OPEN MAD
cinque giornate all'insegna della condivisione
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Black History Month Florence
MAD Murate Art District collabora ogni anno con centinaia di artisti nazionali e internazionali a progetti artistici, performativi, fotografici, rendendo partecipe la cittadinanza e la comunità dell’intenso lavoro di ricerca che viene svolto nella nostra città.
MAD apre le porte per cinque giornate di apertura e presentazione alla cittadinanza, in programma dal 23 al 27 ottobre 2024: incontri, riflessioni, performance, talk e convegni incentrati sul tema della “cura”.
Vuoi scoprire come lavorano gli artisti e i curatori contemporanei? Cinque giornate all’insegna della condivisione tra artisti, curatori, addetti ai lavori e pubblico, per poter compartecipare alla quotidianità di MAD, davanti e dietro le quinte.
MAD Murate Art District collabora ogni anno con centinaia di artisti nazionali e internazionali a progetti artistici, performativi, fotografici, rendendo partecipe la cittadinanza e la comunità dell’intenso lavoro di ricerca che viene svolto nella nostra città.
MAD apre le porte per cinque giornate di apertura e presentazione alla cittadinanza, in programma dal 23 al 27 ottobre 2024: incontri, riflessioni, performance, talk e convegni incentrati sul tema della “cura”.
Vuoi scoprire come lavorano gli artisti e i curatori contemporanei? Cinque giornate all’insegna della condivisione tra artisti, curatori, addetti ai lavori e pubblico, per poter compartecipare alla quotidianità di MAD, davanti e dietro le quinte.
Obbligato è una meditazione sugli obblighi sociali, morali e comunitari.
Attingendo a uno dei principi fondanti del cosmopolitismo, quello di un obbligo morale verso tutti gli umani, questa edizione esamina ciò che Leopold Senghor dichiarò in un discorso a Palazzo Vecchio del 1962 come il ruolo dell’Africa nel mondo del ripristino di una piena umanità affinché il mondo potesse riprendersi dal deficit reso attraverso l’oppressione, lo sfruttamento e l’amnesia storica.
Nel jazz Obbligato è una contro melodia che può avere uguale importanza e dominio come la linea di melodia centrale. In un momento in cui i media e numerosi leader politici hanno spinto la società a temere l’estinzione della storia locale attraverso l’inclusione di prospettive alternative, questi eventi servono a ricordare che quando abbiamo più voci e storie abbiamo una comprensione più completa della storia stessa e un rinnovato senso di umanità per tutti.
Obbligato è una meditazione sugli obblighi sociali, morali e comunitari.
Attingendo a uno dei principi fondanti del cosmopolitismo, quello di un obbligo morale verso tutti gli umani, questa edizione esamina ciò che Leopold Senghor dichiarò in un discorso a Palazzo Vecchio del 1962 come il ruolo dell’Africa nel mondo del ripristino di una piena umanità affinché il mondo potesse riprendersi dal deficit reso attraverso l’oppressione, lo sfruttamento e l’amnesia storica.
Nel jazz Obbligato è una contro melodia che può avere uguale importanza e dominio come la linea di melodia centrale. In un momento in cui i media e numerosi leader politici hanno spinto la società a temere l’estinzione della storia locale attraverso l’inclusione di prospettive alternative, questi eventi servono a ricordare che quando abbiamo più voci e storie abbiamo una comprensione più completa della storia stessa e un rinnovato senso di umanità per tutti.
La sesta edizione di Black History Month Florence sarà organizzata sotto il tema Ostinato. Il tema è simultaneamente un invito e una critica. L’invito è di ostinarsi nel lavoro socio-culturale di cui abbiamo sempre più bisogno. La critica riguarda l’ostinazione della resistenza del riconoscimento della lotta degli afro-discendenti riguardo l’accesso alla cittadinanza, ai diritti dei lavoratori e all’inclusione sociale nella definizione di italianità. Ostinato è una riflessione sull’ostinazione necessaria per affermare strategie proattive di organizzazione culturale su un lungo arco di tempo, come manifestazione di una visione non indifferente ai tempi attuali e alle sfide del presente.
L’edizione del 2021 si collocherà sulla scia delle proteste di lotta contro il razzismo diffuse in tutto il mondo. Nonostante il momento di crisi, riteniamo fondamentale “ostinarsi” in un programma completo e ampliato attraverso il coinvolgimento di nuovi partner, come forma
La sesta edizione di Black History Month Florence sarà organizzata sotto il tema Ostinato. Il tema è simultaneamente un invito e una critica. L’invito è di ostinarsi nel lavoro socio-culturale di cui abbiamo sempre più bisogno. La critica riguarda l’ostinazione della resistenza del riconoscimento della lotta degli afro-discendenti riguardo l’accesso alla cittadinanza, ai diritti dei lavoratori e all’inclusione sociale nella definizione di italianità. Ostinato è una riflessione sull’ostinazione necessaria per affermare strategie proattive di organizzazione culturale su un lungo arco di tempo, come manifestazione di una visione non indifferente ai tempi attuali e alle sfide del presente.
L’edizione del 2021 si collocherà sulla scia delle proteste di lotta contro il razzismo diffuse in tutto il mondo. Nonostante il momento di crisi, riteniamo fondamentale “ostinarsi” in un programma completo e ampliato attraverso il coinvolgimento di nuovi partner, come forma di resistenza attiva.
Dal 2021 al 2024 Black Archive Alliance prende casa al MAD in una residenza di lungo periodo che porterà questo importante archivio, con i progetti di ricerca e la biblioteca tematica di 500 volumi, in residenza al MAD, per continuare e moltiplicare le occasioni di collaborazione e co-progettazione tra MAD e BHMF.
Le tre mostre proposte quest’anno alle Murate sono state co-prodotte e realizzate in una stretta collaborazione tra Murate Art District e BHMF
La VII edizione del Black History Month Florence amplia i propri orizzonti trasformandosi in Black History Fuori le Mura. La portata dell’iniziativa cresce grazie alla sinergia con il lavoro di analoghi collettivi operativi nelle città di Bologna, Torino e Roma, ma anche puntando anche verso nuove collaborazioni all’estero.
