe Toscano

Progetto RIVA 2021

Incontri confluenti (2018) è un progetto originale elaborato in collaborazione con Fondazione Studio Marangoni. Tre fotografi professionisti, cui abbiamo chiesto di indagare il territorio di San Francesco (Pelago) e Pontassieve, hanno lavorato sul paesaggio fluviale. Il loro interesse si è concentrato sul rapporto tra il fiume e la presenza umana, che vede alternarsi paesaggi poetici dove la Sieve incontra l’Arno, e scorci antropizzati suburbani, tra il cementificio abbandonato, gli orti curati dagli abitanti, i roveti anonimi, il viadotto grigio su cui campeggiano i gra ti. Nella Sala Ketty La Rocca si trovano i lavori di Marangoni (a destra) e Virdis (a sinistra), mentre la serie di Toscano, a ssa sugli angoli degli edifici, abita lo spazio pubblico del Complesso delle Murate. Alcuni di questi lavori sono stati esposti nel contesto cittadino di Pelago, Pontassieve e Firenze, occupando gli spazi di a ssione pubblica e restituendo così all’interno delle aree urbane immagin

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Incontri confluenti (2018) è un progetto originale elaborato in collaborazione con Fondazione Studio Marangoni. Tre fotografi professionisti, cui abbiamo chiesto di indagare il territorio di San Francesco (Pelago) e Pontassieve, hanno lavorato sul paesaggio fluviale. Il loro interesse si è concentrato sul rapporto tra il fiume e la presenza umana, che vede alternarsi paesaggi poetici dove la Sieve incontra l’Arno, e scorci antropizzati suburbani, tra il cementificio abbandonato, gli orti curati dagli abitanti, i roveti anonimi, il viadotto grigio su cui campeggiano i gra ti. Nella Sala Ketty La Rocca si trovano i lavori di Marangoni (a destra) e Virdis (a sinistra), mentre la serie di Toscano, a ssa sugli angoli degli edifici, abita lo spazio pubblico del Complesso delle Murate. Alcuni di questi lavori sono stati esposti nel contesto cittadino di Pelago, Pontassieve e Firenze, occupando gli spazi di a ssione pubblica e restituendo così all’interno delle aree urbane immagini appartenenti al paesaggio fluviale dell’area metropolitana.


Incontri confluenti (2018) | Martino Marangoni, Davide Virdis, Giuseppe Toscano

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Rivers (Fiumi, 2018) | Yuval Avital

Progetto RIVA 2021

Nel lavoro seriale Rivers (Fiumi, 2018) due fiumi si intrecciano in un continuum sonoro: da un lato il paesaggio sonoro del fiume, registrato ed elaborato elettronicamente dal compositore israeliano Yuval Avital nella composizione originale con il soundscape dell’Arno, qui riprodotta; dall’altro il fiume umano creato dalla stratificazione di voci, versi di animali, respiri e frammenti di storie sussurrate in lingue
diverse dal coro Con-Fusion, invitato a Montelupo da Yuval Avital con la collaborazione di Tempo Reale su commissione del Progetto RIVA 2018. Il coro, diretto da Benedetta Manfriani, ha eseguito una performance creando così un nuovo flusso, intrecciandosi in modo intenso e vitalistico con la composizione elettronica. Il risultato è l’unione di elementi complementari (locale/universale, umano/animale, acustico/digitale, memoria/presente) alla ricerca di un punto di incontro empatico tra opera e pubblico.

Rivers rappresenta sia una metafora sia una concreta azione


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Nel lavoro seriale Rivers (Fiumi, 2018) due fiumi si intrecciano in un continuum sonoro: da un lato il paesaggio sonoro del fiume, registrato ed elaborato elettronicamente dal compositore israeliano Yuval Avital nella composizione originale con il soundscape dell’Arno, qui riprodotta; dall’altro il fiume umano creato dalla stratificazione di voci, versi di animali, respiri e frammenti di storie sussurrate in lingue
diverse dal coro Con-Fusion, invitato a Montelupo da Yuval Avital con la collaborazione di Tempo Reale su commissione del Progetto RIVA 2018. Il coro, diretto da Benedetta Manfriani, ha eseguito una performance creando così un nuovo flusso, intrecciandosi in modo intenso e vitalistico con la composizione elettronica. Il risultato è l’unione di elementi complementari (locale/universale, umano/animale, acustico/digitale, memoria/presente) alla ricerca di un punto di incontro empatico tra opera e pubblico.

Rivers rappresenta sia una metafora sia una concreta azione sonora, nella quale la Voce, il Gesto e i Materiali registrati si intrecciano in un’esperienza spaziale e sensoriale, invitando il pubblico a immergersi e a ricercare un incontro intimo e umano con il fiume.

In collaborazione con Tempo Reale.


Rivers (Fiumi, 2018) | Yuval Avital

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Arno Atlas (2013-2016), Confluenze (2018) | Radio Papesse

Progetto RIVA 2021

Arno Atlas (2013-2016) è un ciclo di sei documentari audio dedicati al fiume Arno, una mappatura della sua geografia emozionale. Un progetto di narrativa sonora per far riascoltare la voce di un fiume e la città che attraversa, Firenze, ricca di storie legate all’Arno con il sound design di Giulio Aldinucci. Come visibile dalla mappa i sei racconti sono ascoltabili anche in alcuni luoghi lungo il fiume, significativi per il racconto.

Confluenze (2018) è un iter di tre documentari radiofonici dedicati al genius loci montelupino, a partire dalla memoria delle acque dell’Arno e del torrente Pesa. Tra voci, testimonianze e field recording, Confluenze cerca di ricomporre un ritratto eterogeneo dell’eco-sistema di Montelupo Fiorentino con la sua storia, legata alla produzione della ceramica e vegliata dalla imponente e inquietante Villa Medicea Ambrogiana, già Ospedale psichiatrico.



Arno Atlas (2013-2016) è un ciclo di sei documentari audio dedicati al fiume Arno, una mappatura della sua geografia emozionale. Un progetto di narrativa sonora per far riascoltare la voce di un fiume e la città che attraversa, Firenze, ricca di storie legate all’Arno con il sound design di Giulio Aldinucci. Come visibile dalla mappa i sei racconti sono ascoltabili anche in alcuni luoghi lungo il fiume, significativi per il racconto.

Confluenze (2018) è un iter di tre documentari radiofonici dedicati al genius loci montelupino, a partire dalla memoria delle acque dell’Arno e del torrente Pesa. Tra voci, testimonianze e field recording, Confluenze cerca di ricomporre un ritratto eterogeneo dell’eco-sistema di Montelupo Fiorentino con la sua storia, legata alla produzione della ceramica e vegliata dalla imponente e inquietante Villa Medicea Ambrogiana, già Ospedale psichiatrico.


Arno Atlas (2013-2016), Confluenze (2018) | Radio Papesse

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Angelica Pesarini

Docente di Sociologia alla New York University di Firenze

Angelica Pesarini è docente di Sociologia alla New York University di Firenze dove insegna “Black Italia”, un corso dedicato all’analisi delle intersezioni di razza, genere e cittadinanza in Italia. Ha conseguito un dottorato in Sociologia e Studi di Genere in Inghilterra e ha lavorato come docente di Genere, Razza e Sessualità alla Lancaster University prima di tornare in Italia nel 2017. La ricerca di Pesarini si concentra sulla performatività della razza nell’Italia coloniale e post-coloniale e sulla razzializzazione del discorso politico italiano contemporaneo. Pesarini ha precedentemente indagato le relazioni tra identità di genere e attività economiche in alcune comunità rom che vivono a Roma, analizzando le strategie di rischio, la sopravvivenza e le opportunità nel contesto della prostituzione minorile maschile a Roma. Ha pubblicato diversi saggi accademici e ha partecipato a diverse pubblicazioni collettive.

Angelica Pesarini è docente di Sociologia alla New York University di Firenze dove insegna “Black Italia”, un corso dedicato all’analisi delle intersezioni di razza, genere e cittadinanza in Italia. Ha conseguito un dottorato in Sociologia e Studi di Genere in Inghilterra e ha lavorato come docente di Genere, Razza e Sessualità alla Lancaster University prima di tornare in Italia nel 2017. La ricerca di Pesarini si concentra sulla performatività della razza nell’Italia coloniale e post-coloniale e sulla razzializzazione del discorso politico italiano contemporaneo. Pesarini ha precedentemente indagato le relazioni tra identità di genere e attività economiche in alcune comunità rom che vivono a Roma, analizzando le strategie di rischio, la sopravvivenza e le opportunità nel contesto della prostituzione minorile maschile a Roma. Ha pubblicato diversi saggi accademici e ha partecipato a diverse pubblicazioni collettive.

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Black Archive Alliance Volum III

Black History Month Florence 2021

Questa III ° Edizione segna il terzo anno di collaborazione con Murate Art District nel ospitare il progetto Black Archive Alliance e il primo anno di una residenza di lunga durata progettata per favorire la crescita e la continua implementazione della ricerca negli archivi e nelle collezioni di Firenze e d’Italia. L’obiettivo del progetto di ricerca è di mappare e mettere a fuoco i popoli e la storia afrodiscendente e tenere spazio per un’archivio della ricerca di BHMF condivisibile nella sua forma, e nel suo contenuto.

Avviato nel 2018 Black Archive Alliance è un progetto di ricerca e formazione che mira ad evidenziare la ricerca radicata in documenti che riflettono le realtà e le storie di popolazioni africane e della diaspora africana e la loro rappresentazione negli archivi e nelle collezioni pubbliche e private nel contesto italiano.

La prima edizione ha creato una mappa virtuale di questa presenza archivistica nella città di Firenze con un catalogo che mir

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Questa III ° Edizione segna il terzo anno di collaborazione con Murate Art District nel ospitare il progetto Black Archive Alliance e il primo anno di una residenza di lunga durata progettata per favorire la crescita e la continua implementazione della ricerca negli archivi e nelle collezioni di Firenze e d’Italia. L’obiettivo del progetto di ricerca è di mappare e mettere a fuoco i popoli e la storia afrodiscendente e tenere spazio per un’archivio della ricerca di BHMF condivisibile nella sua forma, e nel suo contenuto.

Avviato nel 2018 Black Archive Alliance è un progetto di ricerca e formazione che mira ad evidenziare la ricerca radicata in documenti che riflettono le realtà e le storie di popolazioni africane e della diaspora africana e la loro rappresentazione negli archivi e nelle collezioni pubbliche e private nel contesto italiano.

La prima edizione ha creato una mappa virtuale di questa presenza archivistica nella città di Firenze con un catalogo che mira a supportare la ricerca futura e a fornire prospettive di lettura e analisi storica alternative. La seconda edizione, realizzata tra settembre 2019 e febbraio 2020 è basata su un tutoraggio tra ricercatori e studiosi che risiedono a Firenze con studenti internazionali legati a diverse discipline e istituzioni.

La terza edizione nasce da una collaborazione tra un gruppo di cinque ricercatori afrodiscendenti in diversi campi che hanno lavorato “in tandem” con gli artisti della prima edizione YGBI Research Residency. Lavorando a coppie, attraverso un approccio sperimentale basato sul dialogo e lo scambio, hanno esplorato archivi tangibili e intangibili radicati in Italia. Fornendo una contestualizzazione e una più ampia riflessione sulle opere d’arte prodotte dai membri di YGBI, il progetto intende riflettere su modi alternativi di attivare e presentare la ricerca basata su archivi, al di là della sfera accademica. I testi integrali prodotti dai ricercatori, sviluppati in collaborazione con Archive Books, saranno presenti nell’ultima pubblicazione di Archive Journal che sarà presentata il 24 febbraio alle ore 17. Nell’ambito di questa apertura espositiva, presentiamo la nostra collaborazione con Postcolonial Italy, che introduce questo progetto di mapping all’interno del nostro spazio espositivo.

A cura di BHMF con Alessandra Ferrini
In collaborazione con Archive Books, Museo MA*GA e Villa Romana
MAD Murate Art District _Emeroteca

Ricercatori: Simao Amista, Jessica Sartiani, Angelica Pesarini, Jordan Anderson, Patrick Joel Tatcheda Yonkeu

Black Archive Alliance Volum III

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Janine Gaëlle Dieudji

co-fondatore e direttore Black History Month Florence

Janine Gaëlle Dieudji è di nazionalità francese e camerunese, laureata in Cultura e Relazioni Internazionali dell’Università di Lione 3 in Francia. Ha conseguito un Master in Scienze Politiche presso l’Università di Parigi 2 Panthéon Assas. Da sei anni vive a Firenze, una città di cui si è innamorata. È così che Firenze è diventata la sua casa e il luogo dove ha iniziato a costruire la sua carriera di professionista dell’arte. Si considera una “multilocale”, credendo che apparteniamo a tutti i luoghi in cui abbiamo vissuto. La casa è il luogo dove la mente può creare e sentirsi riposata allo stesso tempo. È a questo che serve il viaggio della vita, a esplorare per diventare la persona che decidiamo di essere.

Janine Gaëlle Dieudji è di nazionalità francese e camerunese, laureata in Cultura e Relazioni Internazionali dell’Università di Lione 3 in Francia. Ha conseguito un Master in Scienze Politiche presso l’Università di Parigi 2 Panthéon Assas. Da sei anni vive a Firenze, una città di cui si è innamorata. È così che Firenze è diventata la sua casa e il luogo dove ha iniziato a costruire la sua carriera di professionista dell’arte. Si considera una “multilocale”, credendo che apparteniamo a tutti i luoghi in cui abbiamo vissuto. La casa è il luogo dove la mente può creare e sentirsi riposata allo stesso tempo. È a questo che serve il viaggio della vita, a esplorare per diventare la persona che decidiamo di essere.

Justin Randolph Thompson

co-fondatore e direttore Black History Month Florence

Justin Randolph Thompson è un artista dei nuovi media, facilitatore culturale ed educatore nato a Peekskill, NY nel ’79. Vive tra l’Italia e gli Stati Uniti dal 1999, Thompson è co-fondatore e direttore del Black History Month Florence, un’esplorazione sfaccettata delle culture diasporiche africane e africane nel contesto dell’Italia fondata nel 2016.
Thompson ha ricevuto il Louise Comfort Tiffany Award, il Franklin Furnace Fund Award, il Visual Artist Grant della Fundacion Marcelino Botin, due Foundation for Contemporary Arts Emergency Grants, una Jerome Fellowship dal Franconia Sculpture Park e una Emerging Artist Fellowship dal Socrates Sculpture Park. La sua vita e il suo lavoro cercano di approfondire le discussioni sulla stratificazione socio-culturale e l’organizzazione gerarchica, impiegando comunità temporanee e fugaci come monumenti e promuovendo progetti che collegano l’attivismo sociale del discorso accademico e le strategie di network

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Justin Randolph Thompson è un artista dei nuovi media, facilitatore culturale ed educatore nato a Peekskill, NY nel ’79. Vive tra l’Italia e gli Stati Uniti dal 1999, Thompson è co-fondatore e direttore del Black History Month Florence, un’esplorazione sfaccettata delle culture diasporiche africane e africane nel contesto dell’Italia fondata nel 2016.
Thompson ha ricevuto il Louise Comfort Tiffany Award, il Franklin Furnace Fund Award, il Visual Artist Grant della Fundacion Marcelino Botin, due Foundation for Contemporary Arts Emergency Grants, una Jerome Fellowship dal Franconia Sculpture Park e una Emerging Artist Fellowship dal Socrates Sculpture Park. La sua vita e il suo lavoro cercano di approfondire le discussioni sulla stratificazione socio-culturale e l’organizzazione gerarchica, impiegando comunità temporanee e fugaci come monumenti e promuovendo progetti che collegano l’attivismo sociale del discorso accademico e le strategie di networking del fai da te in incontri annuali e biennali, condivisione e gesti di collettività.

Kiluanji Kia Henda

Luanda-Angola, 1979, Kiluanji Kia Henda è un autodidatta con un profondo trampolino di lancio in questo  campo poichè viene da una famiglia di appassionati di fotografia. Il suo taglio concettuale è stato affinato grazie alla sua immersione anche nei campi della musica, nel teatro d’avanguardia e collaborando con un collettivo di artisti emergenti nella scena artistica di Luanda. Kia Henda ha partecipato a diversi programmi di residenza in città come Venezia, Città del Capo, Parigi, Amman e Sharjah, New York e Arles.

Le mostre personali selezionate da Kia Henda includono Something Happen on the Way to Heaven, al Museo di Arte di Nuoro (2020), The Isle of Venus al Museo di Lovanio a Leuven (2020),  A City Called Mirage all’International Studio and Curatorial Program (ISCP) di New York (2017), In the Days of a Dark Safari alla Galeria Filomena Soares di Lisbona e alla Goodman Gallery di Cape Town (2017) e Self-Portrait As A White Man alla Galleria Fonti di Napoli (2010

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Luanda-Angola, 1979, Kiluanji Kia Henda è un autodidatta con un profondo trampolino di lancio in questo  campo poichè viene da una famiglia di appassionati di fotografia. Il suo taglio concettuale è stato affinato grazie alla sua immersione anche nei campi della musica, nel teatro d’avanguardia e collaborando con un collettivo di artisti emergenti nella scena artistica di Luanda. Kia Henda ha partecipato a diversi programmi di residenza in città come Venezia, Città del Capo, Parigi, Amman e Sharjah, New York e Arles.

Le mostre personali selezionate da Kia Henda includono Something Happen on the Way to Heaven, al Museo di Arte di Nuoro (2020), The Isle of Venus al Museo di Lovanio a Leuven (2020),  A City Called Mirage all’International Studio and Curatorial Program (ISCP) di New York (2017), In the Days of a Dark Safari alla Galeria Filomena Soares di Lisbona e alla Goodman Gallery di Cape Town (2017) e Self-Portrait As A White Man alla Galleria Fonti di Napoli (2010).

Kia Henda ha partecipato a mostre collettive presso numerose istituzioni, tra cui Barbican Art Center di Lonodon (2020), Migros Museum di Zurigo (2020), Centre Georges Pompidou di Parigi (2020), Zeitz MOCAA di Città del Capo (2019), Tate Modern di Londra (2019), MAAT di Lisbona (2018), il National Museum of African Art – Smithsonian Institution di Washington D.C. (2015) e il Guggenheim Museum di Bilbao (2015).

Il suo lavoro è stato esposto alla Biennale di Gwangju (2018), all’Assemblea di Bergen (2013), alla Biennale di San Paolo (2010), alla Biennale di Venezia (2007) e alla Triennale di Luanda (2007). Nel 2017, Kia Henda ha ricevuto il Frieze Artist Award.

Ha presentato la sua opera The Fortress nel cortile della Somerset House (Londra) nel 2019. L’artista ha vinto il premio nazionale per la cultura e le arti dell’Angola nel 2012. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche, tra cui la Tate Modern (Londra), il Museo d’Arte Moderna (Varsavia), il Centre George Pompidou (Parigi), il Pérez Art Museum (Miami) e la Coleção de Arte Moderna Calouste Gulbenkian (Lisbona).

The isle of Venus | Kiluanji Kia Henda A cura di BHMF 2021

L’isola di Venere è una meditazione sulla miopia socio-psicologica. autoimposta prodotta dalla trasformazione delle città in siti museali tematici, ancorati al romanticismo del Rinascimento o al fascino grintoso del medievale.

La mentalità isolana si riferisce all’idea che l’isolamento e la mancanza di considerazione per tutto ciò che è al di là dei propri confini produce un senso di superiorità insulare nella sua desensibilizzazione. Nel nostro caso questo aggettivo non è riservato a coloro che sono geograficamente “tagliati fuori “, ma si riversa su quelle società così abitualmente impegnate a stabilire i termini, le norme, i canoni, i confini e i valori su cui prosperano, che raramente si accorgono della finzione intensamente costruita dal loro lavoro .

L’isola di Venere è una meditazione sulla miopia socio-psicologica prodotta dalla trasformazione delle città in siti museali tematici, ancorati al romanticismo del Rinascimento o al fascino grintoso del medievale. Parte integrante di questa patina è l’allontanamento di tutte le realtà non allineate, capaci invece di evocare  efficacemente le basi sociali di questo sbarramento coerente.

In collaborazione con M

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La mentalità isolana si riferisce all’idea che l’isolamento e la mancanza di considerazione per tutto ciò che è al di là dei propri confini produce un senso di superiorità insulare nella sua desensibilizzazione. Nel nostro caso questo aggettivo non è riservato a coloro che sono geograficamente “tagliati fuori “, ma si riversa su quelle società così abitualmente impegnate a stabilire i termini, le norme, i canoni, i confini e i valori su cui prosperano, che raramente si accorgono della finzione intensamente costruita dal loro lavoro .

L’isola di Venere è una meditazione sulla miopia socio-psicologica prodotta dalla trasformazione delle città in siti museali tematici, ancorati al romanticismo del Rinascimento o al fascino grintoso del medievale. Parte integrante di questa patina è l’allontanamento di tutte le realtà non allineate, capaci invece di evocare  efficacemente le basi sociali di questo sbarramento coerente.

In collaborazione con MAD Murate Art District
fino al 28/02 MAD Murate Art District, Sala Anna Banti

The isle of Venus | Kiluanji Kia Henda A cura di BHMF 2021

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Victor Fotso Nyie

Scultore

Victor Fotso Nyie è nato nel 1990 a Douala, in Camerun e vive e lavora a Faenza. Nel 2018 ha frequentato il Biennio di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ha frequentato l’Istituito Tecnico Superiore Tonito Emiliani / Diploma di Tecnico Superiore per la progettazione e prototipazione di prodotti ceramici, Faenza, IT nel 2015. La sua ricerca artistica lo porta ad esplorare la varietà e la bellezza umana, senza dimenticare una dimensione spirituale. Crea opere che richiamano la sua terra d’origine, l’Africa, che si fondono con altre che descrivono metaforicamente il mondo globalizzato in cui viviamo. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali tra cui The Armory show, New York city 2020, Stand P420 gallery,(2020), III Biennale d’Arte don Franco Patruno, a cura di Gianni Ceroli, Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO) (2020).To be going to, a cura di Francesca Bertazzoni & Davide Ferri, P420, (2019) Nel 2020 partecipa al

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Victor Fotso Nyie è nato nel 1990 a Douala, in Camerun e vive e lavora a Faenza. Nel 2018 ha frequentato il Biennio di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ha frequentato l’Istituito Tecnico Superiore Tonito Emiliani / Diploma di Tecnico Superiore per la progettazione e prototipazione di prodotti ceramici, Faenza, IT nel 2015. La sua ricerca artistica lo porta ad esplorare la varietà e la bellezza umana, senza dimenticare una dimensione spirituale. Crea opere che richiamano la sua terra d’origine, l’Africa, che si fondono con altre che descrivono metaforicamente il mondo globalizzato in cui viviamo. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali tra cui The Armory show, New York city 2020, Stand P420 gallery,(2020), III Biennale d’Arte don Franco Patruno, a cura di Gianni Ceroli, Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO) (2020).To be going to, a cura di Francesca Bertazzoni & Davide Ferri, P420, (2019) Nel 2020 partecipa al progetto Research Residency per BHMF, OCAD University, (Firenze). Vincitore di vari premi tra cui il Premio Roberto Daolio, 2018 la III Biennale d’Arte Don Franco Patruno, Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO), (2019). Tra le sue prossime mostre il Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO), IT (solo) (2020) e la Biennale del Mediterraneo, Repubblica di San Marino (2020).

Francis Offman

Artista

Francis Offman (1987, Butare) vive e lavora a Bologna.
Nel 2021, Offman ha preso parte a un progetto di workshop in occasione delle sfilate per la collezione Autunno/Inverno 2021-2022 di Valentino.
Le mostre collettive a cui ha partecipato nel 2022 includono: Expressions. The Epilogue, Castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea, Italia; YGI-Group show, USA; The 3 ecologies, MACTE, Italia; The Tending of the Otherwise, Italia così come la seconda versione di Throw the Stone and Hide your Hand all’Italian Cultural Institute di Parigi, Francia. Nel 2021, Offman ha esposto in delle personali a P420 Gallery, Italia; Baleno International, Italia; Herald St | Museum St, Regno Unito e MA*GA Museum, Italia. Ha inoltre esposto in collaborazione con Christian Offman a The Garage Lab, Italia.
Precedenti mostre collettive includono The Geological Viens, Palazzo D’Accursio, Italia; Painting in Person, Castello di Rivoli Museum, Italia; Italy at Frieze, Ambasciata Italiana, Regno Unito;


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Francis Offman (1987, Butare) vive e lavora a Bologna.
Nel 2021, Offman ha preso parte a un progetto di workshop in occasione delle sfilate per la collezione Autunno/Inverno 2021-2022 di Valentino.
Le mostre collettive a cui ha partecipato nel 2022 includono: Expressions. The Epilogue, Castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea, Italia; YGI-Group show, USA; The 3 ecologies, MACTE, Italia; The Tending of the Otherwise, Italia così come la seconda versione di Throw the Stone and Hide your Hand all’Italian Cultural Institute di Parigi, Francia. Nel 2021, Offman ha esposto in delle personali a P420 Gallery, Italia; Baleno International, Italia; Herald St | Museum St, Regno Unito e MA*GA Museum, Italia. Ha inoltre esposto in collaborazione con Christian Offman a The Garage Lab, Italia.
Precedenti mostre collettive includono The Geological Viens, Palazzo D’Accursio, Italia; Painting in Person, Castello di Rivoli Museum, Italia; Italy at Frieze, Ambasciata Italiana, Regno Unito; MEDITERRANEA 19 Young Artists Biennale: School of Waters, Repubblica di San Marino; Painting Stone, Villa Lontana, Italia; Throw the Stone and Hide your Hand, Murate Art District, Italia (2021); Premio Combat Prize 2020, Giovanni Fattori Civic Museum, Italia; Premio Zucchelli 2019, Zucchelli Foundation, Italia (2020); Open Tour 2019, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia; Rundgang 2019, Art Academy, Germania, Art White Night, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia (2019); Decoration between history, nature and poetry, Zucchelli Foundation, Italia; Open Tour, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia; Rambling rides, distractions from a destination, P420, Italia; Art white Night, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia; Scrap-Collective, Monumental Complex of Baraccano, Italia; Monsters-phenomena, Monumental Complex of Baraccano, Italia (2018).
Tra i riconoscimenti ricevuti si citano: Agitu Ideo Gudeta Fellowship – Performance Act Award (2021); Emilia-Romagna Region Award in support and dissemination of Contemporary Art; 9th edition of the Francesco Fabbri Award for Contemporary Arts (finalista); Premio Combat Prize (menzione d’onore) (2020); Eighth edition of the Francesco Fabbri Award for Contemporary Arts; Zucchelli Prize Scholarship; Tree Time workshop with Massimo Bartolini; Contemporary Minds Prize (finalist) (2019); ArtUp Collectibles Award; Switch The Rules, a cura di Elica and the Ermanno Casoli Foundation (finalista) (2018).

Emmanuel Yoro

Visual artist

Emmanuel Yoro è un artista visivo italiano di origine ivoriana che lavora tra Vicenza e Milano. Adottando una pratica artistica che abbraccia collage, design, moda, grafica e fotografia, scompone in immagini le questioni delle molteplici sfaccettature della sua identità culturale e le diverse sfumature della queerness.

Una sensibilità afro-diasporica e un’estetica cruda e monocromatica caratterizzano la sua ricerca e la sua recente produzione artistica, sempre nel tentativo di una più ampia ridefinizione del sé che dimora nel simposio tra passato e presente, tra memoria e immaginazione.

Emmanuel Yoro è un artista visivo italiano di origine ivoriana che lavora tra Vicenza e Milano. Adottando una pratica artistica che abbraccia collage, design, moda, grafica e fotografia, scompone in immagini le questioni delle molteplici sfaccettature della sua identità culturale e le diverse sfumature della queerness.

Una sensibilità afro-diasporica e un’estetica cruda e monocromatica caratterizzano la sua ricerca e la sua recente produzione artistica, sempre nel tentativo di una più ampia ridefinizione del sé che dimora nel simposio tra passato e presente, tra memoria e immaginazione.

Raziel Perin

Artista

Raziel Perin è nato nel 1992 nella Repubblica Dominicana. Ha ricevuto un BFA in Arti Visive alla Naba Milano. Attingendo alla sua esperienza personale, alle associazioni mentali e ai riferimenti culturali, Raziel Perin crea opere d’arte misteriose, inaspettate e dirette che richiamano precisi momenti di chiarezza e densi ricordi che evocano la complessità del processo di riconciliazione dell’identità diasporica liberata dagli stereotipi occidentali. Perin è nato nell’entroterra della Repubblica Dominicana, dove ha vissuto fino all’età di quattro anni. Nel 1996 si trasferisce nel Nord Italia con la madre. La sua produzione artistica prende forma tra due realtà molto distanti, radicate nel bisogno di essere accettato come “l’Altro” e allo stesso tempo sentendo il dovere di sopprimere la parte sensibile della sua storia personale, che riemerge costantemente. L’introspezione e la riconnessione con gli echi di quei legami ancestrali che

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Raziel Perin è nato nel 1992 nella Repubblica Dominicana. Ha ricevuto un BFA in Arti Visive alla Naba Milano. Attingendo alla sua esperienza personale, alle associazioni mentali e ai riferimenti culturali, Raziel Perin crea opere d’arte misteriose, inaspettate e dirette che richiamano precisi momenti di chiarezza e densi ricordi che evocano la complessità del processo di riconciliazione dell’identità diasporica liberata dagli stereotipi occidentali. Perin è nato nell’entroterra della Repubblica Dominicana, dove ha vissuto fino all’età di quattro anni. Nel 1996 si trasferisce nel Nord Italia con la madre. La sua produzione artistica prende forma tra due realtà molto distanti, radicate nel bisogno di essere accettato come “l’Altro” e allo stesso tempo sentendo il dovere di sopprimere la parte sensibile della sua storia personale, che riemerge costantemente. L’introspezione e la riconnessione con gli echi di quei legami ancestrali che sembravano essere stati recisi in questo processo di “sbiancamento” ne sono il risultato e si incanalano in disegni, dipinti, sculture e installazioni che uniscono e sintetizzano una serie di elementi ricorrenti. Il suo corpo di lavoro trasmette un’irresistibile metafora visiva degli strati di memoria personale e della storia culturale che informano e intensificano la sua esperienza del presente.

Binta Diaw

Visual artist

Binta Diaw, nata nel 1995, è un’artista visiva senegalese-italiana con sede a Milano.

La sua ricerca è volta alla creazione di installazioni di varie dimensioni e opere che commentano fenomeni sociali come la migrazione, l’immigrazione e l’antropologia, ma anche come il suo corpo si relaziona con la natura e le nozioni di identità. Sfidando lo sguardo occidentale attraverso una realtà sovvertita, la sua pratica mette in discussione le percezioni di italianità e africanità in relazione al suo patrimonio culturale e alla sua educazione.

Abbracciando l’arte visiva con una metodologia fortemente intersezionale, afro-diasporica e femminista basata su un’esperienza fisica e personale, è in grado di esplorare i molteplici strati del suo essere una persona di colore, il suo essere come corpo sociale e la sua posizione come donna nera in un contesto occidentale.

Ha studiato Belle Arti all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e ha ottenuto un MA al

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Binta Diaw, nata nel 1995, è un’artista visiva senegalese-italiana con sede a Milano.

La sua ricerca è volta alla creazione di installazioni di varie dimensioni e opere che commentano fenomeni sociali come la migrazione, l’immigrazione e l’antropologia, ma anche come il suo corpo si relaziona con la natura e le nozioni di identità. Sfidando lo sguardo occidentale attraverso una realtà sovvertita, la sua pratica mette in discussione le percezioni di italianità e africanità in relazione al suo patrimonio culturale e alla sua educazione.

Abbracciando l’arte visiva con una metodologia fortemente intersezionale, afro-diasporica e femminista basata su un’esperienza fisica e personale, è in grado di esplorare i molteplici strati del suo essere una persona di colore, il suo essere come corpo sociale e la sua posizione come donna nera in un contesto occidentale.

Ha studiato Belle Arti all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e ha ottenuto un MA all’ESAD Grenoble-Valence, in Francia. Nel 2018 si è trasferita in Germania per uno stage presso SAVVY Contemporary, a Berlino. Nel 2020 debutta con la sua prima personale alla Galleria Giampaolo Abbondio di Milano.

Gettare il Sasso e nascondere la mano | BHMF 2021

Questa mostra impegna l'ostinazione socio-spirituale che riconosce l'ovvio ma è consapevole di ciascuno di noi come custodi di un'agenzia poco riconosciuta.

Gettare il Sasso e nascondere la mano è una mostra collettiva dedicata agli artisti della prima edizione della YGBI Research Residency sviluppata in collaborazione con OCAD e The Student Hotel nel febbraio 2020 sotto la guida di Andrea Fatona e Leaf Jerlefia. La residenza riflette su spazi di non-performatività, sulla collettività e sulla nozione di diaspora. Riunendo cinque artisti afro- discendenti di età inferiore ai 35 anni e residenti in Italia, la mostra progettata per le celle di Murate Art District abbraccia una serie di narrazioni collettive che collegano la spiritualità e i riti afro-discendenti all’educazione, la storia coloniale e la sua materialità all’attivismo storico. La mostra è radicalmente fondata su un approccio sperimentale alla condivisione collettiva dello spazio.

La frase Gettare il sasso e nascondere la mano è stata pronunciata da Cécile Kyenge come una descrizione di un futile tentativo di non essere ritenuto responsabile per l’at

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Gettare il Sasso e nascondere la mano è una mostra collettiva dedicata agli artisti della prima edizione della YGBI Research Residency sviluppata in collaborazione con OCAD e The Student Hotel nel febbraio 2020 sotto la guida di Andrea Fatona e Leaf Jerlefia. La residenza riflette su spazi di non-performatività, sulla collettività e sulla nozione di diaspora. Riunendo cinque artisti afro- discendenti di età inferiore ai 35 anni e residenti in Italia, la mostra progettata per le celle di Murate Art District abbraccia una serie di narrazioni collettive che collegano la spiritualità e i riti afro-discendenti all’educazione, la storia coloniale e la sua materialità all’attivismo storico. La mostra è radicalmente fondata su un approccio sperimentale alla condivisione collettiva dello spazio.

La frase Gettare il sasso e nascondere la mano è stata pronunciata da Cécile Kyenge come una descrizione di un futile tentativo di non essere ritenuto responsabile per l’attuazione di violenza sfacciata e intenzionale. La sua è stata una risposta alle mani platealmente nascoste, responsabili del danno sociale e del sostentamento di valori fratturati.

Questa mostra impegna l’ostinazione socio-spirituale che riconosce l’ovvio ma è consapevole di ciascuno di noi come custodi di un’agenzia poco riconosciuta. Le opere costituiscono un invito alla capacità collettiva di sviluppare strategie di resistenza ma anche una critica in relazione alla miopia dell’individualismo egoico. Il progetto nasce sulla scia di una serie di mostre personali che si sono svolte presso il Museo MA*GA nell’ambito del progetto di ricerca The Recovery Plan che è stato messo in pausa dalla seconda fase di serrate nell’autunno 2020 ed è accompagnato da cinque volumi monografici on line ciascuno dedicato a uno degli artisti coinvolti.

In collaborazione con MAD Murate Art District
fino al 28/02 MAD Murate Art District, celle, piano 1

Gettare il Sasso e nascondere la mano | BHMF 2021

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Simao Amista

Antropologo

Simao Amista è un antropologo di origine italo-afro-brasiliana. Studioso di religioni e filosofie spirituali africane e afrodiscendenti, lavora da anni nel campo dell’ospitalità e dell’educazione.

Simao Amista è un antropologo di origine italo-afro-brasiliana. Studioso di religioni e filosofie spirituali africane e afrodiscendenti, lavora da anni nel campo dell’ospitalità e dell’educazione.

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Patrick Joël Tatcheda Yonkeu

Giornalista di moda e cultura e direttore creativo

Patrick Joël Tatcheda Yonkeu è nato in Camerun nel 1985, vive e lavora a Bologna. Si trasferisce in Italia nel 2009 dove ottiene una borsa di studio per l’Accademia di Belle Arti di Bologna e ottiene un Master in Arti Visive nel 2016 con un progetto di ricerca sul tema dello Zen nelle arti. Il suo interesse per la metafisica rimane la base della sua pratica, che riguarda il rapporto tra gli esseri umani e la natura e il nostro posto nell’universo, e cerca forme di spiritualità più adatte ai nostri tempi. La sua ricerca si basa sull’idea dell’esistenza come un flusso armonico il cui equilibrio deve essere preservato e fa spesso riferimento ai temi della vita e della morte, del visibile e dell’invisibile e dell’energia nelle sue infinite forme. Approfondisce questa ricerca attraverso numerose collaborazioni tra Africa e Italia e creando seminari di pittura interculturale con scuole e associazioni dell’Emilia-Romagna.

Nato e cresciuto a Kingst

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Patrick Joël Tatcheda Yonkeu è nato in Camerun nel 1985, vive e lavora a Bologna. Si trasferisce in Italia nel 2009 dove ottiene una borsa di studio per l’Accademia di Belle Arti di Bologna e ottiene un Master in Arti Visive nel 2016 con un progetto di ricerca sul tema dello Zen nelle arti. Il suo interesse per la metafisica rimane la base della sua pratica, che riguarda il rapporto tra gli esseri umani e la natura e il nostro posto nell’universo, e cerca forme di spiritualità più adatte ai nostri tempi. La sua ricerca si basa sull’idea dell’esistenza come un flusso armonico il cui equilibrio deve essere preservato e fa spesso riferimento ai temi della vita e della morte, del visibile e dell’invisibile e dell’energia nelle sue infinite forme. Approfondisce questa ricerca attraverso numerose collaborazioni tra Africa e Italia e creando seminari di pittura interculturale con scuole e associazioni dell’Emilia-Romagna.

Nato e cresciuto a Kingston Jamaica, Jordan Anderson è un giornalista di moda e cultura e direttore creativo che attualmente vive a Milano. Il suo lavoro spesso esplora anche temi politici dentro e fuori l’industria della moda, inclusi razza, genere, sessualità, identità ed etica culturale. Collabora a diverse pubblicazioni tra cui Document Journal, Teen Vogue, Vogue Italia, The Face e attualmente è online editor e editor-at-large rispettivamente per Twin Magazine e nss magazine.

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Jessica Sartiani

Formatrice ed esperta di caffè

Jessica Sartiani è una formatrice ed esperta di caffè fiorentina. Con un padre italiano e una madre metà filippina e metà afroamericana, è dalle sue origini che inizia il suo viaggio come donna del caffè. Come persona formata, operativa e attenta alle recenti sottoculture del caffè, ha iniziato il suo lavoro in una delle caffetterie pioniere di questo prodotto selezionato, Ditta Artigianale, dieci anni fa, studiando e scoprendo tutto il lavoro che precede il servizio in caffetteria, dando importanza ai paesi produttori. La sua esperienza si è evoluta con l’apertura del primo Speciality coffee in Italia, occupandosi della formazione dei baristi e dei clienti. Ha partecipato a vari concorsi come il Brewers cup, per migliorare il contatto con il pubblico e arricchire il suo background, e ha fatto parte di progetti di formazione in Honduras, Lituania e diverse start-up di caffè locali.

Jessica Sartiani è una formatrice ed esperta di caffè fiorentina. Con un padre italiano e una madre metà filippina e metà afroamericana, è dalle sue origini che inizia il suo viaggio come donna del caffè. Come persona formata, operativa e attenta alle recenti sottoculture del caffè, ha iniziato il suo lavoro in una delle caffetterie pioniere di questo prodotto selezionato, Ditta Artigianale, dieci anni fa, studiando e scoprendo tutto il lavoro che precede il servizio in caffetteria, dando importanza ai paesi produttori. La sua esperienza si è evoluta con l’apertura del primo Speciality coffee in Italia, occupandosi della formazione dei baristi e dei clienti. Ha partecipato a vari concorsi come il Brewers cup, per migliorare il contatto con il pubblico e arricchire il suo background, e ha fatto parte di progetti di formazione in Honduras, Lituania e diverse start-up di caffè locali.

Veronica Caciolli

Curatore

A seguito della laurea specialistica in Fenomenologia degli stili al DAMS di Bologna con Renato Barilli, ha conseguito una serie di studi avanzati in Curatela, Storia delle Religioni, Antropologia dell’arte ed Esoterismo occidentale a Berlino, Roma, Milano e Londra. Ha conseguito inoltre un Master di Ricerca in Cultural, Intellectual and Visual History presso il Warburg Institute. Scrive per riviste d’arte come Segno, Exibart, Memecult. Dal 2005 al 2007 è stata la responsabile delle mostre istituzionali e delle pubblicazioni per Photology, organizzando progetti che hanno coinvolto, tra gli altri, Mario Giacomelli, Enzo Cucchi, Joel-Peter Witkin, Claudio Abate e Achille Bonito Oliva. In ambito museale, dal 2008 al 2015 ha curato le collezioni del XX e XXI secolo e le mostre sul contemporaneo al Mart, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Dal 2016 al 2019, in comando al Museo di Palazzo Pretorio di Prato ha lavorato sulle stratificazioni simboliche del temp

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A seguito della laurea specialistica in Fenomenologia degli stili al DAMS di Bologna con Renato Barilli, ha conseguito una serie di studi avanzati in Curatela, Storia delle Religioni, Antropologia dell’arte ed Esoterismo occidentale a Berlino, Roma, Milano e Londra. Ha conseguito inoltre un Master di Ricerca in Cultural, Intellectual and Visual History presso il Warburg Institute. Scrive per riviste d’arte come Segno, Exibart, Memecult. Dal 2005 al 2007 è stata la responsabile delle mostre istituzionali e delle pubblicazioni per Photology, organizzando progetti che hanno coinvolto, tra gli altri, Mario Giacomelli, Enzo Cucchi, Joel-Peter Witkin, Claudio Abate e Achille Bonito Oliva. In ambito museale, dal 2008 al 2015 ha curato le collezioni del XX e XXI secolo e le mostre sul contemporaneo al Mart, Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Dal 2016 al 2019, in comando al Museo di Palazzo Pretorio di Prato ha lavorato sulle stratificazioni simboliche del tempo con Pretorio Studio, invitando artisti in residenza al museo con una mostra finale collection-specific.