Black History Fuori le Mura è il frutto di un’organizzazione collettiva che riunisce associazioni, individui e istituzioni, generando uno spazio condiviso per la co-promozione degli eventi di Black History Month. Questa piattaforma vuole proporsi quale luogo ideale per il rilancio di una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.
Quest’anno MAD presenterà tre diverse mostre co-prodotte con BHFM, articolate all’interno di tutti i suoi spazi. L’inaugurazione delle mostre si svolgerà giovedì 10 febbraio a partire dalle 17.30, con la presentazione dei progetti da parte di Justin Randolph Thompson, co-fon
La VII edizione del Black History Month Florence amplia i propri orizzonti trasformandosi in Black History Fuori le Mura. La portata dell’iniziativa cresce grazie alla sinergia con il lavoro di analoghi collettivi operativi nelle città di Bologna, Torino e Roma, ma anche puntando anche verso nuove collaborazioni all’estero.
Black History Fuori le Mura è il frutto di un’organizzazione collettiva che riunisce associazioni, individui e istituzioni, generando uno spazio condiviso per la co-promozione degli eventi di Black History Month. Questa piattaforma vuole proporsi quale luogo ideale per il rilancio di una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.
Quest’anno MAD presenterà tre diverse mostre co-prodotte con BHFM, articolate all’interno di tutti i suoi spazi. L’inaugurazione delle mostre si svolgerà giovedì 10 febbraio a partire dalle 17.30, con la presentazione dei progetti da parte di Justin Randolph Thompson, co-fondatore e direttore di Black History Month Florence, l’artista Nidhal Chamekh e la ricercatrice Jessica Sartiani. Nell’occasione verrà presentato il nuovo progetto audiovisivo di DeForrest Brown, Jr. e James Hoff HOBO UFO V. (THE NEW WORLD), che esamina la tumultuosa storia geografica della razza in America.
Questa edizione del BHFM presenta come titolo tematico FUGA: una meditazione sulla fugacità del concetto di Blackness (Moten, Harney 2013) e sulla instabilità che permea realtà geo-culturali sfumando i confini tra locale e transnazionale. È anche una riflessione sulla diffidenza che persiste nel contesto italiano riguardo ai popoli e alle culture d’origine africana, che spinge molti alla fuga.
MAD Murate Art District in collaborazione con l’Associazione Culturale Black History Month Florence e The Recovery Plan sono lieti di presentare l’VIII Edizione di Black History Month Florence – Sforzando.
Al settimo anno di collaborazione con MAD Murate Art District la mostra Memory Effect, curata da BHMF in collaborazione con gli studenti del Master IED in Curatorial Practice, prende forma in tutti gli spazi espositivi del complesso dal 2 febbraio al 2 marzo 2023.
Black History Month Florence – Sforzando è il frutto di un’organizzazione collettiva che riunisce associazioni, individui e istituzioni, per il rilancio di una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.
La mostra riunisce i lavori dei quattro artisti Binta Diaw, Nexcyia, Bocar Niang e Lerato Shadi intrecciando performance, sound art e installazioni.
In geologia il Memory effect, l’effetto memoria (ME), è visualizzato come interferenze e anomalie present
MAD Murate Art District in collaborazione con l’Associazione Culturale Black History Month Florence e The Recovery Plan sono lieti di presentare l’VIII Edizione di Black History Month Florence – Sforzando.
Al settimo anno di collaborazione con MAD Murate Art District la mostra Memory Effect, curata da BHMF in collaborazione con gli studenti del Master IED in Curatorial Practice, prende forma in tutti gli spazi espositivi del complesso dal 2 febbraio al 2 marzo 2023.
Black History Month Florence – Sforzando è il frutto di un’organizzazione collettiva che riunisce associazioni, individui e istituzioni, per il rilancio di una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.
La mostra riunisce i lavori dei quattro artisti Binta Diaw, Nexcyia, Bocar Niang e Lerato Shadi intrecciando performance, sound art e installazioni.
In geologia il Memory effect, l’effetto memoria (ME), è visualizzato come interferenze e anomalie presenti in mappature e topografie; è infatti prodotto da errori e imperfezioni generati da attrezzature e tecnologie utilizzate nella raccolta di dati e nella creazione di grafici.
Ciascuna delle opere esposte è realizzata con un approccio site specific ed estende la percezione della capacità sonora di occupare lo spazio. Video, materiali tessili, terra e parti di automobili fanno da sfondo a una serie di conversazioni sfumate sulla documentazione e la memoria come forme di resistenza.
Questo contenuto appare in:
“Sono nera, sono bella” (2023) è un docu-film scritto e diretto da Sabrina Onana che racconta l’esperienza delle Donne Nere, sia caraibiche che figlie della diaspora africana, in Francia.
In questo documentario, 12 donne afro-francesi raccontano della loro relazione con i capelli, standard di bellezza, uomini e la rappresentazione nei media. Il loro percorso tra dubbi, crescita, alienazione, riconciliazione, resilienza, e accettazione richiama l’attenzione a questioni sociali e culturali presenti sia nelle società africane che occidentali.
Condividendo pubblicamente le loro esperienze, questo documentario dà a queste donne contemporaneamente la possibilità di parlare, essere viste e ascoltate nonchè di incoraggiare l’ascolto attivo e discussioni oneste sia fuori che al di dentro della comunità nera.
L’evento è di IParticipate in collaborazi
“Sono nera, sono bella” (2023) è un docu-film scritto e diretto da Sabrina Onana che racconta l’esperienza delle Donne Nere, sia caraibiche che figlie della diaspora africana, in Francia.
In questo documentario, 12 donne afro-francesi raccontano della loro relazione con i capelli, standard di bellezza, uomini e la rappresentazione nei media. Il loro percorso tra dubbi, crescita, alienazione, riconciliazione, resilienza, e accettazione richiama l’attenzione a questioni sociali e culturali presenti sia nelle società africane che occidentali.
Condividendo pubblicamente le loro esperienze, questo documentario dà a queste donne contemporaneamente la possibilità di parlare, essere viste e ascoltate nonchè di incoraggiare l’ascolto attivo e discussioni oneste sia fuori che al di dentro della comunità nera.
L’evento è di IParticipate in collaborazione con The Recovery Plan.
Conversazione con Eve Tagny
In dialogo con Justin Randolph Thompson
L’artista Eve Tagny presente nella mostra Repose and Resist sarà in dialogo con il direttore di Black History Month Florence sulla sua pratica interdisciplinare ed il suo rapporto con riposo e guarigione. La pratica di Tagny unisce il movimento del corpo con istallazioni scultoree, concentrandosi su connessioni tra tatto e forme di lutto in rapporto con la natura e la terra.
Per maggiori informazioni:
055 2476873
info.mad@musefirenze.it
Conversazione con Eve Tagny
In dialogo con Justin Randolph Thompson
L’artista Eve Tagny presente nella mostra Repose and Resist sarà in dialogo con il direttore di Black History Month Florence sulla sua pratica interdisciplinare ed il suo rapporto con riposo e guarigione. La pratica di Tagny unisce il movimento del corpo con istallazioni scultoree, concentrandosi su connessioni tra tatto e forme di lutto in rapporto con la natura e la terra.
Per maggiori informazioni:
055 2476873
info.mad@musefirenze.it
a cura di BHMF
Repose and Resist è una mostra collettiva a cura di Black History Month Florence che esamina i concetti di riposo e guarigione in relazione alla produzione culturale afro discendente. Le opere degli artisti internazionali – Raziel Perin, Nari Ward, Eve Tagny, Anike Joyce Sadiq, Bradly Dever Treadaway, Sikelela Owen – esplorano la cura del corpo e dello spirito come gesto di riconoscimento della fatica e dell’esaurimento che fanno parte della vita di coloro che operano nel settore culturale, dove la divisione tra vita professionale e personale è quasi inesistente. I gesti scultorei, pittorici o espressi in video installazioni, intesi come forme di cura collettiva, abitano gli spazi di MAD Murate Art District, in dialogo con la sua storia di spiritualità e reclusione. Dalle opere emergono pratiche volte alla rigenerazione di energie, simili al riposo della terra tra una stagione di semina e l’a
a cura di BHMF
Repose and Resist è una mostra collettiva a cura di Black History Month Florence che esamina i concetti di riposo e guarigione in relazione alla produzione culturale afro discendente. Le opere degli artisti internazionali – Raziel Perin, Nari Ward, Eve Tagny, Anike Joyce Sadiq, Bradly Dever Treadaway, Sikelela Owen – esplorano la cura del corpo e dello spirito come gesto di riconoscimento della fatica e dell’esaurimento che fanno parte della vita di coloro che operano nel settore culturale, dove la divisione tra vita professionale e personale è quasi inesistente. I gesti scultorei, pittorici o espressi in video installazioni, intesi come forme di cura collettiva, abitano gli spazi di MAD Murate Art District, in dialogo con la sua storia di spiritualità e reclusione. Dalle opere emergono pratiche volte alla rigenerazione di energie, simili al riposo della terra tra una stagione di semina e l’altra.
L’esposizione riunisce un gruppo di artisti internazionali ed è arricchita da un film documentario realizzato da Bradly Dever Treadaway in relazione a un ritiro, dal quale la mostra prende il nome, tenutosi a Giverny, in Francia, in seguito a una collaborazione tra The Recovery Plan e la Terra Foundation for American Art.
La condivisione delle metodologie di Recovery Plan fornisce lo sfondo per una meditazione stratificata sul riposo e la tranquillità in relazione alla resistenza: un invito allo spettatore a rallentare, a riposare e a riconoscere i bisogni del corpo e dello spirito. La mostra è accompagnata da un programma pubblico di conferenze, performance e workshop.
L’inaugurazione avrà luogo giovedì 15 febbraio alle ore 18:00.
Per maggiori informazioni:
055 2476873
info.mad@musefirenze.it
proiezione film
08 FEBBRAIO / 18:00
MURATE ART DISTRICT
America Non C’è (Italia, 2022, 77 min) è un progetto che racconta la quotidianità e le esperienze di vita di un gruppo di giovani italiani di origine africana, all’indomani delle proteste organizzate a sostegno del movimento BLM in America e nel resto del mondo. A partire da una foto scattata alla manifestazione di Milano, incontriamo il ragazzo ritratto e un gruppo di amici che si esprimono liberamente sui temi del razzismo oggi nel nostro Paese.
Dopo la proiezione ci sarà un video-incontro con il regista Davide Marchesi.
L’evento rientra nel progetto portato avanti da Black History Month Florence.
Per maggiori informazioni:
055 2476873
info.mad@musefirenze.it
proiezione film
08 FEBBRAIO / 18:00
MURATE ART DISTRICT
America Non C’è (Italia, 2022, 77 min) è un progetto che racconta la quotidianità e le esperienze di vita di un gruppo di giovani italiani di origine africana, all’indomani delle proteste organizzate a sostegno del movimento BLM in America e nel resto del mondo. A partire da una foto scattata alla manifestazione di Milano, incontriamo il ragazzo ritratto e un gruppo di amici che si esprimono liberamente sui temi del razzismo oggi nel nostro Paese.
Dopo la proiezione ci sarà un video-incontro con il regista Davide Marchesi.
L’evento rientra nel progetto portato avanti da Black History Month Florence.
Per maggiori informazioni:
055 2476873
info.mad@musefirenze.it
Artista
Nato nel 1985 a Dahmani, Tunisia, Nidhal Chamekh si è laureato alla Scuola di Belle Arti di Tunisi e all’Università della Sorbona di Parigi. Continua a lavorare e vivere tra le due città. Le creazioni di Nidhal riflettono sui tempi in cui abitiamo. La sua opera si colloca all’incrocio tra il biografico e il politico, il vissuto e lo storico, l’evento e l’archivio. Dal disegno alle installazioni, dalla fotografia ai video, le opere di Nidhal Chamekh analizzano la costituzione della nostra identità contemporanea.