Attualmente è curatrice indipendente e insegna discipline dell’arte contemporanea in tre Accademie.

Ha pubblicato, tra gli altri, con Silvana Editoriale, Electa Mondadori, Gli Ori, Wip, Postmedia Books e Mousse Publishing.

 

Questo contenuto appare solo nell' archivio.

The time of Discretion, a cura di Veronica Caciolli

The time of Discretion è l’ultimo progetto a lungo termine dell’artista fiorentina Lisa Mara Batacchi, che presentò un capitolo del lavoro nella mostra omonima prodotta da MAD nel 2018 all'interno del ciclo Global Identities

Quest’anno  con Silvana Editoriale esce la pubblicazione di tutto il progetto. La narrazione cronologica è cadenzata da immagini in presa diretta, opere e still dal film, che verranno in parte proiettati durante questa presentazione.

Sia la mostra che il libro sono stati curati da Veronica Caciolli.

Il progetto prende le mosse dalla partecipazione dell’artista alla Land Art Mongolia Biennal del 2016, il cui tema da declinare riguardava l’interpretazione dell’asse che divide il cielo dalla terra. Per farlo, l’artista ha raggiunto Guizhou, un villaggio montano della Cina meridionale dove l’antico popolo dei Hmong utilizza la tintura naturale ad indaco per realizzare tessuti tradizionali e celebrativi, oltre che per interrogare i propri avi. Dalla doppia esperienza con le donne Hmong, uniche custodi di questo processo, l’artista ha realizzato due tessuti: l’uno, trasportato in processione verso il monte sacro Altan Ovoo, ha costituito il lavoro per la Biennale

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Quest’anno  con Silvana Editoriale esce la pubblicazione di tutto il progetto. La narrazione cronologica è cadenzata da immagini in presa diretta, opere e still dal film, che verranno in parte proiettati durante questa presentazione.

Sia la mostra che il libro sono stati curati da Veronica Caciolli.

Il progetto prende le mosse dalla partecipazione dell’artista alla Land Art Mongolia Biennal del 2016, il cui tema da declinare riguardava l’interpretazione dell’asse che divide il cielo dalla terra. Per farlo, l’artista ha raggiunto Guizhou, un villaggio montano della Cina meridionale dove l’antico popolo dei Hmong utilizza la tintura naturale ad indaco per realizzare tessuti tradizionali e celebrativi, oltre che per interrogare i propri avi. Dalla doppia esperienza con le donne Hmong, uniche custodi di questo processo, l’artista ha realizzato due tessuti: l’uno, trasportato in processione verso il monte sacro Altan Ovoo, ha costituito il lavoro per la Biennale mongola. L’altro, l’immagine dell’odierna pubblicazione, rappresenta l’interpretazione di due esagrammi dell’I-Ching, interrogati sul destino imminente del mondo. Nel 2018 questi due lavori, assieme ad un video, due installazioni, cinque arazzi, quattro serie fotografiche e materiale documentario, hanno costituito la prima restituzione pubblica di questo ciclo di lavori, proprio alle Murate.

Il viaggio, l’esperienza e il lavoro di Lisa Mara Batacchi hanno offerto l’opportunità di affrontare una quanto mai interessante e puntuale serie di questioni: le reciproche interferenze o impermeabilità tra differenti culture, lo status di alcune minoranze etniche, gli esiti della globalizzazione, i ruoli della produzione industriale e manuale, le teorie sulla decrescita, la potenza o la miseria della memoria, il ruolo dell’arte. La complessità di questi temi, oltre che dalle due relatrici, è stata affrontata nel libro dalle molteplici prospettive di Sumesh Sharma, Federico Campagna, Valentina Gioia Levy, Wang Xiaomei.

 

 

The time of Discretion, a cura di Veronica Caciolli

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7X7 Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Evento speciale di punta di questa edizione di Middle East Now festival

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali – Myriam Boulos, Sina Shiri, Abdo Shanan, Amir Hazim, Reem Falaknaz, Erdem Varol, Mouad Abillat – riuniti per fornire una personale prospettiva visiva della loro città – Beirut, Tehran, Algieri, Baghdad, Dubai, Istanbul, Marrakesh – in un giorno specifico della settimana.

Il risultato, SEVEN BY SEVEN, è una voce e una visione collettiva, e al tempo stesso un insieme di punti di vista personali e fortemente originali sulla vita delle persone in Medioriente, una narrazione visiva alternativa alla rappresentazione mediatica di queste città, molto spesso negativa e legata ai fatti della cronaca e della geopolitica.

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

SEVEN BY SEVEN viene inolt

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Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali – Myriam Boulos, Sina Shiri, Abdo Shanan, Amir Hazim, Reem Falaknaz, Erdem Varol, Mouad Abillat – riuniti per fornire una personale prospettiva visiva della loro città – Beirut, Tehran, Algieri, Baghdad, Dubai, Istanbul, Marrakesh – in un giorno specifico della settimana.

Il risultato, SEVEN BY SEVEN, è una voce e una visione collettiva, e al tempo stesso un insieme di punti di vista personali e fortemente originali sulla vita delle persone in Medioriente, una narrazione visiva alternativa alla rappresentazione mediatica di queste città, molto spesso negativa e legata ai fatti della cronaca e della geopolitica.

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

SEVEN BY SEVEN viene inoltre presentato anche attraverso una speciale piattaforma online – 7×7.middleastnow.it – che permette ai visitatori di approfondire in digitale il lavoro dei 7 fotografi e il loro racconto visivo delle città in cui vivono.

La mostra ha avuto il coordinamento di Alessandra Capodacqua, e il progetto di allestimento è stato curato da Archivio Personale.

7X7 Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Progetto originale prodotto da Middle East Now Festival, ideato e curato da Roï Saade e co-prodotto da Murate Art District.

“In quest’epoca di rivoluzioni, disordini, esclusione e individualismo, la fotografia può svolgere un ruolo fondamentale nel costruire ponti tra le comunità del Medio Oriente e del Nord Africa. L’obiettivo di questo progetto è esplorare le differenze e le somiglianze trovate in ogni città e celebrare la loro diversità e complessità” , Roï Saade.

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

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Myriam Boulos

Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Myriam Boulos. Nata a Beirut nel 1992, laureata in fotografia presso l’Academie Libanaise des Beaux Arts nel 2015, ha preso parte a mostre collettive internazionali, tra cui Photomed, Beirut Art Fair, Berlin PhotoWeek, Mashreq to Maghreb (Dresda, Germania), Beyond boundaries (New York), C’est Beyrouth (Parigi) e 3ème biennale des Photographes du monde arabe (Parigi), e ricevuto il Byblos Bank Award for Photography nel 2014. Usa la sua macchina fotografica per interrogare la città e la sua gente, e le sue foto sono un mix di documentario e ricerca personale.

Myriam Boulos. Nata a Beirut nel 1992, laureata in fotografia presso l’Academie Libanaise des Beaux Arts nel 2015, ha preso parte a mostre collettive internazionali, tra cui Photomed, Beirut Art Fair, Berlin PhotoWeek, Mashreq to Maghreb (Dresda, Germania), Beyond boundaries (New York), C’est Beyrouth (Parigi) e 3ème biennale des Photographes du monde arabe (Parigi), e ricevuto il Byblos Bank Award for Photography nel 2014. Usa la sua macchina fotografica per interrogare la città e la sua gente, e le sue foto sono un mix di documentario e ricerca personale.

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Myriam Boulos | Mondays in Beirut

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali in un giorno specifico della settimana.

Myriam Boulos | Mondays in Beirut

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Myriam Boulos | Mondays in Beirut

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7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

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Sina Shiri

Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Sina Shiri. E’ nato a Rasht, Iran nel 1991. Ha iniziato a fotografare all’età di 16 anni e da allora ha lavorato in diverse agenzie di stampa e riviste iraniane come fotografo. Oggi è un freelance e si concentra su tematiche e questioni sociali.

Sina Shiri. E’ nato a Rasht, Iran nel 1991. Ha iniziato a fotografare all’età di 16 anni e da allora ha lavorato in diverse agenzie di stampa e riviste iraniane come fotografo. Oggi è un freelance e si concentra su tematiche e questioni sociali.

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Sina Shiri | Tuesday in Tehran

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali in un giorno specifico della settimana.

Sina Shiri | Tuesday in Tehran

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Sina Shiri | Tuesday in Tehran

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7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Sina Shiri | Tuesday in Tehran

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Sina Shiri | Tuesday in Tehran

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Abdo Shanan

Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Abdo Shanan Abdo è nato nel 1982 a Orano, in Algeria, da padre sudanese e madre algerina. Ha studiato ingegneria presso l’Università di Sirte, in Libia, fino al 2006. Nel 2012 uno stage presso Magnum Photos Paris gli ha dato l’opportunità di riflettere sul suo approccio fotografico e realizzare il suo primo racconto per la rivista “Rukh”. Le sue fotografie sono state pubblicate da numerose riviste e quotidiani internazionali. Nel 2015 ha ricevuto una nomination per il Magnum Foundation Emergency Fund, nel 2019 ha vinto il premio CAP (Contemporary African Photography) per il suo progetto “Dry”, nello stesso anno è selezionato per Joop Swart Masterclass da World Press Photo.

Abdo Shanan Abdo è nato nel 1982 a Orano, in Algeria, da padre sudanese e madre algerina. Ha studiato ingegneria presso l’Università di Sirte, in Libia, fino al 2006. Nel 2012 uno stage presso Magnum Photos Paris gli ha dato l’opportunità di riflettere sul suo approccio fotografico e realizzare il suo primo racconto per la rivista “Rukh”. Le sue fotografie sono state pubblicate da numerose riviste e quotidiani internazionali. Nel 2015 ha ricevuto una nomination per il Magnum Foundation Emergency Fund, nel 2019 ha vinto il premio CAP (Contemporary African Photography) per il suo progetto “Dry”, nello stesso anno è selezionato per Joop Swart Masterclass da World Press Photo.

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7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Abdo Shanan | Wednedays in Algiers

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali in un giorno specifico della settimana.

Abdo Shanan | Wednedays in Algiers

7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Abdo Shanan | Wednedays in Algiers

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7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Abdo Shanan | Wednedays in Algiers

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Abdo Shanan | Wednedays in Algiers

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Amir Hazim

Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Amir Hazim è un artista e fotografo basato a Baghdad. Si è laureato al Baghdad College of Fine Arts e ha iniziato il suo percorso professionale nel 2019, pubblicando su Arab News, The National e molti altri.

Amir Hazim è un artista e fotografo basato a Baghdad. Si è laureato al Baghdad College of Fine Arts e ha iniziato il suo percorso professionale nel 2019, pubblicando su Arab News, The National e molti altri.

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7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Amir Hazim | Thursdays in Baghdad

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali in un giorno specifico della settimana.

Amir Hazim | Thursdays in Baghdad

7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Amir Hazim | Thursdays in Baghdad

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7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Amir Hazim | Thursdays in Baghdad

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

7X7| Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Amir Hazim | Thursdays in Baghdad

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Reem Falaknaz

Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Reem Falaknaz documenta con il suo lavoro artistico il panorama sociale e fisico degli Emirati Arabi Uniti e i suoi abitanti. Nel 2014 ha preso parte al prestigioso Arab Documentary Photography Program, e le sue partecipazioni internazionali includono il Padiglione degli Emirati Arabi Uniti alla Biennale di Architettura di Venezia 2016 e la Biennale di Lahore del 2020.

Reem Falaknaz documenta con il suo lavoro artistico il panorama sociale e fisico degli Emirati Arabi Uniti e i suoi abitanti. Nel 2014 ha preso parte al prestigioso Arab Documentary Photography Program, e le sue partecipazioni internazionali includono il Padiglione degli Emirati Arabi Uniti alla Biennale di Architettura di Venezia 2016 e la Biennale di Lahore del 2020.

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Reem Falaknaz | Fridays in Dubai

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali in un giorno specifico della settimana.

Reem Falaknaz | Fridays in Dubai

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Reem Falaknaz | Fridays in Dubai

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Reem Falaknaz | Fridays in Dubai

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Reem Falaknaz | Fridays in Dubai

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Erdem Varol

Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Erdem Varol. Nato nel 1988, vive a Istanbul. Nel 2017 Erdem ha pubblicato il suo primo libro “Free Fall” insieme a due fanzine, pubblicate rispettivamente nel 2018 e nel 2019. Ha tenuto mostre personali e collettive in Turchia, Italia, Francia e altrove.

Erdem Varol. Nato nel 1988, vive a Istanbul. Nel 2017 Erdem ha pubblicato il suo primo libro “Free Fall” insieme a due fanzine, pubblicate rispettivamente nel 2018 e nel 2019. Ha tenuto mostre personali e collettive in Turchia, Italia, Francia e altrove.

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Erdem Varol | Saturdays in Instanbul

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali in un giorno specifico della settimana.

Erdem Varol | Saturdays in Instanbul

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Erdem Varol | Saturdays in Instanbul

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Erdem Varol | Saturdays in Instanbul

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Erdem Varol | Saturdays in Instanbul

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Mouad Abillat 

7X7 Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade

Mouad Abillat è un fotografo e regista marocchino. Ha una laurea in Tecnico Audiovisivo e ha studiato anche fotografia e sceneggiatura, che ha influenzato il suo stile portandolo a sviluppare un interesse per la narrazione. Fotografando con uno stile unico ed originale i giovani per le strade di Marrakech, si sforza di ritrarre le contraddizioni e lottare contro gli stereotipi che oggi devono affrontare le nuove generazioni.

Mouad Abillat è un fotografo e regista marocchino. Ha una laurea in Tecnico Audiovisivo e ha studiato anche fotografia e sceneggiatura, che ha influenzato il suo stile portandolo a sviluppare un interesse per la narrazione. Fotografando con uno stile unico ed originale i giovani per le strade di Marrakech, si sforza di ritrarre le contraddizioni e lottare contro gli stereotipi che oggi devono affrontare le nuove generazioni.

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7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Mouad Abillat | Sundays in Marrakesh

Protagoniste le opere di 7 giovani talentuosi fotografi mediorientali in un giorno specifico della settimana.

Mouad Abillat | Sundays in Marrakesh

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Mouad Abillat | Sundays in Marrakesh

Questo contenuto appare solo nell' archivio.

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Mouad Abillat | Sundays in Marrakesh

Come parte integrante del progetto il curatore ha ideato, in esclusiva per il festival, 7 newspapers che si potranno sfogliare in mostra: 7 quotidiani nelle cui pagine si sviluppa il racconto per immagini di ogni giorno di una ipotetica settimana in Medio Oriente.

7X7 | Transcultural narratives from the Middle east and North Africa. Curated by Roi Saade | Mouad Abillat | Sundays in Marrakesh

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Adji Dieye

Fotografa

Adji Dieye è una fotografa italo-senegalese nata a Milano nel 1991. Laureata in Nuove Tecnologie per l’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera. Negli ultimi anni ha viaggiato tra Milano e Dakar, concentrando la sua ricerca sull’influenza della pubblicità nella cultura visiva africana. Il suo lavoro esplora diversi aspetti delle società dell’Africa occidentale: l’influenza della pubblicità nella costruzione di un’identità nazionale e la spiritualità sincretica che rimane centrale per le comunità africane.

La pratica artistica di Adji Dieye spinge i confini della fotografia nel tentativo di indagare gli archetipi che costituiscono la cultura visiva africana. Nella sua ricerca il continente africano non è mai considerato fine a se stesso; rappresenta invece un ponte verso ulteriori indagini su realtà sociali e geopolitiche più ampie.

Adji Dieye è una fotografa italo-senegalese nata a Milano nel 1991. Laureata in Nuove Tecnologie per l’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera. Negli ultimi anni ha viaggiato tra Milano e Dakar, concentrando la sua ricerca sull’influenza della pubblicità nella cultura visiva africana. Il suo lavoro esplora diversi aspetti delle società dell’Africa occidentale: l’influenza della pubblicità nella costruzione di un’identità nazionale e la spiritualità sincretica che rimane centrale per le comunità africane.

La pratica artistica di Adji Dieye spinge i confini della fotografia nel tentativo di indagare gli archetipi che costituiscono la cultura visiva africana. Nella sua ricerca il continente africano non è mai considerato fine a se stesso; rappresenta invece un ponte verso ulteriori indagini su realtà sociali e geopolitiche più ampie.

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Black History Month Florence 2020

Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

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M’barek Bouhchichi

Artista visivo e installativo, scultore

Nato nel 1975 ad Akka, in Marocco, vive e lavora a Tahanaout, vicino a Marrakech, dove insegna arte. Usando la pittura, la scultura, il disegno o anche il video, M’barek Bouhchichi ha sviluppato il suo lavoro attraverso un linguaggio provvisorio fondato sull’esplorazione dei limiti tra il nostro discorso interno e la sua estensione verso il mondo esterno, il reale, l’altro. Pone le sue opere al crocevia tra l’estetica e il sociale, esplorando i campi associati come possibilità di auto-definizione.

Recentemente, il suo lavoro è stato esposto con la mostra personale Les mains noires (Kulte, Rabat, Marocco, 2016), come mostra collettiva Documents bilingues (MUCEM, Marsiglia, Francia, 2017),  Le Maroc contemporain (Institut du Monde Arabe , Parigi, Francia, 2014), Between walls (Le 18, Marrakech, Morocco, 2017).

Nato nel 1975 ad Akka, in Marocco, vive e lavora a Tahanaout, vicino a Marrakech, dove insegna arte. Usando la pittura, la scultura, il disegno o anche il video, M’barek Bouhchichi ha sviluppato il suo lavoro attraverso un linguaggio provvisorio fondato sull’esplorazione dei limiti tra il nostro discorso interno e la sua estensione verso il mondo esterno, il reale, l’altro. Pone le sue opere al crocevia tra l’estetica e il sociale, esplorando i campi associati come possibilità di auto-definizione.

Recentemente, il suo lavoro è stato esposto con la mostra personale Les mains noires (Kulte, Rabat, Marocco, 2016), come mostra collettiva Documents bilingues (MUCEM, Marsiglia, Francia, 2017),  Le Maroc contemporain (Institut du Monde Arabe , Parigi, Francia, 2014), Between walls (Le 18, Marrakech, Morocco, 2017).

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M’barek Bouhchichi

Terre - Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

M’barek Bouhchichi

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Adji Dieye

Red fever - Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Adji Dieye

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Black History Month Florence 2020

Questo progetto espositivo ha esaminato l’adempimento degli obblighi sociali nei confronti del lavoro sporco, le carenze di confronto culturale, l’annientamento della storia e le politiche di rispettabilità.
Gli artisti in mostra hanno attinto ciascuno da esperienze di permanenza in Italia che li spinge a coinvolgere le città di Roma, Umbertide, Milano e Firenze come siti di produzione culturale con la necessità di impegnare la storia senza esserne vittime.

L’attivista Pape Diaw, in un’intervista del 2013, ha parlato di “… sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito”. Questa contraddizione in termini è posta in un contesto sociale in cui il lavoro sporco sussiste per mantenere uno status governato da politiche di rispettabilità e di controllo sociale. Un’insistenza sulle narrazioni personali come una sostituzione delle appiattite proiezioni di Blackness, la costruzione di ponti tra un passato coloniale e una realtà neocoloniale contemporanea e l’inconsistenza de


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Questo progetto espositivo ha esaminato l’adempimento degli obblighi sociali nei confronti del lavoro sporco, le carenze di confronto culturale, l’annientamento della storia e le politiche di rispettabilità.
Gli artisti in mostra hanno attinto ciascuno da esperienze di permanenza in Italia che li spinge a coinvolgere le città di Roma, Umbertide, Milano e Firenze come siti di produzione culturale con la necessità di impegnare la storia senza esserne vittime.

L’attivista Pape Diaw, in un’intervista del 2013, ha parlato di “… sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito”. Questa contraddizione in termini è posta in un contesto sociale in cui il lavoro sporco sussiste per mantenere uno status governato da politiche di rispettabilità e di controllo sociale. Un’insistenza sulle narrazioni personali come una sostituzione delle appiattite proiezioni di Blackness, la costruzione di ponti tra un passato coloniale e una realtà neocoloniale contemporanea e l’inconsistenza della monumentalità permeano tutte queste opere con una meditazione sul passato come indicatore di ciò che è in arrivo.

La mostra, a cura di Black History Month Florence, nell’ambito della V edizione del BHMF, in collaborazione con Villa Romana (Florence), Civitella Ranieri Foundation (Umbertide) e Galleria Continua (San Gimignano), presenta il lavoro di 6 artisti internazionali che hanno utilizzato il contesto italiano come luogo di produzione artistica. Una serie di opere trasversali spinge a una rielaborazione di nozioni stereotipate del made in Italy che tendono a escludere gli afro-discendenti, svelando attitudini coloniali e invitando e rompere preconcetti.

Protagoniste le ricerche degli artisti M’Barek Bouhchichi (Morocco), Adji Dieye (Italy/Senegal), Sasha Huber (Switzerland/Finland), Delio Jasse (Angola/Italy), Amelia Umuhire (Rwanda/Germany), Nari Ward (Jamaica/USA).

Insieme hanno formato una melodia armonica che è discordante con la narrativa prescritta, centralizzata e consumata ma trova allineamento per trasmettere il suo potere e la capacità di arricchire la melodia secolare.

Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

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Sasha Huber

Fotografa, video artista, performer

Sasha Huber è un’artista visiva svizzero-haitiana, nata a Zurigo, Svizzera nel 1975. Vive e lavora a Helsinki, in Finlandia. Il lavoro di Huber si occupa principalmente della politica della memoria e dell’appartenenza, in particolare in relazione ai residui coloniali abbandonati nell’ambiente. Sensibile ai fili sottili che collegano il passato e il presente, utilizza il materiale d’archivio all’interno di una pratica creativa stratificata che comprende interventi basati sulla performance, video, fotografia e collaborazioni. Huber rivendica anche l’uso della pistola ad aria compressa, consapevole del suo significato simbolico come arma, ma che offre al contempo il potenziale per rinegoziare dinamiche dove il potere non è bilanciato. È nota per il suo contributo di ricerca artistica alla campagna Demounting Louis Agassiz, che mira a smantellare l’eredità razzista meno conosciuta ma controversa del glaciologo. Questo progetto a lungo termine (dal

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Sasha Huber è un’artista visiva svizzero-haitiana, nata a Zurigo, Svizzera nel 1975. Vive e lavora a Helsinki, in Finlandia. Il lavoro di Huber si occupa principalmente della politica della memoria e dell’appartenenza, in particolare in relazione ai residui coloniali abbandonati nell’ambiente. Sensibile ai fili sottili che collegano il passato e il presente, utilizza il materiale d’archivio all’interno di una pratica creativa stratificata che comprende interventi basati sulla performance, video, fotografia e collaborazioni. Huber rivendica anche l’uso della pistola ad aria compressa, consapevole del suo significato simbolico come arma, ma che offre al contempo il potenziale per rinegoziare dinamiche dove il potere non è bilanciato. È nota per il suo contributo di ricerca artistica alla campagna Demounting Louis Agassiz, che mira a smantellare l’eredità razzista meno conosciuta ma controversa del glaciologo. Questo progetto a lungo termine (dal 2008) si è occupato di portare alla luce e riparare la storia poco conosciuta e le eredità culturali del naturalista e glaciologo svizzero Louis Agassiz (1807-1873), un influente sostenitore del razzismo “scientifico” che sosteneva la segregazione e l’ “igiene razziale”. Huber ha tenuto mostre personali alla Fondazione Hasselblad (Project Room) a Göteborg e ha partecipato a numerose mostre internazionali, tra cui la 56a Biennale di Venezia nel 2015 (mostra collaterale: Frontier Reimagined), la 19a Biennale di Sydney nel 2014 e alla 29a Biennale di San Paolo nel 2010.

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Sasha Huber

The Firsts-Edmonia Lewis - Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Sasha Huber

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Delio Jasse

Fotografo

Delio Jasse è nato nel 1980 a Luanda, in Angola, vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro fotografico spesso intreccia immagini trovate con particolari di vite passate (foto tessere trovate, album di famiglia) per tracciare collegamenti tra la fotografia – in particolare il concetto di “immagine latente” – e la memoria.

Jasse è anche noto per aver sperimentato processi di stampa fotografica analogica, tra cui cianotipia, platino e primi processi di stampa come il “Van Dyke Brown”, oltre a sviluppare proprie tecniche di stampa personali.

Le sue mostre recenti includono: MAXXI, Roma (2018); Villa Romana, Firenze (2018); Biennale dell’immagine, Lugano (solo, 2017); Collezione Walther, Neu-Ulm (2017); SAVVY Contemporary, Berlino (2017); Bamako Encounters, Bamako (2017); Biennale di Lagos, Lagos (2017); Tiwani Contemporary, Londra (solo, 2016); Walther Collection Project Space, NY (2016); Mostra internazionale Dak’art Biennale (2016); e il Padigli

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Delio Jasse è nato nel 1980 a Luanda, in Angola, vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro fotografico spesso intreccia immagini trovate con particolari di vite passate (foto tessere trovate, album di famiglia) per tracciare collegamenti tra la fotografia – in particolare il concetto di “immagine latente” – e la memoria.

Jasse è anche noto per aver sperimentato processi di stampa fotografica analogica, tra cui cianotipia, platino e primi processi di stampa come il “Van Dyke Brown”, oltre a sviluppare proprie tecniche di stampa personali.

Le sue mostre recenti includono: MAXXI, Roma (2018); Villa Romana, Firenze (2018); Biennale dell’immagine, Lugano (solo, 2017); Collezione Walther, Neu-Ulm (2017); SAVVY Contemporary, Berlino (2017); Bamako Encounters, Bamako (2017); Biennale di Lagos, Lagos (2017); Tiwani Contemporary, Londra (solo, 2016); Walther Collection Project Space, NY (2016); Mostra internazionale Dak’art Biennale (2016); e il Padiglione dell’Angola, 56a Biennale di Venezia (2015). È stato uno dei tre finalisti del BES Photo Prize (2014) e ha vinto l’Iwalewa Art Award nel 2015.

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Delio Jasse

Pontus - Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Delio Jasse

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Amelia Umuhire

Video artista, regista

Amelia Umuhire, nata nel 1991 a Kigali in Ruanda, vive come artista e regista a Berlino. Nel 2015 ha scritto e girato la sua prima serie web, Polyglot, in cui segue con la sua macchina fotografica giovani artisti ruandesi “sradicati” a Londra e Berlino. La serie è stata proiettata in numerosi festival, tra cui il Festival D’Angers, il Tribeca Film Festival e il Geneva International Film Festival, dove è stata nominata Best International Web Series nel 2015. Il suo cortometraggio Mugabo è un cortometraggio sperimentale ambientato a Kigali: esplora la questione di come tornare in patria e come affrontare il passato. Nel 2017 è stato premiato come miglior film sperimentale al Blackstar Film Festival ed è attualmente in tournée in festival in Nord America e, tra gli altri, proiettato al MOCA di Los Angeles, all’MCA Chicago, all’Ann Arbor Film Festival e allo Smithsonian African American Film Festival. Nel 2018 Amelia Umuhire ha prodotto il lungometraggio radiofo

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Amelia Umuhire, nata nel 1991 a Kigali in Ruanda, vive come artista e regista a Berlino. Nel 2015 ha scritto e girato la sua prima serie web, Polyglot, in cui segue con la sua macchina fotografica giovani artisti ruandesi “sradicati” a Londra e Berlino. La serie è stata proiettata in numerosi festival, tra cui il Festival D’Angers, il Tribeca Film Festival e il Geneva International Film Festival, dove è stata nominata Best International Web Series nel 2015. Il suo cortometraggio Mugabo è un cortometraggio sperimentale ambientato a Kigali: esplora la questione di come tornare in patria e come affrontare il passato. Nel 2017 è stato premiato come miglior film sperimentale al Blackstar Film Festival ed è attualmente in tournée in festival in Nord America e, tra gli altri, proiettato al MOCA di Los Angeles, all’MCA Chicago, all’Ann Arbor Film Festival e allo Smithsonian African American Film Festival. Nel 2018 Amelia Umuhire ha prodotto il lungometraggio radiofonico Vaterland per la stazione radio tedesca Deutschlandfunk Kultur. Racconta la storia di suo padre Innocent Seminega da giovane studente, insegnante, marito e padre fino alla sua morte per mano degli estremisti hutu. Nel febbraio di quest’anno Umuhire ha tenuto la sua prima mostra personale a Decad Berlin.

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Amelia Umuhire

Untitled - Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Amelia Umuhire

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Nari Ward

Fotografo, video artista, scultore

Nari Ward (nato nel 1963 a St. Andrew, Giamaica; vive e lavora a New York) è noto per le sue installazioni scultoree composte da materiale di scarto trovato e raccolto nel suo quartiere. Ha riutilizzato oggetti come passeggini, carrelli della spesa, bottiglie, porte, televisori, registratori di cassa e lacci delle scarpe.

Ward ricontestualizza questi oggetti trovati in giustapposizioni stimolanti che creano significati metaforici complessi per affrontare questioni sociali e politiche che circondano la razza, la povertà e la cultura del consumo. Lascia intenzionalmente aperto il significato del suo lavoro, consentendo allo spettatore di fornire la propria interpretazione.

Mostre personali del suo lavoro sono state organizzate presso l’Institute of Contemporary Art, Boston (2017); SocratesSculpture Park, New York (2017); The Barnes Foundation, Philadelphia (2016); Pérez Art Museum Miami (2015); Savannah College of Art e Design Museum of Art, Savannah, GA (2015); Museo d’ar

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Nari Ward (nato nel 1963 a St. Andrew, Giamaica; vive e lavora a New York) è noto per le sue installazioni scultoree composte da materiale di scarto trovato e raccolto nel suo quartiere. Ha riutilizzato oggetti come passeggini, carrelli della spesa, bottiglie, porte, televisori, registratori di cassa e lacci delle scarpe.

Ward ricontestualizza questi oggetti trovati in giustapposizioni stimolanti che creano significati metaforici complessi per affrontare questioni sociali e politiche che circondano la razza, la povertà e la cultura del consumo. Lascia intenzionalmente aperto il significato del suo lavoro, consentendo allo spettatore di fornire la propria interpretazione.

Mostre personali del suo lavoro sono state organizzate presso l’Institute of Contemporary Art, Boston (2017); SocratesSculpture Park, New York (2017); The Barnes Foundation, Philadelphia (2016); Pérez Art Museum Miami (2015); Savannah College of Art e Design Museum of Art, Savannah, GA (2015); Museo d’arte della Louisiana State University, Baton Rouge, LA (2014); The Fabric Workshop and Museum, Philadelphia (2011); Massachusetts Museum of Contemporary Art, North Adams, MA (2011); Isabella Stewart Gardner Museum, Boston (2002); e Walker Art Center, Minneapolis, MN (2001, 2000).

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Nari Ward

Immigrist Male Figure Wall Tryptich - Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito

Nari Ward

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Justin Randolph Thompson su BHMF 2020

Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra 2020

Justin Randolph Thompson
Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra 2020
Justin Randolph Thompson su BHMF 2020

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Introduzione a cura del curatore

Justin Randolph Thompson, co-fondatore e direttore Black History Month Florence

Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Introduction
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Introduzione a cura del curatore

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 concept a cura del curatore

Justin Randolph Thompson, co-fondatore e direttore Black History Month Florence

Justin Randolph Thompson, co-founder and director Black History Month Florence
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 concept a cura del curatore

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Justin Randolph Thompson su Amelia Umuhire

Justin Randolph Thompson, co-fondatore e direttore Black History Month Florence

Justin Randolph Thompson su Amelia Umuhire
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Justin Randolph Thompson su Amelia Umuhire

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Justin Randolph Thompson su Nari Ward

Justin Randolph Thompson, co-fondatore e direttore Black History Month Florence

Justin Randolph Thompson su Nari Ward
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Justin Randolph Thompson su Nari Ward

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Justin Randolph Thompson su Sasha Huber

Justin Randolph Thompson, co-founder and director Black History Month Florence

Justin Randolph Thompson su Sasha Huber
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020 Justin Randolph Thompson su Sasha Huber

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020

Janine Gaëlle Dieudji su M'Barek Bouhchichi

Janine Gaëlle Dieudji su M'Barek Bouhchichi
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020

Janine Gaelle Dieudji su Adji Dieye

Janine Gaelle Dieudji su Adji Dieye
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020

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Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020

Janine Gaelle Dieudji su Delio Jasse

Janine Gaelle Dieudji su Delio Jasse
Sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito BHMF 2020

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Black Archive Alliance

Black History Month Florence 2020

Un progetto di Villa Romana in collaborazione con Black History Month Florence

Black Archive Alliance ha portato a Firenze uno sguardo insolito: quello di nove studenti alla ricerca di segni di una presenza africana in città. Il progetto, nato dalla collaborazione fra Villa Romana e Black History Month Florence, giunto alla seconda edizione, ha spaziato, per campi molto diversi, dall’era moderna alla contemporaneità. Le storie che questo esercizio archeologico ha permesso di raccontare sono altrettanti brani di una Firenze poco nota, se non del tutto sconosciuta, che incrocia l’Africa – e Africani del continente e della diaspora – e con essa tesse, di volta in volta, rapporti culturali, politici, economici, a cominciare dal XV secolo fino all’oggi.

Il lavoro ha spaziato da luoghi della ricerca per eccellenza, come la Biblioteca Laurenziana e l’Archivio del Risorgimento, a centri di studio noti soprattutto agli specialisti, come l’Istituto Agronomico dell’Oltremare (og

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Un progetto di Villa Romana in collaborazione con Black History Month Florence

Black Archive Alliance ha portato a Firenze uno sguardo insolito: quello di nove studenti alla ricerca di segni di una presenza africana in città. Il progetto, nato dalla collaborazione fra Villa Romana e Black History Month Florence, giunto alla seconda edizione, ha spaziato, per campi molto diversi, dall’era moderna alla contemporaneità. Le storie che questo esercizio archeologico ha permesso di raccontare sono altrettanti brani di una Firenze poco nota, se non del tutto sconosciuta, che incrocia l’Africa – e Africani del continente e della diaspora – e con essa tesse, di volta in volta, rapporti culturali, politici, economici, a cominciare dal XV secolo fino all’oggi.

Il lavoro ha spaziato da luoghi della ricerca per eccellenza, come la Biblioteca Laurenziana e l’Archivio del Risorgimento, a centri di studio noti soprattutto agli specialisti, come l’Istituto Agronomico dell’Oltremare (oggi una delle sedi dell’Agenzia italiana per la cooperazione internazionale) e l’Istituto Geografico Militare, a carte private e alle collezioni di Palazzo Pitti, con il Tesoro dei Granduchi. La seconda edizione del progetto è stata realizzata con un format di tutoraggio con docenti e studiosi in tandem con gli studenti che guidano la loro ricerca. Il progetto ha collaborato con studiosi dell’Università degli Studi di Firenze, Studio Arts College International, NYU Florence, Villa I Tatti, Syracuse University Florence, Santa Reparata International School of Art e ISI Florence.

A cura di Justin Randolph Thompson, BHMF e Agnes Stillger, Villa Romana

Black Archive Alliance

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Black Archive Alliance

Black History Month Florence 2020

Black Archive Alliance

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Mohamed Keita

Fotografo

Mohamed Keita nasce in Costa D’Avorio nel 1993. A 14 anni lascia il proprio Paese, in piena guerra civile, per affrontare da solo un viaggio tra la Guinea, il Mali, l’Algeria e la Libia dove si imbarca per attraversare il Mediterraneo. Dopo lo sbarco a Malta, riesce a raggiungere l’Italia nel 2010. Quando arriva a Roma, a 17 anni, vive per strada per alcuni mesi e inizia a frequentare il centro diurno per minori Civico Zero di Savethechildren, dove gli regalano la sua prima macchina fotografica.

Vive e lavora a Roma dove insegna fotografia presso il centro Civico Zero. Nel 2017 ha aperto un laboratorio per ragazzi di strada in Mali.

Principali esposizioni e premi:

“Piedi, scarpe, bagagli”, Camera dei Deputati, Roma, 2012
“Ritratti”, XII Festival Internazionale di Roma, MACRO, Roma, 2014
Premio ‘young/old photographer’ PHC Capalbio fotografia, 2015
“Desperate crossing” mostra di Mohamed Keita e Paolo Pellegrin, Istituto italiano di cultura di New York, 2016
“Par



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Mohamed Keita nasce in Costa D’Avorio nel 1993. A 14 anni lascia il proprio Paese, in piena guerra civile, per affrontare da solo un viaggio tra la Guinea, il Mali, l’Algeria e la Libia dove si imbarca per attraversare il Mediterraneo. Dopo lo sbarco a Malta, riesce a raggiungere l’Italia nel 2010. Quando arriva a Roma, a 17 anni, vive per strada per alcuni mesi e inizia a frequentare il centro diurno per minori Civico Zero di Savethechildren, dove gli regalano la sua prima macchina fotografica.

Vive e lavora a Roma dove insegna fotografia presso il centro Civico Zero. Nel 2017 ha aperto un laboratorio per ragazzi di strada in Mali.

Principali esposizioni e premi:

“Piedi, scarpe, bagagli”, Camera dei Deputati, Roma, 2012
“Ritratti”, XII Festival Internazionale di Roma, MACRO, Roma, 2014
Premio ‘young/old photographer’ PHC Capalbio fotografia, 2015
“Desperate crossing” mostra di Mohamed Keita e Paolo Pellegrin, Istituto italiano di cultura di New York, 2016
“Par l’errance”, Centro d’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, 2018
“Rothko in Lampedusa”, mostra collettiva organizzata da UNHCR, Fondazione Ugo e Olga Levi, Venezia, 2019

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Gabriele Pantaleo

Curatore

Gabriele Pantaleo consegue la Laurea magistrale in Storia dell’arte – Metodologia della ricerca storico-artistica presso l’Università degli studi di Genova nel 2013.
Nel 2015 è vincitore del bando ‘Open call per giovani curatori’ indetto dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato e partecipa all’organizzazione della mostra Così ti ha fatto Dio e così ti devo tenere nell’ambito del progetto TU35 per la mappatura della giovane arte in Toscana.
L’anno dopo ritorna al Centro Pecci e partecipa all’organizzazione della mostra Guardare il mondo di oggi e immaginare quello di domani che prosegue il lavoro di scoperta dei giovani artisti residenti nella regione.
Nel 2018 si iscrive al corso N.I.C.E. per curatori indipendenti che gli permette di curare la mostra Mettersi a nudo allestita durante la fiera d’arte Paratissima di Torino.
Nel 2019 è assistente docente del Master in Mangement in servizi museali organizzat



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Gabriele Pantaleo consegue la Laurea magistrale in Storia dell’arte – Metodologia della ricerca storico-artistica presso l’Università degli studi di Genova nel 2013.
Nel 2015 è vincitore del bando ‘Open call per giovani curatori’ indetto dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato e partecipa all’organizzazione della mostra Così ti ha fatto Dio e così ti devo tenere nell’ambito del progetto TU35 per la mappatura della giovane arte in Toscana.
L’anno dopo ritorna al Centro Pecci e partecipa all’organizzazione della mostra Guardare il mondo di oggi e immaginare quello di domani che prosegue il lavoro di scoperta dei giovani artisti residenti nella regione.
Nel 2018 si iscrive al corso N.I.C.E. per curatori indipendenti che gli permette di curare la mostra Mettersi a nudo allestita durante la fiera d’arte Paratissima di Torino.
Nel 2019 è assistente docente del Master in Mangement in servizi museali organizzato da Palazzo Spinelli Associazione no profit in collaborazione con Mus.E. Firenze.
Nello stesso anno ha curato la mostra fotografica di Mohamed Keita Nel Pensiero, Nello Sguardo, presso MAD Murate Art District, Firenze.

 

Pubblicazioni:

  1. Pantaleo, A. Foglia, Non siamo immaginabili ma saremo immaginati di Gabriele Mauro, in (a cura di) F. Cavallucci, La fine del mondo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2016
  2. Pantaleo, L. Romano (a cura di), Mettersi a nudo, Prinp Editore, 2018

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Nel pensiero, nello sguardo

Mostra fotografica di Mohamed Keita

Progetto realizzato e prodotto nel corso di una residenza artistica presso MAD, a cura di Gabriele Pantaleo

La residenza di Mohamed Keita presso MAD Murate Art District si è focalizzata sul rapporto tra migrazioni e immagini; in particolare sulle rappresentazioni dell’integrazione istituzionale e del volontariato nei media. Il progetto ha quindi preso forma attraverso le visite ai centri di seconda accoglienza della provincia di Firenze. Qui Mohamed Keita ha realizzato gli scatti presentati in questa mostra, che si offre quale modo diverso di rappresentare l’alterità, perché questa sia non solo oggetto dello sguardo e del pensiero, ma agente nel pensiero e nello sguardo.

Nel pensiero_ Le immagini rappresentano oggi un materiale estremamente diffuso, abbondante, invadente persino. La velocità che caratterizza la fruizione visuale e cognitiva nei media digitali rende il loro approccio sempre più distaccato e fugace. Partendo da questa constatazione, l’allestimento della mostra

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Progetto realizzato e prodotto nel corso di una residenza artistica presso MAD, a cura di Gabriele Pantaleo

La residenza di Mohamed Keita presso MAD Murate Art District si è focalizzata sul rapporto tra migrazioni e immagini; in particolare sulle rappresentazioni dell’integrazione istituzionale e del volontariato nei media. Il progetto ha quindi preso forma attraverso le visite ai centri di seconda accoglienza della provincia di Firenze. Qui Mohamed Keita ha realizzato gli scatti presentati in questa mostra, che si offre quale modo diverso di rappresentare l’alterità, perché questa sia non solo oggetto dello sguardo e del pensiero, ma agente nel pensiero e nello sguardo.

Nel pensiero_ Le immagini rappresentano oggi un materiale estremamente diffuso, abbondante, invadente persino. La velocità che caratterizza la fruizione visuale e cognitiva nei media digitali rende il loro approccio sempre più distaccato e fugace. Partendo da questa constatazione, l’allestimento della mostra è stato concepito con lo scopo di creare un tempo per l’immagine, evocando la composizione delle pale d’altare medievali e rinascimentali. L’esposizione, scevra da didascalie, voleva proporsi come un racconto visivo, in cui il pensiero dello spettatore potesse trovar spazio per esplorare.