Le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Aïchi, alla Biennale di Yinchuan, alla Biennale di Dakar ed è stata esposta a Tunisi alle mostre Politics Collective, alla Kunsthaus di Amburgo, in Francia al Museo d’arte contemporanea MAC Lyon, durante la 12a edizione edizione di Bamako Encounters, in Italia presso FM Contemporary Art Center, a Londra presso Drawing Room, a CCA Lagos in Nigeria e Kadist a Parigi, a S
Nato nel 1985 a Dahmani, Tunisia, Nidhal Chamekh si è laureato alla Scuola di Belle Arti di Tunisi e all’Università della Sorbona di Parigi. Continua a lavorare e vivere tra le due città. Le creazioni di Nidhal riflettono sui tempi in cui abitiamo. La sua opera si colloca all’incrocio tra il biografico e il politico, il vissuto e lo storico, l’evento e l’archivio. Dal disegno alle installazioni, dalla fotografia ai video, le opere di Nidhal Chamekh analizzano la costituzione della nostra identità contemporanea.
Le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia, alla Triennale di Aïchi, alla Biennale di Yinchuan, alla Biennale di Dakar ed è stata esposta a Tunisi alle mostre Politics Collective, alla Kunsthaus di Amburgo, in Francia al Museo d’arte contemporanea MAC Lyon, durante la 12a edizione edizione di Bamako Encounters, in Italia presso FM Contemporary Art Center, a Londra presso Drawing Room, a CCA Lagos in Nigeria e Kadist a Parigi, a San Paolo per Videobrasil Art Biennial e lo Skissernas Museum in Svezia.
Black History Month Florence | VII edizione
Dopo quattro anni di sviluppo della piattaforma di ricerca Black Archive Alliance e nell’ambito di una residenza triennale al Murate Art District, presentiamo il quarto volume. In collaborazione con la nostra attuale ricercatrice in residenza, Jessica Sartiani che lavora al MAD da dicembre all’interno di una collaborazione triennale con BHFM, presentiamo una serie di documenti e ricerche. L’attuale volume di lavoro comprende ricerche di Roberto Bianchi sullo Sciopero della Fame del 1990, una serie di documenti dell’archivio personale di Mestre Boca Nua sul suo lavoro intorno alla Capoeira a Firenze e frammenti dell’archivio virtuale di Jordan Anderson su Black Queerness in Italia. Questi lavori si mettono in dialogo con le ricerche di Jessica Sartiani che guardano alle connessioni tra storia coloniale, emigrazione e produzione, consumo e marketing del caffè.
Dopo quattro anni di sviluppo della piattaforma di ricerca Black Archive Alliance e nell’ambito di una residenza triennale al Murate Art District, presentiamo il quarto volume. In collaborazione con la nostra attuale ricercatrice in residenza, Jessica Sartiani che lavora al MAD da dicembre all’interno di una collaborazione triennale con BHFM, presentiamo una serie di documenti e ricerche. L’attuale volume di lavoro comprende ricerche di Roberto Bianchi sullo Sciopero della Fame del 1990, una serie di documenti dell’archivio personale di Mestre Boca Nua sul suo lavoro intorno alla Capoeira a Firenze e frammenti dell’archivio virtuale di Jordan Anderson su Black Queerness in Italia. Questi lavori si mettono in dialogo con le ricerche di Jessica Sartiani che guardano alle connessioni tra storia coloniale, emigrazione e produzione, consumo e marketing del caffè.
Black History Month Florence | VII edizione
Questa mostra riunisce due serie di opere dello straordinario disegnatore Nidhal Chamekh che mettono in discussione la nozione dell’archivio come testimone, come spettatore. Le opere a tecnica mista inondano l’abisso di storiografie evacuate, che solo apparentemente fanno fatica a mantenere un’accuratezza puntuale, a mettere in discussione l’ambiguità dell’obiettivo empirico dell’anatomia zoologica, la classificazione delle foto segnaletiche, la precisione dei disegni meccanici con gli indizi personali che le tengono insieme.
L’infanzia di Chamekh nei quartieri popolari di Tunisi e la persecuzione della sua famiglia militante hanno un profondo impatto sulla sua arte, situata tra dimensione biografica e politica, mentre disegna ricordi trasformati in testimonianze, investigando la cosituzione della nostra identità contemporanea in relazione a eventi storici ed archivi.
Questa mostra riunisce due serie di opere dello straordinario disegnatore Nidhal Chamekh che mettono in discussione la nozione dell’archivio come testimone, come spettatore. Le opere a tecnica mista inondano l’abisso di storiografie evacuate, che solo apparentemente fanno fatica a mantenere un’accuratezza puntuale, a mettere in discussione l’ambiguità dell’obiettivo empirico dell’anatomia zoologica, la classificazione delle foto segnaletiche, la precisione dei disegni meccanici con gli indizi personali che le tengono insieme.
L’infanzia di Chamekh nei quartieri popolari di Tunisi e la persecuzione della sua famiglia militante hanno un profondo impatto sulla sua arte, situata tra dimensione biografica e politica, mentre disegna ricordi trasformati in testimonianze, investigando la cosituzione della nostra identità contemporanea in relazione a eventi storici ed archivi.
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Black History Month Florence | VII edizione
La mostra personale Hazel, del noto artista e regista Kevin Jerome Everson, nasce da ricordi mal rammentati o mal interpretati in relazione all’iconica canzone Maggot Brain dei Parliament Funkadelic. L’opera attinge alla memoria dell’artista riguardo a quanto ha ispirato il memorabile assolo di chitarra della canzone che dà il titolo all’album: il ricordo distorto, una finzione progettata per ispirare un’esecuzione appassionata. L’attualità della storia della traccia e gli scambi tra il leader della band, George Clinton, e il chitarrista Eddie Hazel diventano percezioni, intuizioni e immaginazioni alternative, in quest’opera dedicata proprio al chitarrista del gruppo. La dimensione sonora funziona come un elemento familiare ma dissonante, ricordata ma ossessivamente distante.
La mostra personale Hazel, del noto artista e regista Kevin Jerome Everson, nasce da ricordi mal rammentati o mal interpretati in relazione all’iconica canzone Maggot Brain dei Parliament Funkadelic. L’opera attinge alla memoria dell’artista riguardo a quanto ha ispirato il memorabile assolo di chitarra della canzone che dà il titolo all’album: il ricordo distorto, una finzione progettata per ispirare un’esecuzione appassionata. L’attualità della storia della traccia e gli scambi tra il leader della band, George Clinton, e il chitarrista Eddie Hazel diventano percezioni, intuizioni e immaginazioni alternative, in quest’opera dedicata proprio al chitarrista del gruppo. La dimensione sonora funziona come un elemento familiare ma dissonante, ricordata ma ossessivamente distante.
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Black History Month Florence | VII edizione
La settima edizione del Black History Month Florence è arrivata portando con sé un nuovo centro culturale, The Recovery Plan presso SRISA con la funzione di hub per informazioni, dialoghi, ricerca e scambio durante tutto il mese di febbraio. Questa edizione rappresenta anche un ampliamento del programma trasformandosi in Black History Fuori le Mura. Estendendo la portata dell’iniziativa per collettivizzare gli incredibili sforzi organizzativi in corso nelle città di Bologna, Torino e Roma, ma puntando anche verso nuove collaborazioni a Parigi, Black History Fuori le Mura è il frutto di un’organizzazione collettiva che porta insieme una serie di associazioni, individui e istituzioni ed è uno spazio condiviso per la co-promozione degli eventi di Black History Month. Questa piattaforma vuole essere generatrice di un modello per una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.
Questa edizione è inquadrata dal titolo tematico FUGA. FUGA è una
La settima edizione del Black History Month Florence è arrivata portando con sé un nuovo centro culturale, The Recovery Plan presso SRISA con la funzione di hub per informazioni, dialoghi, ricerca e scambio durante tutto il mese di febbraio. Questa edizione rappresenta anche un ampliamento del programma trasformandosi in Black History Fuori le Mura. Estendendo la portata dell’iniziativa per collettivizzare gli incredibili sforzi organizzativi in corso nelle città di Bologna, Torino e Roma, ma puntando anche verso nuove collaborazioni a Parigi, Black History Fuori le Mura è il frutto di un’organizzazione collettiva che porta insieme una serie di associazioni, individui e istituzioni ed è uno spazio condiviso per la co-promozione degli eventi di Black History Month. Questa piattaforma vuole essere generatrice di un modello per una riflessione nazionale e internazionale sul recupero della Black History.
Questa edizione è inquadrata dal titolo tematico FUGA. FUGA è una meditazione sulla fugacità di Blackness (Moten, Harney 2013) e sulla sua non fissità che permea le realtà geoculturali e offusca i confini tra il locale e il transnazionale. È anche una riflessione sul respingimento che continua a persistere nel contesto italiano in relazione al discorso su popoli e culture di origine africana che spinge molti alla fuga. FUGA in musica è un elemento compositivo in cui un tema melodico è introdotto da una voce solo per essere ripreso successivamente da altre. Questa edizione vuole fornire la chiamata e la risposta necessarie per impegnarsi collettivamente nel lavoro che deve essere svolto per andare oltre le concezioni che troppo spesso sono definite dalla piattezza e dalla cornice limitata della Blackness come riflessa nei mass media, nelle strutture istituzionali e nel discorso accademico in Italia e non solo.
Passare da BHMF a BHFM significa impegnarsi in una forma di modulazione di frequenza necessaria per ascoltare ed essere ascoltati.
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Docente di Sociologia alla New York University di Firenze
Angelica Pesarini è docente di Sociologia alla New York University di Firenze dove insegna “Black Italia”, un corso dedicato all’analisi delle intersezioni di razza, genere e cittadinanza in Italia. Ha conseguito un dottorato in Sociologia e Studi di Genere in Inghilterra e ha lavorato come docente di Genere, Razza e Sessualità alla Lancaster University prima di tornare in Italia nel 2017. La ricerca di Pesarini si concentra sulla performatività della razza nell’Italia coloniale e post-coloniale e sulla razzializzazione del discorso politico italiano contemporaneo. Pesarini ha precedentemente indagato le relazioni tra identità di genere e attività economiche in alcune comunità rom che vivono a Roma, analizzando le strategie di rischio, la sopravvivenza e le opportunità nel contesto della prostituzione minorile maschile a Roma. Ha pubblicato diversi saggi accademici e ha partecipato a diverse pubblicazioni collettive.
Angelica Pesarini è docente di Sociologia alla New York University di Firenze dove insegna “Black Italia”, un corso dedicato all’analisi delle intersezioni di razza, genere e cittadinanza in Italia. Ha conseguito un dottorato in Sociologia e Studi di Genere in Inghilterra e ha lavorato come docente di Genere, Razza e Sessualità alla Lancaster University prima di tornare in Italia nel 2017. La ricerca di Pesarini si concentra sulla performatività della razza nell’Italia coloniale e post-coloniale e sulla razzializzazione del discorso politico italiano contemporaneo. Pesarini ha precedentemente indagato le relazioni tra identità di genere e attività economiche in alcune comunità rom che vivono a Roma, analizzando le strategie di rischio, la sopravvivenza e le opportunità nel contesto della prostituzione minorile maschile a Roma. Ha pubblicato diversi saggi accademici e ha partecipato a diverse pubblicazioni collettive.
Waiting For Progetto RIVA
Intervengono: Jems Kokobi e Dia Papa Demba
Modera: Justin Randolph Thompson
In collaborazione con MAD Murate Art District
I’ve Known Rivers trae il suo titolo da un verso di una poesia del 1920 di Langston Hughes che parla della diaspora e discendenza attraverso la metafora dei fiumi. Questo progetto si basa sull’operato di Jems Kokobi, che rielabora le tradizioni e collega la sua pratica artistica alla sostenibilità dell’ambiente naturale attraverso l’uso di materiali come il legno, con una risposta all’impatto della deforestazione sui fiumi, ai processi naturali che sono stati industrializzati e una riflessione sulla rivendicazione delle dimensioni spirituali di questo lavoro. L’artista, impegnato in meditazioni afrocentriche sulla storia e sul collegamento tra il mondo dell’arte contemporanea e attivismo, dialoga con un rappresentante locale dei sindacati impegnato nella lotta a favore della sostenibilità attraverso processi tecnologici e diritti dei lavoratori delle concerie del fiume Arno. La conversazione è interdisciplinare e affianca pratica e poesia.