Nello sguardo_ La mostra si è aperta con una serie di scatti che inquadravano particolari architettonici dei luoghi visitati; gli spazi introducevano il racconto, catturando lo sguardo con un gioco coloristico molto delicato, ma l’uomo iniziava subito ad essere evocato con la presenza di alcuni oggetti quali indumenti stesi al sole. L’esposizione continuava con un dialogo costante tra ritratti degli ospiti e particolari dei luoghi vissuti, concludendosi con un dittico di ritratti. Mohamed ha evitato di produrre ritratti pietistici o stereotipati che cercassero il dolore negli occhi dei soggetti o nella loro condizione fisica. Le persone sono state ritratte nella loro umanità individuale e non nella loro tragica storia: accettare l’alterità non contempla alcun pietismo.

Nel pensiero, nello sguardo_ Il rapporto tra le strutture geometriche e i volti è una precisa scelta stilistica e narrativa del fotografo, che non crea immagini da osservare soltanto nella loro bellezza formale, dimentiche del contesto e dei soggetti. Al contrario la composizione è il mezzo attraverso il quale catturare lo sguardo, spingerlo a soffermarsi e a prendersi del tempo; per attivare un pensiero che non si fermi alla superficie ma sia in grado di assaporare il messaggio dell’immagine, scoprirne il vero contenuto.

A margine dell’indagine di residenza sono stati creati anche due ‘racconti’, qui esposti, che cercano di guardare da dentro il mondo degli SPRAR e del volontariato, accompagnati da immagini di Aboubacar Kourouma, ospite di un centro di seconda accoglienza.

Per il progetto Integrazione e media sulla integrazione dei migranti, in collaborazione con SPRAR.

Nel pensiero, nello sguardo

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Nel pensiero, nello sguardo

Mostra fotografica di Mohamed Keita

Nel pensiero, nello sguardo

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Piero Mottola

Florentine Voices

Piero Mottola è artista e musicista sperimentale, docente di Sound Design e Plastica Ornamentale all’Accademia di Belle Arti di Roma. Direttore del LER Laboratorio di Estetica del Rumore, la sua formazione avviene nell’ambito della Teoria Eventualista presso il Centro Studi Jartrakor di Roma dove nel 1988 tiene la sua prima personale con gli esperimenti interattivi “Miglioramento-Peggioramento” e “Bello-Brutto”.  Indaga la soggettività e la libera interpretazione del fruitore a strutture visive e sonore attraverso esperimenti e misurazioni. È stato invitato da diverse università internazionali a tenere conferenze e a svolgere master sulla relazione tra rumore ed emozione. I risultati di tali ricerche sono stati pubblicati nel libro Passeggiate emozionali, dal rumore alla Musica Relazionale, presentato in diverse università italiane e internazionali e nell’ambito di trasmissioni culturali della radiotelevisione italiana, Rai Uno, Rai Radio Tre e Radio Cultura Argenti

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Piero Mottola è artista e musicista sperimentale, docente di Sound Design e Plastica Ornamentale all’Accademia di Belle Arti di Roma. Direttore del LER Laboratorio di Estetica del Rumore, la sua formazione avviene nell’ambito della Teoria Eventualista presso il Centro Studi Jartrakor di Roma dove nel 1988 tiene la sua prima personale con gli esperimenti interattivi “Miglioramento-Peggioramento” e “Bello-Brutto”.  Indaga la soggettività e la libera interpretazione del fruitore a strutture visive e sonore attraverso esperimenti e misurazioni. È stato invitato da diverse università internazionali a tenere conferenze e a svolgere master sulla relazione tra rumore ed emozione. I risultati di tali ricerche sono stati pubblicati nel libro Passeggiate emozionali, dal rumore alla Musica Relazionale, presentato in diverse università italiane e internazionali e nell’ambito di trasmissioni culturali della radiotelevisione italiana, Rai Uno, Rai Radio Tre e Radio Cultura Argentina. Queste ricerche sono state presentate anche in diverse istituzioni museali nazionali e internazionali: Palazzo Esposizioni, Roma (1993); MAMBA, Museo Arte Moderno, Buenos Aires (2013); Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma (2013); MACRO, Museo d’arte contemporanea, Roma (2015, 2017; 2018); Museo Hermann Nitsch-Fondazione Morra, Napoli (2009, 2015, 2019); MAC Museo d’arte contemporanea, Santiago del Cile (2016); Beijing Institute of Graphic Communication (2017); Istituto di Cultura Italiano, Pechino (2017);  Museo della Certosa di S. Lucia, Rome (2018); Museo della Certosa di S. Martino, Castel S. Elmo, Napoli (2018, 2019); CCK Kirchner Cultural Center, Buenos Aires (2019); Istituto Italiano di Cultura, Buenos Aires (2019).

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Florentine Voices

Piero Mottola

Florentine Voices, primo progetto nato sotto l’egida di Murate Art District  è lo step fiorentino di una ricerca finora condotta a Valencia, Lisbona, Tenerife, Roma, Santiago del Cile, Lipsia, Varsavia, L’Avana, Buenos Aires, Wuhan, Shanghai, Pechino.

Alle persone che hanno partecipato all’esperimento negli scorsi mesi, convocati con bando pubblico, è stato chiesto di associare a dieci parametri emozionali (paura, angoscia, agitazione, collera, tristezza, stupore, eccitazione, piacere, gioia, calma) suoni e rumori prodotti esclusivamente con la voce e con il proprio corpo. Le centinaia di frammenti sonori ottenuti sono stati catalogati e intrecciati dall’artista in composizioni realizzate mediante l’ “autocorrelatore acustico”, un sistema capace di costruire algoritmi e trasformarli in opere grafiche che assomigliano a quadri astratti e variopinti. In questo modo l’opera restituisce un composito e fluttuante ritratto emotivo e internazionale della città.

Nelle t

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Florentine Voices, primo progetto nato sotto l’egida di Murate Art District  è lo step fiorentino di una ricerca finora condotta a Valencia, Lisbona, Tenerife, Roma, Santiago del Cile, Lipsia, Varsavia, L’Avana, Buenos Aires, Wuhan, Shanghai, Pechino.

Alle persone che hanno partecipato all’esperimento negli scorsi mesi, convocati con bando pubblico, è stato chiesto di associare a dieci parametri emozionali (paura, angoscia, agitazione, collera, tristezza, stupore, eccitazione, piacere, gioia, calma) suoni e rumori prodotti esclusivamente con la voce e con il proprio corpo. Le centinaia di frammenti sonori ottenuti sono stati catalogati e intrecciati dall’artista in composizioni realizzate mediante l’ “autocorrelatore acustico”, un sistema capace di costruire algoritmi e trasformarli in opere grafiche che assomigliano a quadri astratti e variopinti. In questo modo l’opera restituisce un composito e fluttuante ritratto emotivo e internazionale della città.

Nelle tre celle al primo piano di MAD è invece esposto un excursus del lavoro dell’artista che  riconduce alle origini delle sperimentazioni degli anni Ottanta e primi anni Novanta sul concetto di “Miglioramento Peggioramento” estetico e delle categorie di “Bello Brutto”, in cui l’artista si poneva il problema della misurazione del processo creativo con pratiche relazionali attraverso il coinvolgimento diretto del pubblico.

Infine, l’esuberanza cromatica delle opere più recenti, esposte nell’ultima cella, rivela il processo di ricerca dell’artista, volto a restituire partiture visive che rispondono alla ricerca di godimento estetico espressa dal fruitore.

 

 

Florentine Voices

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Florentine Voices, Piero Mottola

Florentine voices, prosegue a Firenze la ricerca sperimentale itinerante e in progress condotta dall’artista Piero Mottola volta ad indagare le potenzialità evocative e musicali della voce di persone comuni, in diverse aree geografiche del pianeta. 

Florentine Voices, Piero Mottola

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Florentine Voices

Piero Mottola

Florentine Voices | Piero Mottola
Florentine Voices

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Concerto integrale Florentine Voices

Piero Mottola e il coro delle Florentine e Chinese Voices

Concerto integrale Florentine Voices, Piero Mottola
Concerto integrale Florentine Voices

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Lucia Baldini

Fotografa

Lucia Baldini vive a San Giovanni Valdarno, punto di partenza del suo viaggio fotografico. Fin dai primi anni di lavoro, facendo parte della casa discografica Materiali Sonori, attraverso mostre, copertine di dischi e collaborazioni con testate musicali, le sue immagini sono divenute un’importante testimonianza della scena underground musicale degli anni Ottanta. Lavora come fotografa di scena per molte compagnie e festival di teatro e danza. Dal 1990 trova una forte affinità con la cultura del tango argentino. Nel 1997 pubblica il libro fotografico “Giorni di Tango” che diviene il catalogo della mostra omonima. Entra in contatto con le più interessanti realtà legate al tango argentino e nel 2001, in collaborazione con la giornalista Michela Fregona, realizza il volume “Anime Altrove – luoghi e genti del tango argentino in Italia”. Nel 1996, con lo spettacolo “Omaggio a Nijinsky”, diretto da Beppe Menegatti, inizia la collaborazione con Carla Fracci, che durerà per

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Lucia Baldini vive a San Giovanni Valdarno, punto di partenza del suo viaggio fotografico. Fin dai primi anni di lavoro, facendo parte della casa discografica Materiali Sonori, attraverso mostre, copertine di dischi e collaborazioni con testate musicali, le sue immagini sono divenute un’importante testimonianza della scena underground musicale degli anni Ottanta. Lavora come fotografa di scena per molte compagnie e festival di teatro e danza. Dal 1990 trova una forte affinità con la cultura del tango argentino. Nel 1997 pubblica il libro fotografico “Giorni di Tango” che diviene il catalogo della mostra omonima. Entra in contatto con le più interessanti realtà legate al tango argentino e nel 2001, in collaborazione con la giornalista Michela Fregona, realizza il volume “Anime Altrove – luoghi e genti del tango argentino in Italia”. Nel 1996, con lo spettacolo “Omaggio a Nijinsky”, diretto da Beppe Menegatti, inizia la collaborazione con Carla Fracci, che durerà per oltre 12 anni. Nel 2003 pubblica per la Materiali Sonori il libro fotografico: “Banda Improvvisa, cinquanta angeli musicanti sospesi su un cielo di note “. Nel 2005 i libri vengono pubblicati due nuovi progetti editoriali: “Carla Fracci – Immagini”: una monografia fotografica che testimonia la lunga collaborazione con la Fracci, e “Tangomalìa”, i due libri divengono mostre che vengono accolte in Italia e all’estero.

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In cartoons

Mostra fotografica di Lucia Baldini

Il progetto fotografico “In Cartoons”, promosso da Baleri Italia e ispirato alla collezione Cartoons di Luigi Baroli (Compasso d’Oro 1994), ha raccontato in ventotto scatti un viaggio alla scoperta di Firenze e di chi quotidianamente vive la città, fianco a fianco con il celebre paravento. I protagonisti sono professionisti di ambiti differenti, persone che con le loro attività rappresentano modelli positivi e la vera identità del territorio (da Andrea Ferrara direttore di ricerca della Normale di Pisa allo scrittore Vanni Santoni, a Fuad Aziz artista riconosciuto a livello internazionale, alle Dragon Boat, donne impegnate nella ricerca contro il cancro, Sergio Staino in dialogo con il suo Bobo, una stele in omaggio al poeta Mario Luzi e ancora molti altri interessanti personaggi).
Ogni scatto ha raccontato dell’incontro tra Cartoons e un diverso personaggio, ritratti insieme nell’ambiente più emblematico per lo stesso. Cartoons diventa così un interlocutore

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Il progetto fotografico “In Cartoons”, promosso da Baleri Italia e ispirato alla collezione Cartoons di Luigi Baroli (Compasso d’Oro 1994), ha raccontato in ventotto scatti un viaggio alla scoperta di Firenze e di chi quotidianamente vive la città, fianco a fianco con il celebre paravento. I protagonisti sono professionisti di ambiti differenti, persone che con le loro attività rappresentano modelli positivi e la vera identità del territorio (da Andrea Ferrara direttore di ricerca della Normale di Pisa allo scrittore Vanni Santoni, a Fuad Aziz artista riconosciuto a livello internazionale, alle Dragon Boat, donne impegnate nella ricerca contro il cancro, Sergio Staino in dialogo con il suo Bobo, una stele in omaggio al poeta Mario Luzi e ancora molti altri interessanti personaggi).
Ogni scatto ha raccontato dell’incontro tra Cartoons e un diverso personaggio, ritratti insieme nell’ambiente più emblematico per lo stesso. Cartoons diventa così un interlocutore con cui ognuno è chiamato a interagire, raccontandosi anche attraverso questo versatile oggetto di design. Omaggio al padre di Cartoons, uno scatto con lo stesso Luigi Baroli, che si aggiunge ai volti toscani e alle loro storie Lavorare trasversalmente su mondi paralleli per creare, grazie ad un fil rouge comune, un racconto inedito, è il modus operandi di Lucia Baldini – riscontrabile anche in altri suoi lavori (come Tangonalìa o il percorso di 12 anni insieme a Carla Fracci).
“Cartoons l’ho scoperto in un bel negozio di design a Firenze. Per questo ho pensato fosse bello far partire il viaggio con Cartoons proprio da questa città” afferma Lucia Baldini “Il progetto In Cartoons è stato esso stesso un viaggio, in cui Cartoons è stato un compagno complice e ludico”.
La mostra “In Cartoons” faceva parte del progetto “Reading in the Square” ed è  stato uno degli eventi dell’Estate Fiorentina 2019.

In cartoons

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China Project 2019

China Project 2019 - Progetto RIVA

Il progetto di residenze di artisti cinesi in Italia si è rinnovato nel 2019 con due nuovi artisti selezionati per un periodo di residenza che è andato dal 7 ottobre al 1 novembre 2019 e che rientrava nel Progetto RIVA curato e diretto da Valentina Gensini, in collaborazione con Zhong Art International, realizzato in co-progettazione e con il contributo di Sensi Contemporanei nell’ambito dell’accordo di programma quadro tra Regione Toscana, Mibac Direzione Generale Cinema e Agenzia per la Coesione Territoriale.

I due artisti selezionati nel 2019 sono stati Xiang Zhang e Yanrong Liu.
È stato possibile visitare gli artisti nel loro studio 30 e il 31 ottobre 2019 e seguire così il lavoro che hanno portato avanti durante il loro periodo di residenza, con la possibilità di conversare con loro anche grazie alla collaborazione di Zhong Art International.


Il progetto di residenze di artisti cinesi in Italia si è rinnovato nel 2019 con due nuovi artisti selezionati per un periodo di residenza che è andato dal 7 ottobre al 1 novembre 2019 e che rientrava nel Progetto RIVA curato e diretto da Valentina Gensini, in collaborazione con Zhong Art International, realizzato in co-progettazione e con il contributo di Sensi Contemporanei nell’ambito dell’accordo di programma quadro tra Regione Toscana, Mibac Direzione Generale Cinema e Agenzia per la Coesione Territoriale.

I due artisti selezionati nel 2019 sono stati Xiang Zhang e Yanrong Liu.
È stato possibile visitare gli artisti nel loro studio 30 e il 31 ottobre 2019 e seguire così il lavoro che hanno portato avanti durante il loro periodo di residenza, con la possibilità di conversare con loro anche grazie alla collaborazione di Zhong Art International.

China Project 2019

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Racconto sull'Arno

Progetto RIVA

Attraverso i ricordi spontanei dei cittadini di Firenze, residenti o di passaggio, radicati sul territorio o nuovi arrivati, si è voluto costruire un diario collettivo che avesse come filo conduttore il fiume Arno. I racconti di ciascuno dei partecipanti è andato a ampliare la memoria collettiva sul fiume che, attraversando la città, ha attraversato le vite di tutti i fiorentini.

Attraverso i ricordi spontanei dei cittadini di Firenze, residenti o di passaggio, radicati sul territorio o nuovi arrivati, si è voluto costruire un diario collettivo che avesse come filo conduttore il fiume Arno. I racconti di ciascuno dei partecipanti è andato a ampliare la memoria collettiva sul fiume che, attraversando la città, ha attraversato le vite di tutti i fiorentini.

Racconto sull'Arno

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Cecilia Canziani

Curator Exhibition Autoritratti | Sui Generis

Critico d’arte e curatrice, il suo lavoro si concentra sulla pratica artistica contemporanea come interrogazione dello spazio culturale e del suo contesto e sulla didattica della cultura visiva contemporanea. Membro fondatore dello spazio non profit 1: 1projects, insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo e l’Università di Roma La Sapienza. Da gennaio 2009, insieme a Ilaria Gianni, è direttrice artistica della Nomas Foundation, Roma.

Critico d’arte e curatrice, il suo lavoro si concentra sulla pratica artistica contemporanea come interrogazione dello spazio culturale e del suo contesto e sulla didattica della cultura visiva contemporanea. Membro fondatore dello spazio non profit 1: 1projects, insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo e l’Università di Roma La Sapienza. Da gennaio 2009, insieme a Ilaria Gianni, è direttrice artistica della Nomas Foundation, Roma.

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Progetto RIVA | 2018

a cura di Valentina Gensini

Nel 2018 il Progetto RIVA ha proseguito la collaborazione con Pelago e Montelupo Fiorentino e ha coinvolto sia il centro che le periferie del Comune di Firenze ponendo l’attenzione alle tematiche ambientali, ma anche al contesto economico, politico e sociale. Uno degli eventi principali è stata la mostra QUI di Paolo Masi, in cui sono state esposte 12 nuove opere site-specific prodotte durante 6 mesi di residenza artistiche presso MAD Murate Art District. Nel comune di Montelupo Fiorentino hanno operato Yuval Avital ed il coro di migranti ConFusion diretto da Benedetta Manfriani, Tempo Reale con il progetto “Sentieri del silenzio” presso l’ex ospedale psichiatrico, e Radio Papesse con le “Storie dell’Arno a Montelupo”. Nell’altro comune attraversato dall’Arno, Pelago, sono stati ospitati il fotografo Davide Virdis, che ha presentato una mostra nello spazio pubblico ed un workshop in collaborazione con la Fondazione Studio Marangoni, ed il collettivo artistico Studio

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Nel 2018 il Progetto RIVA ha proseguito la collaborazione con Pelago e Montelupo Fiorentino e ha coinvolto sia il centro che le periferie del Comune di Firenze ponendo l’attenzione alle tematiche ambientali, ma anche al contesto economico, politico e sociale. Uno degli eventi principali è stata la mostra QUI di Paolo Masi, in cui sono state esposte 12 nuove opere site-specific prodotte durante 6 mesi di residenza artistiche presso MAD Murate Art District. Nel comune di Montelupo Fiorentino hanno operato Yuval Avital ed il coro di migranti ConFusion diretto da Benedetta Manfriani, Tempo Reale con il progetto “Sentieri del silenzio” presso l’ex ospedale psichiatrico, e Radio Papesse con le “Storie dell’Arno a Montelupo”. Nell’altro comune attraversato dall’Arno, Pelago, sono stati ospitati il fotografo Davide Virdis, che ha presentato una mostra nello spazio pubblico ed un workshop in collaborazione con la Fondazione Studio Marangoni, ed il collettivo artistico Studio ++.
Presso Murate Art District sono stati proposti talk e lezioni in italiano ed in inglese a cura di LWCircus e del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. Durante il 2018 Progetto RIVA si è aperto anche all’Oriente, grazie alla collaborazione con Zhong Art International, ospitando tre artisti cinesi in residenza presso MAD, invitati a presentare la loro particolare visione sull’Arno.

 

Progetto RIVA | 2018

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Bettina Buck

Sui Generis | Autoritratti

Bettina Buck (Colonia 1974, Berlino 2018) si è diplomata presso il Kunsthochschule für Medien di Colonia e ha poi ottenuto un Master in Fine Art presso Goldsmiths, University of London.  La sua ricerca si concentrasulla nozione scultura come durata e collasso, caso e trasformazione. Mostre selezionate: 2018 Raumfolgen, Schloß Burgau, Düren; 2016 City Dance Köln; Tutta l’Italia è silenziosa  Accademia Tedesca di Villa Massimo e Accademia Reale di Spagna, Roma 2014 Another Interlude, Performance, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, To continue. Notes towards a Sculpture Cycle: Scale, Nomas Foundation, Roma; 2012 A House of Leaves, David Roberts Art Foundation, London; 2011 V&A cycle (performance), performance, Postmodernism: Style and Subversion 1970-1990: Friday Late: The Postmodern Look, V&A, London; 2010 Platzhalter, Galerie Monitor, Roma; 2007 Reaparecidos, Museo de la Ciudad, Quito. Tra il 2009 e il 2017 ha realizzato cinque Invite projects, u

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Bettina Buck (Colonia 1974, Berlino 2018) si è diplomata presso il Kunsthochschule für Medien di Colonia e ha poi ottenuto un Master in Fine Art presso Goldsmiths, University of London.  La sua ricerca si concentrasulla nozione scultura come durata e collasso, caso e trasformazione. Mostre selezionate: 2018 Raumfolgen, Schloß Burgau, Düren; 2016 City Dance Köln; Tutta l’Italia è silenziosa  Accademia Tedesca di Villa Massimo e Accademia Reale di Spagna, Roma 2014 Another Interlude, Performance, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, To continue. Notes towards a Sculpture Cycle: Scale, Nomas Foundation, Roma; 2012 A House of Leaves, David Roberts Art Foundation, London; 2011 V&A cycle (performance), performance, Postmodernism: Style and Subversion 1970-1990: Friday Late: The Postmodern Look, V&A, London; 2010 Platzhalter, Galerie Monitor, Roma; 2007 Reaparecidos, Museo de la Ciudad, Quito. Tra il 2009 e il 2017 ha realizzato cinque Invite projects, una serie di mostre strutturate come un dialogo tra la propria pratica e quella di un’artista con il cui lavoro ha sentito un rapporto di intimità e confronto: Cologne, 2009; Berlin 2011; London, 2012; Exeter, 2013; Berlin, 2017.