I’ve Known Rivers trae il suo titolo da un verso di una poesia del 1920 di Langston Hughes che parla della diaspora e discendenza attraverso la metafora dei fiumi. Questo progetto si basa sull’operato di Jems Kokobi, che rielabora le tradizioni e collega la sua pratica artistica alla sostenibilità dell’ambiente naturale attraverso l’uso di materiali come il legno, con una risposta all’impatto della deforestazione sui fiumi, ai processi naturali che sono stati industrializzati e una riflessione sulla rivendicazione delle dimensioni spirituali di questo lavoro. L’artista, impegnato in meditazioni afrocentriche sulla storia e sul collegamento tra il mondo dell’arte contemporanea e attivismo, dialoga con un rappresentante locale dei sindacati impegnato nella lotta a favore della sostenibilità attraverso processi tecnologici e diritti dei lavoratori delle concerie del fiume Arno. La conversazione è interdisciplinare e affianca pratica e poesia.
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Waiting For Progetto RIVA
Intervengono: Jems Kokobi e Dia Papa Demba
Modera: Justin Randolph Thompson
In collaborazione con MAD Murate Art District
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Black History Month Florence 2021
Questa III ° Edizione segna il terzo anno di collaborazione con Murate Art District nel ospitare il progetto Black Archive Alliance e il primo anno di una residenza di lunga durata progettata per favorire la crescita e la continua implementazione della ricerca negli archivi e nelle collezioni di Firenze e d’Italia. L’obiettivo del progetto di ricerca è di mappare e mettere a fuoco i popoli e la storia afrodiscendente e tenere spazio per un’archivio della ricerca di BHMF condivisibile nella sua forma, e nel suo contenuto.
Avviato nel 2018 Black Archive Alliance è un progetto di ricerca e formazione che mira ad evidenziare la ricerca radicata in documenti che riflettono le realtà e le storie di popolazioni africane e della diaspora africana e la loro rappresentazione negli archivi e nelle collezioni pubbliche e private nel contesto italiano.
La prima edizione ha creato una mappa virtuale di questa presenza archivistica nella città di Firenze con un catalogo che mir
Questa III ° Edizione segna il terzo anno di collaborazione con Murate Art District nel ospitare il progetto Black Archive Alliance e il primo anno di una residenza di lunga durata progettata per favorire la crescita e la continua implementazione della ricerca negli archivi e nelle collezioni di Firenze e d’Italia. L’obiettivo del progetto di ricerca è di mappare e mettere a fuoco i popoli e la storia afrodiscendente e tenere spazio per un’archivio della ricerca di BHMF condivisibile nella sua forma, e nel suo contenuto.
Avviato nel 2018 Black Archive Alliance è un progetto di ricerca e formazione che mira ad evidenziare la ricerca radicata in documenti che riflettono le realtà e le storie di popolazioni africane e della diaspora africana e la loro rappresentazione negli archivi e nelle collezioni pubbliche e private nel contesto italiano.
La prima edizione ha creato una mappa virtuale di questa presenza archivistica nella città di Firenze con un catalogo che mira a supportare la ricerca futura e a fornire prospettive di lettura e analisi storica alternative. La seconda edizione, realizzata tra settembre 2019 e febbraio 2020 è basata su un tutoraggio tra ricercatori e studiosi che risiedono a Firenze con studenti internazionali legati a diverse discipline e istituzioni.
La terza edizione nasce da una collaborazione tra un gruppo di cinque ricercatori afrodiscendenti in diversi campi che hanno lavorato “in tandem” con gli artisti della prima edizione YGBI Research Residency. Lavorando a coppie, attraverso un approccio sperimentale basato sul dialogo e lo scambio, hanno esplorato archivi tangibili e intangibili radicati in Italia. Fornendo una contestualizzazione e una più ampia riflessione sulle opere d’arte prodotte dai membri di YGBI, il progetto intende riflettere su modi alternativi di attivare e presentare la ricerca basata su archivi, al di là della sfera accademica. I testi integrali prodotti dai ricercatori, sviluppati in collaborazione con Archive Books, saranno presenti nell’ultima pubblicazione di Archive Journal che sarà presentata il 24 febbraio alle ore 17. Nell’ambito di questa apertura espositiva, presentiamo la nostra collaborazione con Postcolonial Italy, che introduce questo progetto di mapping all’interno del nostro spazio espositivo.
A cura di BHMF con Alessandra Ferrini
In collaborazione con Archive Books, Museo MA*GA e Villa Romana
MAD Murate Art District _Emeroteca
Ricercatori: Simao Amista, Jessica Sartiani, Angelica Pesarini, Jordan Anderson, Patrick Joel Tatcheda Yonkeu
Curatorial Team
Black History Month Florence nasce nel 2016 come rete inter-istituzionale per promuovere la produzione culturale “Black” che celebra le culture afro-discendenti nel contesto italiano. L’iniziativa programma, coordina e co-promuove annualmente più di cinquanta eventi nel mese di febbraio attraverso una rete formata e supportata dal Comune, fondazioni, istituzioni e associazioni culturali, musei e locali dedicati all’arte e alla musica e scuole. BHMF come squadra curatoriale e sotto la guida di Justin Randolph Thompson e Janine Gaelle Dieudji.
Black History Month Florence nasce nel 2016 come rete inter-istituzionale per promuovere la produzione culturale “Black” che celebra le culture afro-discendenti nel contesto italiano. L’iniziativa programma, coordina e co-promuove annualmente più di cinquanta eventi nel mese di febbraio attraverso una rete formata e supportata dal Comune, fondazioni, istituzioni e associazioni culturali, musei e locali dedicati all’arte e alla musica e scuole. BHMF come squadra curatoriale e sotto la guida di Justin Randolph Thompson e Janine Gaelle Dieudji.
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co-fondatore e direttore Black History Month Florence
Janine Gaëlle Dieudji è di nazionalità francese e camerunese, laureata in Cultura e Relazioni Internazionali dell’Università di Lione 3 in Francia. Ha conseguito un Master in Scienze Politiche presso l’Università di Parigi 2 Panthéon Assas. Da sei anni vive a Firenze, una città di cui si è innamorata. È così che Firenze è diventata la sua casa e il luogo dove ha iniziato a costruire la sua carriera di professionista dell’arte. Si considera una “multilocale”, credendo che apparteniamo a tutti i luoghi in cui abbiamo vissuto. La casa è il luogo dove la mente può creare e sentirsi riposata allo stesso tempo. È a questo che serve il viaggio della vita, a esplorare per diventare la persona che decidiamo di essere.