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Chiara Camoni

Sui Generis | Autoritratti

Chiara Camoni (Piacenza, 1974) vive a lavora a Fabbiano, in Alta Versilia. Diplomata in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera, lavora per alcuni anni con l’Istituto per la Diffusione delle Scienze Naturali di Napoli. Insieme ad altri artisti fonda il Magra – Museo d’Arte contemporanea di Granara. Con Cecilia Canziani sta sviluppando il ciclo di seminari La Giusta Misura, avviato presso le Murate Progetti Arte Contemporanea di Firenze. Tra le mostre recenti: Zenzic, con Anna Barham, curata da Caterina Avataneo, Arcade Gallery, London; Sisters, MIMA – Middlesbrough Institute of Modern Art, Middlesbrough; La Vita Materiale. Otto stanze, otto storie, curata da Marina Dacci, Palazzo da Mosto, Reggio Emilia; Il disegno del disegno, curata da Saretto Cincinelli, Museo Novecento, Firenze.

Chiara Camoni (Piacenza, 1974) vive a lavora a Fabbiano, in Alta Versilia. Diplomata in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera, lavora per alcuni anni con l’Istituto per la Diffusione delle Scienze Naturali di Napoli. Insieme ad altri artisti fonda il Magra – Museo d’Arte contemporanea di Granara. Con Cecilia Canziani sta sviluppando il ciclo di seminari La Giusta Misura, avviato presso le Murate Progetti Arte Contemporanea di Firenze. Tra le mostre recenti: Zenzic, con Anna Barham, curata da Caterina Avataneo, Arcade Gallery, London; Sisters, MIMA – Middlesbrough Institute of Modern Art, Middlesbrough; La Vita Materiale. Otto stanze, otto storie, curata da Marina Dacci, Palazzo da Mosto, Reggio Emilia; Il disegno del disegno, curata da Saretto Cincinelli, Museo Novecento, Firenze.

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Sui Generis | Autoritratti

Chiara Camoni / Bettina Buck con le parole di Cecilia Canziani e una conferenza di Chiara Frugoni

Le ricerche di Chiara Frugoni sono state fonte di ispirazione nel corso di tutto il progetto con assonanze tra il luogo e le riflessioni del seminario e i temi da lei trattati, su Chiara d’Assisi e sul ruolo del convento come luogo non solo di esclusione, ma anche di emancipazione.

Il percorso si è sviluppato in tre momenti: letture collettive, una lecture pubblica e infine, a dare un ritmo al pensiero, l’azione collettiva del lavoro al telaio, al quale – nel corso dei mesi – si sono alternate tante diverse mani di artigiane, artiste e curatrici che hanno lasciato traccia del loro operato realizzando un tappeto che è anche il fulcro del percorso espositivo. Non essendo possibile raccontare in forma di mostra i seminari, Autoritratti rappresenta il tentativo di ridistribuire, attraverso una serie di opere e ulteriori momenti di approfondimento, il senso di un percorso costruito di relazioni tra persone e ambiti del sapere, con le parole di libri e con le opere di autori div

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Le ricerche di Chiara Frugoni sono state fonte di ispirazione nel corso di tutto il progetto con assonanze tra il luogo e le riflessioni del seminario e i temi da lei trattati, su Chiara d’Assisi e sul ruolo del convento come luogo non solo di esclusione, ma anche di emancipazione.

Il percorso si è sviluppato in tre momenti: letture collettive, una lecture pubblica e infine, a dare un ritmo al pensiero, l’azione collettiva del lavoro al telaio, al quale – nel corso dei mesi – si sono alternate tante diverse mani di artigiane, artiste e curatrici che hanno lasciato traccia del loro operato realizzando un tappeto che è anche il fulcro del percorso espositivo. Non essendo possibile raccontare in forma di mostra i seminari, Autoritratti rappresenta il tentativo di ridistribuire, attraverso una serie di opere e ulteriori momenti di approfondimento, il senso di un percorso costruito di relazioni tra persone e ambiti del sapere, con le parole di libri e con le opere di autori diversi e distanti nel tempo. Le opere di Chiara Camoni e Bettina Buck in mostra invitano a riflettere sulla relazione tra corpo e spazio, sul modo in cui i corpi costruiscono ambienti, i gesti generano mondi, i mondi raccontano relazioni, e le relazioni sono un modo per reinventare le modalità di stare insieme, produrre, esporre.

I gesti e le voci di chi ha partecipato agli incontri sono custoditi e rappresentati da un tappeto presentato in mostra e tessuto con la supervisione della tessitrice Paola Aringes.

Attorno a questo oggetto che è anche un luogo, un corpus di lavori inediti di Chiara Camoni fa a sua volta spazio ai lavori realizzati da Bettina Buck tra il 2010 e il 2017. Unite da una riflessione comune sulla scultura e da un’attitudine dialogica, i lavori delle due artiste si offrono come punti di vista l’una sul lavoro dell’altra.

Sui Generis | Autoritratti

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Sui Generis | Autoritratti

Prende il via da un ciclo di incontri dedicati all’identità di genere. I pensieri e le azioni condivisi negli incontri hanno costituito la genesi del progetto che si formalizza ora in un singolare percorso espositivo. 

Sui Generis | Autoritratti

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Mohammad Alfaraj

Fotografo, video artist

La pratica di Mohammad Alfaraj (nato nel 1993 ad Al Hassa, KSA, dove vive e lavora), è incentrata sulla sua esplorazione della relazione tra forme e concetti, ed è visibile attraverso storie sovrapposte nei suoi collage fotografici, raggruppando e mettendo in contrasto soggetti reali e non. Il lavoro di Alfaraj utilizza spesso anche materiali naturali trovati nella sua città natale e li combina con giochi per bambini e storie di persone che lavorano la terra, nel tentativo di creare un piano dove uomo e natura convivono, con un sottofondo di speranza. Un attivista socio-ambientale nel cuore, il suo breve documentario Lost, 2015 (che è stato premiato al primo posto nella categoria studenti al Saudi Film Festival), cattura lo stato latente della nozione di temporalità per gli arabi apolidi, che vivono come rifugiati nel loro luogo di nascita e l’effetto disumanizzante che questo provoca. Questo contesto “poco familiare” ritrae la bellezza velenosa della natura quan

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La pratica di Mohammad Alfaraj (nato nel 1993 ad Al Hassa, KSA, dove vive e lavora), è incentrata sulla sua esplorazione della relazione tra forme e concetti, ed è visibile attraverso storie sovrapposte nei suoi collage fotografici, raggruppando e mettendo in contrasto soggetti reali e non. Il lavoro di Alfaraj utilizza spesso anche materiali naturali trovati nella sua città natale e li combina con giochi per bambini e storie di persone che lavorano la terra, nel tentativo di creare un piano dove uomo e natura convivono, con un sottofondo di speranza. Un attivista socio-ambientale nel cuore, il suo breve documentario Lost, 2015 (che è stato premiato al primo posto nella categoria studenti al Saudi Film Festival), cattura lo stato latente della nozione di temporalità per gli arabi apolidi, che vivono come rifugiati nel loro luogo di nascita e l’effetto disumanizzante che questo provoca. Questo contesto “poco familiare” ritrae la bellezza velenosa della natura quando è vissuta come una nemesi durante la paralisi politica.
Alfaraj si è laureato in ingegneria meccanica alla KFUPM nel 2017. La sua recente mostra personale; Still Life and Plastic Dreams, Athr Gallery, Jeddah KSA (2020) e mostre collettive includono I Love You Urgently, 21,39 SAC, Jeddah, KSA (2020), Durational Portrait; Una breve panoramica della video arte in Arabia Saudita, Athr Gallery, Jeddah, KSA (2020), Sharjah Islamic Festival, Sharjah, UAE (2019). Il suo lavoro è stato anche mostrato alla Sharjah Art Foundation; Le Murate Pac, Firenze (2019); Athr Gallery, Jeddah (2018); 21,39 Jeddah Arts (2017, 2019); Saudi Film Festival, Dammam (2015) e Dubai International Film Festival (2014). Alfaraj ha lavorato come programmatore sia al Saudi Film Festival che al festival della casa di poesia a Dammam.

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The glass between us

Mostra di punta del Middle East Now Festival 2019

THE GLASS BETWEEN US MOHAMMAD ALFARAJ

L’artista saudita protagonista di una residenza realizzata da Middle East Now, MAD Murate Art District e Crossway Foundation Residency in collaborazione con PIA Palazzina Indiano Arte della Compagnia Virgilio Sieni.

La quinta edizione di “Middle East Now x Crossway Foundation Residency”, in partnership con una delle più importanti organizzazioni che promuove i giovani creativi dal Medio Oriente ha proposto la mostra personale di Mohammad Alfaraj, nato in Arabia Saudita nel 1993 e attualmente residente nella provincia Est del paese.

“The glass between us“ è il titolo della sua prima mostra personale che ha presentato a Firenze: una sperimentazione sul suono e sull’immagine per guardare alla vita attraverso gli occhi di un bambino.
In questo nuovo lavoro di ricerca la sorpresa e l’inaspettato nella vita quotidiana creano un enorme mosaico.

La mostra ha proposto opere realizzate dall’artista in Arabia Saudita e a Firenze


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THE GLASS BETWEEN US MOHAMMAD ALFARAJ

L’artista saudita protagonista di una residenza realizzata da Middle East Now, MAD Murate Art District e Crossway Foundation Residency in collaborazione con PIA Palazzina Indiano Arte della Compagnia Virgilio Sieni.

La quinta edizione di “Middle East Now x Crossway Foundation Residency”, in partnership con una delle più importanti organizzazioni che promuove i giovani creativi dal Medio Oriente ha proposto la mostra personale di Mohammad Alfaraj, nato in Arabia Saudita nel 1993 e attualmente residente nella provincia Est del paese.

“The glass between us“ è il titolo della sua prima mostra personale che ha presentato a Firenze: una sperimentazione sul suono e sull’immagine per guardare alla vita attraverso gli occhi di un bambino.
In questo nuovo lavoro di ricerca la sorpresa e l’inaspettato nella vita quotidiana creano un enorme mosaico.

La mostra ha proposto opere realizzate dall’artista in Arabia Saudita e a Firenze nell’ambito di un laboratorio per bambini: un’esperienza sensoriale e visiva semplice nella forma, ma che approfondisce un tema fondamentale e importante, attorno al quale vuole creare un dialogo.

Un progetto di Middle East Now Now, Crossway Foundation e MAD Murate Art District
Il Progetto è stato realizzato nell’ambito di Toscanaincontemporanea2019 con il sostegno di Regione Toscana e Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze

The glass between us

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The glass between us

Mostra di punta del Middle East Film Festival 2019

The glass between us

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The time of Discretion, a cura di Veronica Caciolli

The time of Discretion è l’ultimo progetto a lungo termine dell’artista fiorentina Lisa Mara Batacchi, che presentò un capitolo del lavoro nella mostra omonima prodotta da MAD nel 2018 all'interno del ciclo Global Identities

The time of Discretion, a cura di Veronica Caciolli

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Karyn Olivier

Artista installativo

Karyn Olivier è nota per installazioni su larga scala che provocano un’interruzione degli spazi pubblici e privati. Le forme familiari, alterate nella funzione e nella sostanza, creano inquietanti meditazioni sul ristagno, divisione e peso della materialità. Le sue installazioni esplorano la poetica dello spazio e il ruolo degli spettatori nel plasmare la propria esperienza e il proprio coinvolgimento.

Karyn Olivier è nota per installazioni su larga scala che provocano un’interruzione degli spazi pubblici e privati. Le forme familiari, alterate nella funzione e nella sostanza, creano inquietanti meditazioni sul ristagno, divisione e peso della materialità. Le sue installazioni esplorano la poetica dello spazio e il ruolo degli spettatori nel plasmare la propria esperienza e il proprio coinvolgimento.

Because time in this place does not obey an order

Because time in this place does not obey an order - Black History Month Florence 2019

Because Time In This Place Does Not Obey An Order | Karyn Olivier

A cura di Black History Month Florence
Con la partnership di MAD Murate Art District

In collaborazione con:
Boomker Sound Studios
Syracuse University Florence
SRISA
Vivaio Il Giardiniere
Antonella Bundu
Chris Norcross

Pretesto:
E non si respire più
E non ci si vede più
Ma nella fuga, compagno
Nella paura, compagno
Come nella lotta, compagno
Resterò sempre a fianco a te.
Collettivo Victor Jara, Le Murate

Queste erano le parole scritte e cantate dal collettivo musicale Victor Jara giorni dopo la rivolta del 1974 alle prigioni de Le Murate. La protesta contro le condizioni di vita non idonee e le forze oppressive sono frequenti nei siti che separano, volontariamente o con la forza, i gruppi sociali dal mondo che li circonda.

La natura socio-spirituale di ciò che è giusto e il valore umano sono alla radice della contemplazione nell’ isolamento. Questi sentimenti scaturiti dall’incontro dell’artista con Le Murate.















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Because Time In This Place Does Not Obey An Order | Karyn Olivier

A cura di Black History Month Florence
Con la partnership di MAD Murate Art District

In collaborazione con:
Boomker Sound Studios
Syracuse University Florence
SRISA
Vivaio Il Giardiniere
Antonella Bundu
Chris Norcross

Pretesto:
E non si respire più
E non ci si vede più
Ma nella fuga, compagno
Nella paura, compagno
Come nella lotta, compagno
Resterò sempre a fianco a te.
Collettivo Victor Jara, Le Murate

Queste erano le parole scritte e cantate dal collettivo musicale Victor Jara giorni dopo la rivolta del 1974 alle prigioni de Le Murate. La protesta contro le condizioni di vita non idonee e le forze oppressive sono frequenti nei siti che separano, volontariamente o con la forza, i gruppi sociali dal mondo che li circonda.

La natura socio-spirituale di ciò che è giusto e il valore umano sono alla radice della contemplazione nell’ isolamento. Questi sentimenti scaturiti dall’incontro dell’artista con Le Murate. Progetti Arte Contemporanea, hanno guidato il progetto.

Per la quarta edizione del Black History Month Firenze Karyn Olivier, l’attuale Borsista del Rome Prize all’American Academy in Rome, ha presentato Because Time In This Place Does Not Obey An Order, una serie di installazioni site specific che si cimentano con il rapporto tra giustizia e spiritualità.

Le opere hanno coinvolto la storia del complesso de Le Murate e la sua trasformazione da sito di reclusione spirituale a spazio carcerario, in lotta tra la continuità e il contrasto tra le storie che evoca. La salute mentale, la critica sociale, l’isolamento, la chiusura della storia e la confusione dei sensi mettono i giardini di clausura in dialogo con le parole ferme di Martin Luther King Jr. scritte da una cella di prigionia rivelando tracce di una vita a porte chiuse che reclama diritti universali.

Because time in this place does not obey an order

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Because time in this place does not obey an order

Because time in this place does not obey an order - Black History Month Florence 2019

Because time in this place does not obey an order

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Justin Randolph Thompson | BHMF 2019

Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra 2019

Justin Randolph Thompson
Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra 2019
Justin Randolph Thompson | BHMF 2019

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Lucio Ruvidotti

Fumettista

Lucio Ruvidotti, è un giovane autore attivo nel mondo delle autoproduzioni e nella pagina del settimanale Pagina99, il suo recente libro ritrae “Il principe delle tenebre” in un romanzo biografico ricco di ritmi, colori e sperimentazione che dona a un’icona , evoluzione naturale della collana BD Rock.

Lucio Ruvidotti, è un giovane autore attivo nel mondo delle autoproduzioni e nella pagina del settimanale Pagina99, il suo recente libro ritrae “Il principe delle tenebre” in un romanzo biografico ricco di ritmi, colori e sperimentazione che dona a un’icona , evoluzione naturale della collana BD Rock.

Miles. Assolo a fumetti

Miles. Assolo a fumetti - Black History Month Florence 2019

MILES Assolo a Fumetti di Lucio Ruvidotti A cura di Black History Month Florence

Miles Davis è una delle figure più iconiche della storia del jazz. La sua biografia è un esempio di complessa evoluzione e persistenza artistica. Per molti versi, il jazz è spesso lontano dall’apprezzamento delle giovani generazioni e la magia della sua espansione del suono e dell’impatto culturale viene quindi poco compresa. Questa mostra assume la forma del fumetto per raccontare la vita al tempo di Davis e gli impulsi dietro alcune delle sue composizioni che sono diventate icone del jazz. Lucio Ruvidotti ha trasformato l’amore per il jazz in una striscia che invita lo spettatore a uno sguardo intimo verso l’artista e celebrando l’impatto che ha avuto sul mondo della musica; come Ruvidotti stesso spiega:

“Ho cercato di raccontare la storia di questa figura, il principe delle tenebre, il grande artista, approfittando di alcuni episodi della sua esuberante vita esagerata

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MILES Assolo a Fumetti di Lucio Ruvidotti A cura di Black History Month Florence

Miles Davis è una delle figure più iconiche della storia del jazz. La sua biografia è un esempio di complessa evoluzione e persistenza artistica. Per molti versi, il jazz è spesso lontano dall’apprezzamento delle giovani generazioni e la magia della sua espansione del suono e dell’impatto culturale viene quindi poco compresa. Questa mostra assume la forma del fumetto per raccontare la vita al tempo di Davis e gli impulsi dietro alcune delle sue composizioni che sono diventate icone del jazz. Lucio Ruvidotti ha trasformato l’amore per il jazz in una striscia che invita lo spettatore a uno sguardo intimo verso l’artista e celebrando l’impatto che ha avuto sul mondo della musica; come Ruvidotti stesso spiega:

“Ho cercato di raccontare la storia di questa figura, il principe delle tenebre, il grande artista, approfittando di alcuni episodi della sua esuberante vita esagerata. Ma soprattutto l’obiettivo era mostrare, attraverso il linguaggio dei fumetti, la musica, incredibilmente evoluta, da lui composta, dagli anni Quaranta agli anni Novanta”

La striscia a fumetti pubblicata nel 2018 da Edizioni BD racconta la storia attraverso otto capitoli intitolati con i nomi di alcune delle sue composizioni più importanti. Ogni parte del libro si distingue anche per un diverso uso del colore e della composizione della tavola. La mostra affianca ai disegni originali realizzati dall’artista una serie di stampe del fumetto, accompagnata dalla musica di Miles Davis che pervade la sala Emeroteca delle Murate.

Miles. Assolo a fumetti

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Incontri Confluenti

Progetto RIVA

Nell’autunno 2017 i fotografi Davide Virdis, Martino Marangoni e Giuseppe Toscano hanno elaborato un progetto originale per San Francesco, Comune di Pelago, e per Pontassieve. Il tema principale di questo lavoro era il rapporto tra il fiume Sieve e la comunità. Questo gruppo di ricerca ha prodotto un lavoro originale sul territorio tra Pelago e Pontassieve presentato durante la festa del patrono a Pelago-Pontassieve il 29 settembre 2018, in una esposizione pubblica delle fotografie prodotte. L’esposizione nello spazio pubblico, sui pannelli di affissione che permeano la dimensione urbana, viene proposta dunque in una dimensione di immediata e spontanea accessibilità. I tre autori hanno inoltre condotto un workshop sul campo con quattro giovani fotografe.

Nell’autunno 2017 i fotografi Davide Virdis, Martino Marangoni e Giuseppe Toscano hanno elaborato un progetto originale per San Francesco, Comune di Pelago, e per Pontassieve. Il tema principale di questo lavoro era il rapporto tra il fiume Sieve e la comunità. Questo gruppo di ricerca ha prodotto un lavoro originale sul territorio tra Pelago e Pontassieve presentato durante la festa del patrono a Pelago-Pontassieve il 29 settembre 2018, in una esposizione pubblica delle fotografie prodotte. L’esposizione nello spazio pubblico, sui pannelli di affissione che permeano la dimensione urbana, viene proposta dunque in una dimensione di immediata e spontanea accessibilità. I tre autori hanno inoltre condotto un workshop sul campo con quattro giovani fotografe.

Incontri Confluenti

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Ossessioni Fluviali

Progetto RIVA

Nel 2018 i fotografi Paolo Woods ed Edoardo Delille sono stati inviati a partecipare al Progetto RIVA con un workshop dedicato a giovani fotografi sul rapporto fiume e comunità, incentrato sul territorio di Pelago e Pontassieve, a cui hanno dedicato poi anche una produzione artistica inedita, che verrà esposta in occasione della grande mostra dedicata alla triennale del Progetto RIVA.