Janine Gaëlle Dieudji è di nazionalità francese e camerunese, laureata in Cultura e Relazioni Internazionali dell’Università di Lione 3 in Francia. Ha conseguito un Master in Scienze Politiche presso l’Università di Parigi 2 Panthéon Assas. Da sei anni vive a Firenze, una città di cui si è innamorata. È così che Firenze è diventata la sua casa e il luogo dove ha iniziato a costruire la sua carriera di professionista dell’arte. Si considera una “multilocale”, credendo che apparteniamo a tutti i luoghi in cui abbiamo vissuto. La casa è il luogo dove la mente può creare e sentirsi riposata allo stesso tempo. È a questo che serve il viaggio della vita, a esplorare per diventare la persona che decidiamo di essere.
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co-fondatore e direttore Black History Month Florence
Justin Randolph Thompson è un artista dei nuovi media, facilitatore culturale ed educatore nato a Peekskill, NY nel ’79. Vive tra l’Italia e gli Stati Uniti dal 1999, Thompson è co-fondatore e direttore del Black History Month Florence, un’esplorazione sfaccettata delle culture diasporiche africane e africane nel contesto dell’Italia fondata nel 2016.
Thompson ha ricevuto il Louise Comfort Tiffany Award, il Franklin Furnace Fund Award, il Visual Artist Grant della Fundacion Marcelino Botin, due Foundation for Contemporary Arts Emergency Grants, una Jerome Fellowship dal Franconia Sculpture Park e una Emerging Artist Fellowship dal Socrates Sculpture Park. La sua vita e il suo lavoro cercano di approfondire le discussioni sulla stratificazione socio-culturale e l’organizzazione gerarchica, impiegando comunità temporanee e fugaci come monumenti e promuovendo progetti che collegano l’attivismo sociale del discorso accademico e le strategie di network
Justin Randolph Thompson è un artista dei nuovi media, facilitatore culturale ed educatore nato a Peekskill, NY nel ’79. Vive tra l’Italia e gli Stati Uniti dal 1999, Thompson è co-fondatore e direttore del Black History Month Florence, un’esplorazione sfaccettata delle culture diasporiche africane e africane nel contesto dell’Italia fondata nel 2016.
Thompson ha ricevuto il Louise Comfort Tiffany Award, il Franklin Furnace Fund Award, il Visual Artist Grant della Fundacion Marcelino Botin, due Foundation for Contemporary Arts Emergency Grants, una Jerome Fellowship dal Franconia Sculpture Park e una Emerging Artist Fellowship dal Socrates Sculpture Park. La sua vita e il suo lavoro cercano di approfondire le discussioni sulla stratificazione socio-culturale e l’organizzazione gerarchica, impiegando comunità temporanee e fugaci come monumenti e promuovendo progetti che collegano l’attivismo sociale del discorso accademico e le strategie di networking del fai da te in incontri annuali e biennali, condivisione e gesti di collettività.
Luanda-Angola, 1979, Kiluanji Kia Henda è un autodidatta con un profondo trampolino di lancio in questo campo poichè viene da una famiglia di appassionati di fotografia. Il suo taglio concettuale è stato affinato grazie alla sua immersione anche nei campi della musica, nel teatro d’avanguardia e collaborando con un collettivo di artisti emergenti nella scena artistica di Luanda. Kia Henda ha partecipato a diversi programmi di residenza in città come Venezia, Città del Capo, Parigi, Amman e Sharjah, New York e Arles.
Le mostre personali selezionate da Kia Henda includono Something Happen on the Way to Heaven, al Museo di Arte di Nuoro (2020), The Isle of Venus al Museo di Lovanio a Leuven (2020), A City Called Mirage all’International Studio and Curatorial Program (ISCP) di New York (2017), In the Days of a Dark Safari alla Galeria Filomena Soares di Lisbona e alla Goodman Gallery di Cape Town (2017) e Self-Portrait As A White Man alla Galleria Fonti di Napoli (2010
Luanda-Angola, 1979, Kiluanji Kia Henda è un autodidatta con un profondo trampolino di lancio in questo campo poichè viene da una famiglia di appassionati di fotografia. Il suo taglio concettuale è stato affinato grazie alla sua immersione anche nei campi della musica, nel teatro d’avanguardia e collaborando con un collettivo di artisti emergenti nella scena artistica di Luanda. Kia Henda ha partecipato a diversi programmi di residenza in città come Venezia, Città del Capo, Parigi, Amman e Sharjah, New York e Arles.
Le mostre personali selezionate da Kia Henda includono Something Happen on the Way to Heaven, al Museo di Arte di Nuoro (2020), The Isle of Venus al Museo di Lovanio a Leuven (2020), A City Called Mirage all’International Studio and Curatorial Program (ISCP) di New York (2017), In the Days of a Dark Safari alla Galeria Filomena Soares di Lisbona e alla Goodman Gallery di Cape Town (2017) e Self-Portrait As A White Man alla Galleria Fonti di Napoli (2010).
Kia Henda ha partecipato a mostre collettive presso numerose istituzioni, tra cui Barbican Art Center di Lonodon (2020), Migros Museum di Zurigo (2020), Centre Georges Pompidou di Parigi (2020), Zeitz MOCAA di Città del Capo (2019), Tate Modern di Londra (2019), MAAT di Lisbona (2018), il National Museum of African Art – Smithsonian Institution di Washington D.C. (2015) e il Guggenheim Museum di Bilbao (2015).
Il suo lavoro è stato esposto alla Biennale di Gwangju (2018), all’Assemblea di Bergen (2013), alla Biennale di San Paolo (2010), alla Biennale di Venezia (2007) e alla Triennale di Luanda (2007). Nel 2017, Kia Henda ha ricevuto il Frieze Artist Award.
Ha presentato la sua opera The Fortress nel cortile della Somerset House (Londra) nel 2019. L’artista ha vinto il premio nazionale per la cultura e le arti dell’Angola nel 2012. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche, tra cui la Tate Modern (Londra), il Museo d’Arte Moderna (Varsavia), il Centre George Pompidou (Parigi), il Pérez Art Museum (Miami) e la Coleção de Arte Moderna Calouste Gulbenkian (Lisbona).