Nel 2018 i fotografi Paolo Woods ed Edoardo Delille sono stati inviati a partecipare al Progetto RIVA con un workshop dedicato a giovani fotografi sul rapporto fiume e comunità, incentrato sul territorio di Pelago e Pontassieve, a cui hanno dedicato poi anche una produzione artistica inedita, che verrà esposta in occasione della grande mostra dedicata alla triennale del Progetto RIVA.

Ossessioni Fluviali

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Paolo Masi

Progetto RIVA

Nato a Firenze nel 1933, è attivo dagli anni cinquanta. La sua formazione  passa prima da Milano, poi in Europa, dove l’artista si confronta e viene a contatto con il lavoro dei grandi astrattisti europei dai quali apprende lezioni di forte rigore formale. La produzione intrapresa negli anni ’60 passa dalla realizzazione di opere astratto-geometriche per approdare ad una sensibilità assoluta per il colore e negli anni ’70 alla ricerca e l’utilizzo di nuovi materiali. I suoi lavori di questo periodo sono caratterizzati dall’utilizzo del cartone ondulato. Sono degli anni ’80 i lavori dove l’artista si dedica a un’appassionata ricerca sul colore in rapporto allo spazio, realizzando opere dalle quali si desume la sua forte personalità cromatica. Negli anni 2000 Masi si cimenta nell’utilizzo di nuovi materiali come il plexiglas con il quale realizza opere di forme rettangolari o tonde dai colori smaglianti. Dalle iniziali esperienze di pittura informale e dall’astrat

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Nato a Firenze nel 1933, è attivo dagli anni cinquanta. La sua formazione  passa prima da Milano, poi in Europa, dove l’artista si confronta e viene a contatto con il lavoro dei grandi astrattisti europei dai quali apprende lezioni di forte rigore formale. La produzione intrapresa negli anni ’60 passa dalla realizzazione di opere astratto-geometriche per approdare ad una sensibilità assoluta per il colore e negli anni ’70 alla ricerca e l’utilizzo di nuovi materiali. I suoi lavori di questo periodo sono caratterizzati dall’utilizzo del cartone ondulato. Sono degli anni ’80 i lavori dove l’artista si dedica a un’appassionata ricerca sul colore in rapporto allo spazio, realizzando opere dalle quali si desume la sua forte personalità cromatica. Negli anni 2000 Masi si cimenta nell’utilizzo di nuovi materiali come il plexiglas con il quale realizza opere di forme rettangolari o tonde dai colori smaglianti. Dalle iniziali esperienze di pittura informale e dall’astrattismo concreto Masi vanta un lavoro articolato, complesso e diversificato sul piano tecnico-linguistico. Le sue opere divengono marcatori concettuali del paesaggio e, come nel caso delle Polaroid, agiscono come studio analitico sui codici urbani. La sua intensa attività è confermata e riconosciuta sia in Italia che all’estero, con opere presenti nelle collezioni del Mart di Rovereto, della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti di Firenze e dalla Galleria d’Arte Moderna di Torino, del Museo Pecci di Prato e del Museo Novecento di Firenze. I suoi lavori sono caratterizzati da un’incessante evoluzione sperimentale capace di coinvolgere anche gli spazi urbani.

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Paolo Masi

Qui | Paolo Masi
Progetto RIVA
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The Time of discretion. Chapter one

Ciclo Global Identity

The time of Discretion. Chapter one
di Lisa Batacchi, a cura di Veronica Caciolli
Chiude il ciclo GLOBAL IDENTITIES. Postcolonial and cross-cultural Narratives L’esposizione è stata una metaforica e necessaria retrospettiva su un ciclo di lavori sviluppati specificamente sul tema della discrezione e intesi come il suo primo capitolo, dal 2015 al 2017. La mostra constava di due opere realizzate nel sud della Cina assieme al popolo Hmong e di circa venti nuovi lavori prodotti espressamente per questa occasione, tra batik, installazioni, arazzi, video, fotografie, archivio documentario e reperti simbolici. The Time of Discretion è un progetto transnazionale in progress, che schiude questioni complesse ed estremamente sensibili, che valicano largamente i confini dell’arte.
La mostra incrociava esperienza e rappresentazione, poneva drammaticamente a confronto Oriente e Occidente, avanzando un denso scenario teorico in relazione ai processi di globalizzazione. Il progetto prendeva le m


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The time of Discretion. Chapter one
di Lisa Batacchi, a cura di Veronica Caciolli
Chiude il ciclo GLOBAL IDENTITIES. Postcolonial and cross-cultural Narratives L’esposizione è stata una metaforica e necessaria retrospettiva su un ciclo di lavori sviluppati specificamente sul tema della discrezione e intesi come il suo primo capitolo, dal 2015 al 2017. La mostra constava di due opere realizzate nel sud della Cina assieme al popolo Hmong e di circa venti nuovi lavori prodotti espressamente per questa occasione, tra batik, installazioni, arazzi, video, fotografie, archivio documentario e reperti simbolici. The Time of Discretion è un progetto transnazionale in progress, che schiude questioni complesse ed estremamente sensibili, che valicano largamente i confini dell’arte.
La mostra incrociava esperienza e rappresentazione, poneva drammaticamente a confronto Oriente e Occidente, avanzando un denso scenario teorico in relazione ai processi di globalizzazione. Il progetto prendeva le mosse dalla partecipazione di Lisa Batacchi alla Land Art Mongolia Biennal del 2016, il cui tema da declinare riguardava l’interpretazione dell’asse che divide il cielo dalla terra. Per farlo, l’artista ha raggiunto Guizhou, un villaggio montano della Cina meridionale dove l’antico popolo dei Hmong (originario dell’area siberiano-mongolica), osserva quotidianamente una ritualità tradizionale. Custodisce in particolare una pratica specifica, considerata divinatoria, quella della tintura naturale ad indaco. Una grande tenda così realizzata dall’artista, manualmente, con lentezza e discrezione, assieme alle donne Hmong, è stata in seguito trasportata in processione verso il monte sacro Altan Ovoo, per la performance di inaugurazione della Biennale. Il cavallo-mucca ivi rappresentato, espone una simbologia derivata da un oracolo cinese della tradizione classica, interrogato preliminarmente dall’artista, le cui sentenze sono governate da una logica di casualità, attraverso il lancio ripetuto di monete. Una casualità intesa evidentemente come non casuale ma segretamente determinata, regola anche deliberatamente, il comportamento progressivo di Lisa Batacchi.
Una successiva esperienza presso questo popolo le ha permesso la tintura di un altro tessuto, che attinge ancora ai significati espressi nel quarantesimo e nel secondo esagramma dell’I-Ching (La liberazione – Il ricettivo). A questi, si affiancano in mostra ulteriori venti lavori multimediali, prodotti per questa esposizione e mostrati in anteprima per lo spazio de Le murate. La collaborazione con differenti tipi di maestrie, attività che caratterizza una delle direzioni del progetto, è stata estesa dall’artista anche al territorio locale, dapprima nella città di Firenze, dove attraverso gli antichi telai della Fondazione Lisio, ha potuto realizzare cinque arazzi in tessuto. Un toli, amuleto usualmente indossato e utilizzato dagli sciamani mongoli, è stato invece riprodotto su larga scala, a fini performativi oltre che espositivi, in parternship con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
La mostra è stata inoltre arricchita da quattro serie fotografiche che da una parte documentano la performance svolta per la Land Art Mongolia Biennal, il backstage materiale di questo primo capitolo e da una raccolta che rappresenta la bellezza, la persistenza della tradizione e la fragilità di un mondo parzialmente isolato, alle soglie della globalizzazione ma ancora magicamente possibile. Un video, che anticipa un lungometraggio di prossima produzione, ripercorreva le tappe paesaggistiche, relazionali e culturali della Mongolia, dell’Inner Mongolia e della Cina meridionale, in cui poesia, immaginari e narrazioni si confondono.

The Time of discretion. Chapter one

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Paolo Masi

L’ex complesso carcerario è riletto da Masi come luogo della memoria legato alla reclusione, sia essa volontaria, quale convento, o coatta, come carcere. Le opere esposte coinvolgono l’intero complesso monumentale, dagli spazi interni de Le Murate. Progetti Arte Contemporanea agli spazi pubblici del complesso come la facciatala fontana di Piazza Madonna della Neve o l’interno del Semiottagono. La relazione con gli spazi del distretto culturale delle Murate rende questo progetto una grande opera pubblica che riflette sulla storia di questo particolare brano di città.

Le ex celle saranno interessate da una serie di installazioni site specific invitando il visitatore ad una riflessione sul concetto di reclusione e meditazione. Le opere – che l’artista ha concepito utilizzando materiali volutamente “duri” come chiodi o lana d’acciaio oppure graffiando e “segnando” le pareti del complesso – tradiscono interventi sia di matrice cromatica che di 

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L’ex complesso carcerario è riletto da Masi come luogo della memoria legato alla reclusione, sia essa volontaria, quale convento, o coatta, come carcere. Le opere esposte coinvolgono l’intero complesso monumentale, dagli spazi interni de Le Murate. Progetti Arte Contemporanea agli spazi pubblici del complesso come la facciatala fontana di Piazza Madonna della Neve o l’interno del Semiottagono. La relazione con gli spazi del distretto culturale delle Murate rende questo progetto una grande opera pubblica che riflette sulla storia di questo particolare brano di città.

Le ex celle saranno interessate da una serie di installazioni site specific invitando il visitatore ad una riflessione sul concetto di reclusione e meditazione. Le opere – che l’artista ha concepito utilizzando materiali volutamente “duri” come chiodi o lana d’acciaio oppure graffiando e “segnando” le pareti del complesso – tradiscono interventi sia di matrice cromatica che di origine materica, in coerenza con il percorso artistico lungo e strutturato che ha caratterizzato l’intera produzione dell’artista. Gli interventi sullo spazio divengono così marcatori concettuali, in una ricerca serrata e coerente che ripercorre pratiche sperimentali avviate negli anni Settanta in modo nuovo e con una fragranza autentica, rigorosamente misurata con lo spazio. Sono presentati inoltre, 2 cicli inediti di Polaroid, uno dedicato alle Murate, spazio di isolamento e riflessione, l’altro al fiume Arno, luogo libero e mutevole, memoria di un mondo e di una vita esterna.

Quello che mi ha colpito è stato il fascino del luogo, dove le pareti in pietra hanno evidente il passaggio delle tante presenze tra monache di clausura e  prigionieri . Attraverso le polaroid ho cercato di riportare questa visibilità emozionale. La mostra è centrata sull’evidenziare la particolarità di questo spazio, diverso da una galleria e da un museo, che essendo luogo di produzione consente alla immaginazione di esprimersi in maniera libera e totale. Già dalla mia prima visita, ho deciso di concretizzare sentimenti ed emozioni su due piani diversificati: quello drammatico, al terzo piano, dove le celle sono legate da un racconto estremamente costrittivo; mentre al piano inferiore, il bianco della parete incisa, i due grandi cartoni e le tre carte piegate, riportano a una geometria  alternativa al senso di chiusura fisica espressa dalla funzionalità originaria del luogo”. (Paolo Masi )

Masi rinuncia dunque ad ogni velleità espositiva per misurare il lavoro all’ambiente delle Murate, accogliendo nell’opera stessa la memoria storica ed emozionale del luogo. Una sfida importante e coraggiosa che ci spinge a ricreare una relazione profonda con questi spazi secolari e anche con la nostra identità, che predilige la residenza e la produzione quale modalità di approccio profondo, socialmente ed eticamente impegnato, estraneo al consumo culturale. Mi piace pensare che Le Murate, con la presenza sempre maggiore di giovani, abbiano accolto un grande senior e scelto di abitare qualche mese con lui per riscoprire il senso profondo di questo luogo e di modalità radicalmente alternative alla proposta culturale mainstream”.

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Paolo Masi

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Livia Dubon

Curatrice

Livia Dubon è una curatrice, scrittrice e ricercatrice indipendente. Con la sua pratica curatoriale vuole offrire un spazio dove incoraggiare le idee innovative e dialogo interdisciplinare. La sua ricerca più recente si incentra sulla relazione tra i concetti di identità nazionale, memoria e rappresentazione dell’identità. Livia ha conseguito una Laurea in Conservazione dei Beni culturali all’Università degli Studi di Parma, un master in Management Internazionale Culturale all’Università degli Studi di Genova e un Master in Museologia e Curatela all’Università di Newcastle (Inghilterra, UK). Tra i progetti curati c’è Negotiating Amensia (Murate – PAC 28 Nov. – 09 Dic. 2015), un essay film che riflette sul razzismo latente ed eredità contemporanee delle politiche coloniali Italiane. Livia ha partecipato come relatore a diverse conferenze internazionali per diffondere la propria pratica e ricerca come per esempio: LYNX Imaging The Past/Collecting The Future, 22

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Livia Dubon è una curatrice, scrittrice e ricercatrice indipendente. Con la sua pratica curatoriale vuole offrire un spazio dove incoraggiare le idee innovative e dialogo interdisciplinare. La sua ricerca più recente si incentra sulla relazione tra i concetti di identità nazionale, memoria e rappresentazione dell’identità. Livia ha conseguito una Laurea in Conservazione dei Beni culturali all’Università degli Studi di Parma, un master in Management Internazionale Culturale all’Università degli Studi di Genova e un Master in Museologia e Curatela all’Università di Newcastle (Inghilterra, UK). Tra i progetti curati c’è Negotiating Amensia (Murate – PAC 28 Nov. – 09 Dic. 2015), un essay film che riflette sul razzismo latente ed eredità contemporanee delle politiche coloniali Italiane. Livia ha partecipato come relatore a diverse conferenze internazionali per diffondere la propria pratica e ricerca come per esempio: LYNX Imaging The Past/Collecting The Future, 22-25 June 2016, Lucca (Italy) oppure Curatorial Challenges. University of Copenhagen. 26-27 May 2016.

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Ka Long Wong

Scultore e insegnante

Ka Long Wong, figlio d’arte, è nato nella Macao portoghese nel 1977. La sua pratica, sia come professore presso il politecnico di Macao, sia come artista, è profondamente influenzata dai suoi viaggi sulla Via della Seta e dalla sua esperienza come cittadino coloniale, in cui i confini di aggressione e civilizzazione si fondono. Wong ha completato i suoi studi di  Scultura alla Accademia di Belle Arti di Guangzhou.

Ka Long Wong, figlio d’arte, è nato nella Macao portoghese nel 1977. La sua pratica, sia come professore presso il politecnico di Macao, sia come artista, è profondamente influenzata dai suoi viaggi sulla Via della Seta e dalla sua esperienza come cittadino coloniale, in cui i confini di aggressione e civilizzazione si fondono. Wong ha completato i suoi studi di  Scultura alla Accademia di Belle Arti di Guangzhou.

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The impossible black tulip

Ciclo Global Identity

The Impossible Black Tulip, terzo appuntamento del ciclo diretto da Valentina Gensini
GLOBAL IDENTITIES Postcolonial and cross-cultural Narratives, è un progetto che trova la sua ragione nell’esplorazione del concetto di appartenenza.
La mostra ha preso il nome dalla più antica mappa cinese che fonde concetti cartografici cinesi e occidentali. Mappe e identità hanno una correlazione profonda: trattandosi di rappresentazioni territoriali e di confini nazionali, l’azione di cartografare si collega alla politica identitaria nazionale di un paese.
Questa mappa, simbolo di ibridità culturale, mina il nostro concetto di identità e non a caso fu chiamata l’Impossibile Tulipano Nero, per la sua rarità e esotismo. Attraverso l’esposizione e l’azione partecipata, questa iniziativa vuole sondare e approfondire i dibattiti post-coloniali relativi ai concetti di ibridità, decolonizzazione e identità fluida.
Macao ne rappresenta un caso esemplare: colonia portoghese per quattrocent



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The Impossible Black Tulip, terzo appuntamento del ciclo diretto da Valentina Gensini
GLOBAL IDENTITIES Postcolonial and cross-cultural Narratives, è un progetto che trova la sua ragione nell’esplorazione del concetto di appartenenza.
La mostra ha preso il nome dalla più antica mappa cinese che fonde concetti cartografici cinesi e occidentali. Mappe e identità hanno una correlazione profonda: trattandosi di rappresentazioni territoriali e di confini nazionali, l’azione di cartografare si collega alla politica identitaria nazionale di un paese.
Questa mappa, simbolo di ibridità culturale, mina il nostro concetto di identità e non a caso fu chiamata l’Impossibile Tulipano Nero, per la sua rarità e esotismo. Attraverso l’esposizione e l’azione partecipata, questa iniziativa vuole sondare e approfondire i dibattiti post-coloniali relativi ai concetti di ibridità, decolonizzazione e identità fluida.
Macao ne rappresenta un caso esemplare: colonia portoghese per quattrocento anni, dopo l’annessione alla Cina nel 1999 come regione speciale amministrativa (SAR), ha scelto di affrontare la problematica identitaria attraverso un processo di costruzione orientato all’ggregazione anziché alla repressione o all’emarginazione dell’“altro”.
In che modo si relaziona il concetto di ibridità con quello di appartenenza? Insieme alla comunità cinese, tre artisti di Macao Eric FOK, Gue Jie CAI, Ka Long WONG hanno indagato i diversi modi di declinare questi concetti. Ci hanno fatto interrogare sulla legittimità di fondare una identità locale solo su alcuni aspetti di storia coloniale; sulla relazione tra appartenenza e proprietà; e infine, sul rapporto tra memoria del territorio e appropriazione del paesaggio da parte di una precisa idea architettonica di modernità. Le diverse manifestazioni anti-migratorie e il crescente successo dei partiti sovranisti rende urgente una revisione contemporanea di concetti come “identità nazionale” e “alterità”. Come definire oggi il termine “identità”?

The impossible black tulip

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Guo Jie Cai

Artista installativo, pittore, curatore

Guo Jie Cai è un artista, insegnante e curatore di installazioni. Nato a Hsin Chu, Taiwan, si è trasferito a Macao nel 2011. Cai ha conseguito una laurea in tecnica pittorica e un MFA in installazione presso la National Taiwan University of Arts. La sua pratica include pittura, installazioni, curatela e l’insegnamento. Attualmente è docente presso la Scuola d’arte del Politecnico di Macao, l’Istituto di Studi sul Turismo; il Museo d’Arte di Macao ed è membro della Società Artistica di Macao. Ricopre la carica di vicedirettore alla Società “Arte per Tutti” e consulente artistico presso Wind Box Community Development. Le mostre personali più recenti includono “As Memory Whispers”, Nan Vam Lake Art Gallery, Macao Artists Society, Macao; “Between States of Mind -Cai Guo Jie Solo Exhibition”, New Tile House, Innoart, Taiwan; “Cores da Cidade de Macao”, Rui Cunha Foundation Gallery, Macao, Cina

Guo Jie Cai è un artista, insegnante e curatore di installazioni. Nato a Hsin Chu, Taiwan, si è trasferito a Macao nel 2011. Cai ha conseguito una laurea in tecnica pittorica e un MFA in installazione presso la National Taiwan University of Arts. La sua pratica include pittura, installazioni, curatela e l’insegnamento. Attualmente è docente presso la Scuola d’arte del Politecnico di Macao, l’Istituto di Studi sul Turismo; il Museo d’Arte di Macao ed è membro della Società Artistica di Macao. Ricopre la carica di vicedirettore alla Società “Arte per Tutti” e consulente artistico presso Wind Box Community Development. Le mostre personali più recenti includono “As Memory Whispers”, Nan Vam Lake Art Gallery, Macao Artists Society, Macao; “Between States of Mind -Cai Guo Jie Solo Exhibition”, New Tile House, Innoart, Taiwan; “Cores da Cidade de Macao”, Rui Cunha Foundation Gallery, Macao, Cina

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The impossible black tulip

Ciclo Global Identity

The impossible black tulip

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Parola di Curatore, Le Opere e i Giorni | Veronica Caciolli, Curatore

Con la rubrica #LeOpereeiGiorni abbiamo invitato artisti, curatori e intellettuali a condividere riflessioni sul loro lavoro e sul momento attuale.
Oggi lasciamo la parola a Veronica Caciolli, Curatore

Parola di Curatore, Le Opere e i Giorni
Veronica Caciolli, Curatore
Parola di Curatore, Le Opere e i Giorni | Veronica Caciolli, Curatore

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Lisa Batacchi

Artista visiva

Lisa Mara Batacchi si forma al Polimoda di Firenze con una lurea in fashion design lavorando in seguito per vari marchi di alta moda, in particolare per Vivienne Westwood a Londra. Successivamente consegue una laurea in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre personali e collettive, fra cui ricordiamo: 2°Something Else Cairo Biennale, Murate Art District (personale) a Firenze, Manifesta12 evento collaterale a Palermo, Art & Globalization Pavillion durante la 57a Biennale di Venezia, Dust space gallery a Milano, 4°Land Art Mongolia Biennale a Ulan Bator, Textile Arts Center a New York, Villa Ada a Roma, Clark House Initiative (personale) a Bombay, Villa Pacchiani a Pisa, riss (e) Zentrum (personale) a Varese, Mac, n a Pistoia. È vincitrice, tra gli altri, del premio italiano Movin’up per giovani artisti italiani all’estero. Negli ultimi anni ha tenuto laboratori e collaborato a progetti educativ

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Lisa Mara Batacchi si forma al Polimoda di Firenze con una lurea in fashion design lavorando in seguito per vari marchi di alta moda, in particolare per Vivienne Westwood a Londra. Successivamente consegue una laurea in Arti Visive presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre personali e collettive, fra cui ricordiamo: 2°Something Else Cairo Biennale, Murate Art District (personale) a Firenze, Manifesta12 evento collaterale a Palermo, Art & Globalization Pavillion durante la 57a Biennale di Venezia, Dust space gallery a Milano, 4°Land Art Mongolia Biennale a Ulan Bator, Textile Arts Center a New York, Villa Ada a Roma, Clark House Initiative (personale) a Bombay, Villa Pacchiani a Pisa, riss (e) Zentrum (personale) a Varese, Mac, n a Pistoia. È vincitrice, tra gli altri, del premio italiano Movin’up per giovani artisti italiani all’estero. Negli ultimi anni ha tenuto laboratori e collaborato a progetti educativi con Palazzo Strozzi a Firenze, con ACAF Foundation a Shanghai, con Siena Art Institute, con Lottozero a Prato.

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The Time of discretion. Chapter one

Ciclo Global Identity

The Time of discretion. Chapter one

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Daria Filardo

Curatrice e storica dell'arte

Daria Filardo Storica dell’arte e curatrice indipendente, vive a Firenze. Insegna Contemporary art practices e Art Practicum al Master in studio Arts (Saci Firenze), Visual Arts al Master in Arts Management allo IED – Firenze, dove coordina il final project. Ha insegnato inoltre dal 2001 al 2011 Storia dell’arte contemporanea alla Fondazione Studio Marangoni. Dal 1998 al 2000 ha lavorato come curatrice al Palazzo delle Papesse di Siena e dal 2001 è curatrice indipendente. Scrive su cataloghi e su riviste. Si interessa a progetti a lunga scadenza che articola negli anni, come ‘‘Distanza come identità?”.
Selezione mostre curate: Do you remember, Aleksander Duravcevic, (saggio in catalogo) Montenegro pavillion, 56.ma Biennale di Venezia, 2015; Can I reach you?, Valerio Rocco Orlando, Bianco/Valente, Claudia Losi, insieme a Pietro Gaglianò e Angel Moel Garcia, Tenuta dello Scompiglio, Lucca, ottobre 2015; Filling the void – Walker Keith Jernigan, residenza e mo

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Daria Filardo Storica dell’arte e curatrice indipendente, vive a Firenze. Insegna Contemporary art practices e Art Practicum al Master in studio Arts (Saci Firenze), Visual Arts al Master in Arts Management allo IED – Firenze, dove coordina il final project. Ha insegnato inoltre dal 2001 al 2011 Storia dell’arte contemporanea alla Fondazione Studio Marangoni. Dal 1998 al 2000 ha lavorato come curatrice al Palazzo delle Papesse di Siena e dal 2001 è curatrice indipendente. Scrive su cataloghi e su riviste. Si interessa a progetti a lunga scadenza che articola negli anni, come ‘‘Distanza come identità?”.
Selezione mostre curate: Do you remember, Aleksander Duravcevic, (saggio in catalogo) Montenegro pavillion, 56.ma Biennale di Venezia, 2015; Can I reach you?, Valerio Rocco Orlando, Bianco/Valente, Claudia Losi, insieme a Pietro Gaglianò e Angel Moel Garcia, Tenuta dello Scompiglio, Lucca, ottobre 2015; Filling the void – Walker Keith Jernigan, residenza e mostra personale, Boccanera Gallery, Trento, maggio 2014; Placing Space/Spacing Place- Walker Keith Jernigan, Xenos, Firenze, 2014; Material Marks (as far as I can reach) Sophie Tottie, Giacomo Guidi, Milano, maggio 2014; Arte torna arte, con Bruno Corà e Franca Falletti, Galleria dell’Accademia, Firenze, maggio – dicembre 2012; Cartabianca Firenze, con Lorenzo Bruni e Pietro Gaglianò, Museo of Villa Croce, Genova, 2011; Motherland/Homeland. Simon Roberts, Ex3, Firenze, 2010; Sahara chronicle. Ursula Biemann (distance for identity?) careof/DOCVA, Milano, 2010; Fuori Contesto – public art project, con Cecilia Guida, Bologna/Milano/Manifesta7 Bz-Tn-Rov, 2008.

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Victoria DeBlassie

Artista interdisciplinare

Victoria DeBlassie è nata e cresciuta ad Albuquerque, New Mexico. Ha studiato presso The University of New Mexico nel 2009 e il California College of the Arts nel 2011. Di recente, ha ricevuto una borsa di studio Fulbright per l’Italia per l’anno accademico 2012-2013. Ha partecipato a numerose residenze artistiche, come F.AIR a Firenze, Italia, Atelier Real a Lisbona, Portogallo, Lakkos AIR a Heraklion, Crete, e più recentemente Apulia Land Arts Festival a Margherita di Savoia, Italia. Ha esposto a livello nazionale e internazionale, in sedi tra cui [AC] 2 Gallery di Albuquerque, NM, The de Young Museum di San Francisco, CA, e la Fondazione Biagiotti Progetto a Firenze, Italia. http://www.victoriadeblassie.com

Victoria DeBlassie è nata e cresciuta ad Albuquerque, New Mexico. Ha studiato presso The University of New Mexico nel 2009 e il California College of the Arts nel 2011. Di recente, ha ricevuto una borsa di studio Fulbright per l’Italia per l’anno accademico 2012-2013. Ha partecipato a numerose residenze artistiche, come F.AIR a Firenze, Italia, Atelier Real a Lisbona, Portogallo, Lakkos AIR a Heraklion, Crete, e più recentemente Apulia Land Arts Festival a Margherita di Savoia, Italia. Ha esposto a livello nazionale e internazionale, in sedi tra cui [AC] 2 Gallery di Albuquerque, NM, The de Young Museum di San Francisco, CA, e la Fondazione Biagiotti Progetto a Firenze, Italia. http://www.victoriadeblassie.com

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Maria Nissan

Artista installativa

Maria Nissan è un’artista installativa diplomata allo Studio Arts College International con una laurea in educazione artistica e una in disegno e pittura alla University of Georgia. Durante il suo soggiorno a Firenze Maria si è dedicata alla realizzazione di installazioni immersive e sensoriali. Il suo lavoro crea un’esperienza attraverso la trasformazione e manipolazione del riciclo organico dei materiali e coinvolgendo tutti i sensi. “Il mio lavoro vuole investigare i temi centrali dell’identità culturale e il concetto etereo di casa. Provenendo da una famiglia irachena e assira, con una educazione di stampo americano, il mio contesto genera il mio desiderio di creare progetti artistici multiculturali. Questi progetti legano insieme tendenze diverse e a volte opposte nel mio essere come i paesi nei quali ho sviluppato il mio lavoro.” www.marianissan.com

 

Maria Nissan è un’artista installativa diplomata allo Studio Arts College International con una laurea in educazione artistica e una in disegno e pittura alla University of Georgia. Durante il suo soggiorno a Firenze Maria si è dedicata alla realizzazione di installazioni immersive e sensoriali. Il suo lavoro crea un’esperienza attraverso la trasformazione e manipolazione del riciclo organico dei materiali e coinvolgendo tutti i sensi. “Il mio lavoro vuole investigare i temi centrali dell’identità culturale e il concetto etereo di casa. Provenendo da una famiglia irachena e assira, con una educazione di stampo americano, il mio contesto genera il mio desiderio di creare progetti artistici multiculturali. Questi progetti legano insieme tendenze diverse e a volte opposte nel mio essere come i paesi nei quali ho sviluppato il mio lavoro.” www.marianissan.com

 

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Interpretation of a seed

Ciclo Global Identities

Ci sono molti modi per affrontare questioni globali, equilibri complicati, politiche che coinvolgono diverse aree del mondo, e uno di questi è una riflessione concettuale e fisica sul caffè. Il caffè – bevanda originaria dell’Etiopia e diffusa da centinaia di anni in molte aree del pianeta – riesce a unire in maniera transnazionale culture diverse e può essere un simbolo di un momento condiviso, ma anche elemento che sottolinea sfruttamenti e politiche di commercio globale estremamente controverse. E’ su questo crinale che si muove il lavoro presentato dalle artiste Maria Nissan e Victoria DeBlassie che hanno lavorato insieme sul tema da alcuni mesi. L’intervento che hanno proposto per MAD Murate Art District dal titolo Interpretation of a seed è stato il risultato delle domande che le artiste si sono poste. Tutto ha avuto origine dalla pratica comune della raccolta dei fondi di caffè della moka e del caffè americano che sono diventati il materiale

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Ci sono molti modi per affrontare questioni globali, equilibri complicati, politiche che coinvolgono diverse aree del mondo, e uno di questi è una riflessione concettuale e fisica sul caffè. Il caffè – bevanda originaria dell’Etiopia e diffusa da centinaia di anni in molte aree del pianeta – riesce a unire in maniera transnazionale culture diverse e può essere un simbolo di un momento condiviso, ma anche elemento che sottolinea sfruttamenti e politiche di commercio globale estremamente controverse. E’ su questo crinale che si muove il lavoro presentato dalle artiste Maria Nissan e Victoria DeBlassie che hanno lavorato insieme sul tema da alcuni mesi. L’intervento che hanno proposto per MAD Murate Art District dal titolo Interpretation of a seed è stato il risultato delle domande che le artiste si sono poste. Tutto ha avuto origine dalla pratica comune della raccolta dei fondi di caffè della moka e del caffè americano che sono diventati il materiale grezzo che mescolato con sale e farina e cotte al forno ha dato origine a oggetti scultorei. Le artiste hanno anche raccolto i sacchi di iuta, materiale per il trasporto dei chicchi di caffè diventato materiale installativo nello spazio. Questi elementi utilizzati diversamente sono il terreno comune di un pensiero formale sviluppato nello spazio della mostra. Interpretation of a seed prende corpo in due stanze del piano terra  due luoghi simili ma diversi. Uno spazio – quello di Maria Nissan – è attivato da caratteristiche più sensoriali e materiche con la presenza di elementi organici come lo zucchero, le sculture di caffè e i sacchi come sedute che invitano ad un momento di rilassamento e condivisione, alla ‘coffee culture’ come momento aggregativo. Gli elementi dell’installazione alludono alla cultura medio orientale dell’artista (di origini irakene) alla cultura americana, mescolate con quella italiana dove la presenza del caffè è un elemento culturale evidente e identitario. L’altra stanza realizzata di Victoria DeBlassie, pur avendo elementi comuni con la prima, ricorda più  le caffetterie ‘indie’ (apparentemente più rispettose del processo produttivo ma in realtà spesso gestite da multinazionali come Starbucks) come Ethiocha Koffiehuis, nome che l’artista ha pensato per il suo spazio. Qui gli elementi materici si fondono con un’azione di protesta concettuale. Su delle lavagne sono raccolti elementi e dati che sottolineano gli aspetti più complicati del commercio globale, e ai muri sono affisse immagini che sembrano alludere agli slogan usati per catturare i consumatori, ma giocano sull’ambiguità dei messaggi proposti che sposta l’attenzione sugli aspetti nascosti e manipolatori dell’informazione. La doppia installazione avvolge il visitatore sia dal punto di vista sensoriale, materico, olfattivo che come spazio di pensiero e aggregazione. A partire dal caffè le due artiste hanno spaziato nella storia e nelle diverse geografie riattivando la nostra consapevolezza – a partire da un gesto semplice e ordinario come prendere un caffè – su aspetti culturali, storici, politici.

Interpretation of a seed

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Interpretation of a seed

Ciclo Global Identity

Interpretation of a seed

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Matteo Innocenti

Curatore

Curatore e critico d’arte. In qualità di curatore collabora con musei e istituzioni (tra cui: Centro per l’arte contemporanea Pecci di Prato, Galleria dell’Accademia di Firenze, Centro per le arti contemporanee di Vilnius in Lituania, Museo di Villa Croce di Genova) con spazi no profit, gallerie private italiane ed estere e residenze d’artista. In qualità di critico ha scritto e scrive per testate d’arte quali Artribune, Exibart, Flash Art, ATPDiary e per cataloghi e riviste.

Dal 2000 lavora inoltre nell’ambito della comunicazione come autore, regista, direttore. Dal 2010 si occupa della direzione tecnica di una società di comunicazione attiva sul territorio nazionale sia in ambito istituzionale che nell’organizzazione eventi. E’ giornalista pubblicista.

Ha partecipato a vari convegni in qualità di relatore, in tema di storia dell’arte, pratiche dell’arte contemporanea, presentazione libri, comunicazione degli eventi cultu

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Curatore e critico d’arte. In qualità di curatore collabora con musei e istituzioni (tra cui: Centro per l’arte contemporanea Pecci di Prato, Galleria dell’Accademia di Firenze, Centro per le arti contemporanee di Vilnius in Lituania, Museo di Villa Croce di Genova) con spazi no profit, gallerie private italiane ed estere e residenze d’artista. In qualità di critico ha scritto e scrive per testate d’arte quali Artribune, Exibart, Flash Art, ATPDiary e per cataloghi e riviste.

Dal 2000 lavora inoltre nell’ambito della comunicazione come autore, regista, direttore. Dal 2010 si occupa della direzione tecnica di una società di comunicazione attiva sul territorio nazionale sia in ambito istituzionale che nell’organizzazione eventi. E’ giornalista pubblicista.

Ha partecipato a vari convegni in qualità di relatore, in tema di storia dell’arte, pratiche dell’arte contemporanea, presentazione libri, comunicazione degli eventi culturali e d’arte.

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A certain identity

A certain identity - Global Identities

GLOBAL IDENTITIES Postcolonial and cross-cultural Narratives
A certain identity Italia/Lituania
Arnas Anskaitis, Ignas Krunglevičius, Andrej Polukord, Ieva Rojūtė A cura di Matteo Innocenti in collaborazione con Adrius Pocius, Alesia e Yuliya Savitskaya

Secondo appuntamento del ciclo GLOBAL IDENTITIES, diretto da Valentina Gensini, A certain identity è un progetto che mette in relazione artisti di differente nazionalità intorno alla questione dell’identità, migrando in diversi paesi europei. Per la prima mostra sono stati invitati in Italia i giovani artisti lituani Arnas Anskaitis, Ignas Krunglevičius, Andrej Polukord, Ieva Rojūtė. Il titolo con la parola “certain”, in italiano “certa”, assume il doppio significato possibile: come aggettivo è sinonimo di certezza – l’identità in cui ci si può senza dubbio riconoscere – invece come aggettivo indefinito, senza qualità né quantità, indica un’identità tra molte possibili. Quattro artisti di una particolar



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GLOBAL IDENTITIES Postcolonial and cross-cultural Narratives
A certain identity Italia/Lituania
Arnas Anskaitis, Ignas Krunglevičius, Andrej Polukord, Ieva Rojūtė A cura di Matteo Innocenti in collaborazione con Adrius Pocius, Alesia e Yuliya Savitskaya

Secondo appuntamento del ciclo GLOBAL IDENTITIES, diretto da Valentina Gensini, A certain identity è un progetto che mette in relazione artisti di differente nazionalità intorno alla questione dell’identità, migrando in diversi paesi europei. Per la prima mostra sono stati invitati in Italia i giovani artisti lituani Arnas Anskaitis, Ignas Krunglevičius, Andrej Polukord, Ieva Rojūtė. Il titolo con la parola “certain”, in italiano “certa”, assume il doppio significato possibile: come aggettivo è sinonimo di certezza – l’identità in cui ci si può senza dubbio riconoscere – invece come aggettivo indefinito, senza qualità né quantità, indica un’identità tra molte possibili. Quattro artisti di una particolare nazionalità – scelti dal curatore del progetto in collaborazione con le istituzioni museali o Accademie di Belle Arti dei rispettivi paesi – sono invitati a “rappresentare” secondo la particolare inclinazione della propria ricerca, e secondo la cultura di provenienza, il fattore identitario attraverso una esposizione presso un paese ospite. La storia e la collocazione geografica della Lituania la rendono significativa sia per la questione dell’identità che per quella dei confini e dei rapporti all’interno del continente: poiché essa, al pari degli altri paesi baltici, si è costruita secondo un doppio moto di indipendenza e di annessione, tra la Russia e l’Europa – di cui è membro dal 2004 -. Il 2018 segna inoltre il centenario dell’indipendenza della nazione, avvenuta nel febbraio del 1918, a cui è seguito il costituirsi in Repubblica. Vernissage e artists talk: 5 aprile ore 17.30. La mostra è prodotta grazie alla collaborazione de Le Murate. Progetti Arte Contemporanea – Mus.e con TUM associazione culturale (Italia/Italy), Fondazione per lo sviluppo della cultura dell’istruzione della persona (Bielorussia/Belarus), Vilnius Pataphysic Institute (Lituania/Lithuania). Con il contributo di Ministry of Culture of the Republic of Lithuania, Lithuanian Council for Culture. Con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica di Lituana nella Repubblica Italiana e del Consolato della Repubblica Lituana di Firenze

A certain identity

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Ciclo Global Identities

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Barthélémy Toguo

Artista

Barthélémy Toguo è nato in Camerun nel 1967 e ha studiato Belle Arti ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Si è trasferito in Europa nel 1993 e ha iniziato a esibirsi e fare performance mentre terminava i suoi studi a Grenoble (Francia), poi a Dusseldorf (Germania).
La geografia politica e i confini personali sono stati un argomento implicito nel suo lavoro in studio e esplicito nelle sue performance. Da un lato, i suoi acquerelli forniscono un forte impatto visivo, utilizzando un repertorio limitato di immagini e colori per rappresentare un mondo onirico di metamorfosi umane, animali e vegetali. D’altra parte, la realizzazione delle sue installazioni su larga scala è generalmente approssimativa e rapida e sottolinea i conflitti, i paradossi e l’estremismo dell’uomo. Le sue installazioni possono essere visti come un’inversione metaforica dello storico saccheggio dell’Africa subita durante il periodo coloniale.
Toguo ha recentemente tenuto una mostra pe

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Barthélémy Toguo è nato in Camerun nel 1967 e ha studiato Belle Arti ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Si è trasferito in Europa nel 1993 e ha iniziato a esibirsi e fare performance mentre terminava i suoi studi a Grenoble (Francia), poi a Dusseldorf (Germania).
La geografia politica e i confini personali sono stati un argomento implicito nel suo lavoro in studio e esplicito nelle sue performance. Da un lato, i suoi acquerelli forniscono un forte impatto visivo, utilizzando un repertorio limitato di immagini e colori per rappresentare un mondo onirico di metamorfosi umane, animali e vegetali. D’altra parte, la realizzazione delle sue installazioni su larga scala è generalmente approssimativa e rapida e sottolinea i conflitti, i paradossi e l’estremismo dell’uomo. Le sue installazioni possono essere visti come un’inversione metaforica dello storico saccheggio dell’Africa subita durante il periodo coloniale.
Toguo ha recentemente tenuto una mostra personale, “The Sick Opera”, al Palais de Tokyo di Parigi. La mostra ha incluso il suo lavoro dal 1999 al 2004. Ha esposto in molti altri prestigiosi musei, gallerie e Biennali a livello internazionale come il Bass Museum of Art di Miami, il Centre George Pompidou di Parigi, lo Houston Museum of Art, il Guangdong Museum of Art , Il Museo Migros di Zurigo e il Palazzo Strozzi di Firenze da quattro anni. Test di prova per mostre personali e collettive selezionate.

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Il viaggio immaginario

Barthélémy Toguo

Nell’ambito di un semestre dedicato alla tematica del post coloniale Murate Art District  ha prodotto una mostra inedita dal titolo Il viaggio immaginario di Barthélémy Toguo a cura di Janine Gaelle Dieudji e Justin Randolph Thompson, realizzata in collaborazione con Black History Month Florence e Institut Francais Italia.

Il progetto monografico racconta l’attitudine politica dell’artista, che interpreterà un Paese dalla forte volontà di riscatto: l’Africa di Toguo è un’Africa che rifiuta la ghettizzazione dei suoi artisti nel mercato dell’arte globale, e che altresì rifiuta di accettare una lettura coloniale della propria terra: “L’Africa non è una discarica!” gridano opere come Dustbin presentata per la prima volta in Italia.

 

Nell’ambito di un semestre dedicato alla tematica del post coloniale Murate Art District  ha prodotto una mostra inedita dal titolo Il viaggio immaginario di Barthélémy Toguo a cura di Janine Gaelle Dieudji e Justin Randolph Thompson, realizzata in collaborazione con Black History Month Florence e Institut Francais Italia.

Il progetto monografico racconta l’attitudine politica dell’artista, che interpreterà un Paese dalla forte volontà di riscatto: l’Africa di Toguo è un’Africa che rifiuta la ghettizzazione dei suoi artisti nel mercato dell’arte globale, e che altresì rifiuta di accettare una lettura coloniale della propria terra: “L’Africa non è una discarica!” gridano opere come Dustbin presentata per la prima volta in Italia.

 

Il viaggio immaginario

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Il viaggio immaginario

di Barthélémy Toguo a cura di Janine Gaelle Dieudji e Justin Randolph Thompson, realizzata in collaborazione con Black History Month Florence e Institut Francais Italia