L’isola di Venere è una meditazione sulla miopia socio-psicologica. autoimposta prodotta dalla trasformazione delle città in siti museali tematici, ancorati al romanticismo del Rinascimento o al fascino grintoso del medievale.
La mentalità isolana si riferisce all’idea che l’isolamento e la mancanza di considerazione per tutto ciò che è al di là dei propri confini produce un senso di superiorità insulare nella sua desensibilizzazione. Nel nostro caso questo aggettivo non è riservato a coloro che sono geograficamente “tagliati fuori “, ma si riversa su quelle società così abitualmente impegnate a stabilire i termini, le norme, i canoni, i confini e i valori su cui prosperano, che raramente si accorgono della finzione intensamente costruita dal loro lavoro .
L’isola di Venere è una meditazione sulla miopia socio-psicologica prodotta dalla trasformazione delle città in siti museali tematici, ancorati al romanticismo del Rinascimento o al fascino grintoso del medievale. Parte integrante di questa patina è l’allontanamento di tutte le realtà non allineate, capaci invece di evocare efficacemente le basi sociali di questo sbarramento coerente.
In collaborazione con M
La mentalità isolana si riferisce all’idea che l’isolamento e la mancanza di considerazione per tutto ciò che è al di là dei propri confini produce un senso di superiorità insulare nella sua desensibilizzazione. Nel nostro caso questo aggettivo non è riservato a coloro che sono geograficamente “tagliati fuori “, ma si riversa su quelle società così abitualmente impegnate a stabilire i termini, le norme, i canoni, i confini e i valori su cui prosperano, che raramente si accorgono della finzione intensamente costruita dal loro lavoro .
L’isola di Venere è una meditazione sulla miopia socio-psicologica prodotta dalla trasformazione delle città in siti museali tematici, ancorati al romanticismo del Rinascimento o al fascino grintoso del medievale. Parte integrante di questa patina è l’allontanamento di tutte le realtà non allineate, capaci invece di evocare efficacemente le basi sociali di questo sbarramento coerente.
In collaborazione con MAD Murate Art District
fino al 28/02 MAD Murate Art District, Sala Anna Banti
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Scultore
Victor Fotso Nyie è nato nel 1990 a Douala, in Camerun e vive e lavora a Faenza. Nel 2018 ha frequentato il Biennio di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ha frequentato l’Istituito Tecnico Superiore Tonito Emiliani / Diploma di Tecnico Superiore per la progettazione e prototipazione di prodotti ceramici, Faenza, IT nel 2015. La sua ricerca artistica lo porta ad esplorare la varietà e la bellezza umana, senza dimenticare una dimensione spirituale. Crea opere che richiamano la sua terra d’origine, l’Africa, che si fondono con altre che descrivono metaforicamente il mondo globalizzato in cui viviamo. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali tra cui The Armory show, New York city 2020, Stand P420 gallery,(2020), III Biennale d’Arte don Franco Patruno, a cura di Gianni Ceroli, Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO) (2020).To be going to, a cura di Francesca Bertazzoni & Davide Ferri, P420, (2019) Nel 2020 partecipa al
Victor Fotso Nyie è nato nel 1990 a Douala, in Camerun e vive e lavora a Faenza. Nel 2018 ha frequentato il Biennio di Scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Ha frequentato l’Istituito Tecnico Superiore Tonito Emiliani / Diploma di Tecnico Superiore per la progettazione e prototipazione di prodotti ceramici, Faenza, IT nel 2015. La sua ricerca artistica lo porta ad esplorare la varietà e la bellezza umana, senza dimenticare una dimensione spirituale. Crea opere che richiamano la sua terra d’origine, l’Africa, che si fondono con altre che descrivono metaforicamente il mondo globalizzato in cui viviamo. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali tra cui The Armory show, New York city 2020, Stand P420 gallery,(2020), III Biennale d’Arte don Franco Patruno, a cura di Gianni Ceroli, Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO) (2020).To be going to, a cura di Francesca Bertazzoni & Davide Ferri, P420, (2019) Nel 2020 partecipa al progetto Research Residency per BHMF, OCAD University, (Firenze). Vincitore di vari premi tra cui il Premio Roberto Daolio, 2018 la III Biennale d’Arte Don Franco Patruno, Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO), (2019). Tra le sue prossime mostre il Museo MAGI ‘900, Pieve di Cento (BO), IT (solo) (2020) e la Biennale del Mediterraneo, Repubblica di San Marino (2020).
Artista
Francis Offman (1987, Butare) vive e lavora a Bologna.
Nel 2021, Offman ha preso parte a un progetto di workshop in occasione delle sfilate per la collezione Autunno/Inverno 2021-2022 di Valentino.
Le mostre collettive a cui ha partecipato nel 2022 includono: Expressions. The Epilogue, Castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea, Italia; YGI-Group show, USA; The 3 ecologies, MACTE, Italia; The Tending of the Otherwise, Italia così come la seconda versione di Throw the Stone and Hide your Hand all’Italian Cultural Institute di Parigi, Francia. Nel 2021, Offman ha esposto in delle personali a P420 Gallery, Italia; Baleno International, Italia; Herald St | Museum St, Regno Unito e MA*GA Museum, Italia. Ha inoltre esposto in collaborazione con Christian Offman a The Garage Lab, Italia.
Precedenti mostre collettive includono The Geological Viens, Palazzo D’Accursio, Italia; Painting in Person, Castello di Rivoli Museum, Italia; Italy at Frieze, Ambasciata Italiana, Regno Unito;
Francis Offman (1987, Butare) vive e lavora a Bologna.
Nel 2021, Offman ha preso parte a un progetto di workshop in occasione delle sfilate per la collezione Autunno/Inverno 2021-2022 di Valentino.
Le mostre collettive a cui ha partecipato nel 2022 includono: Expressions. The Epilogue, Castello di Rivoli Museo di Arte Contemporanea, Italia; YGI-Group show, USA; The 3 ecologies, MACTE, Italia; The Tending of the Otherwise, Italia così come la seconda versione di Throw the Stone and Hide your Hand all’Italian Cultural Institute di Parigi, Francia. Nel 2021, Offman ha esposto in delle personali a P420 Gallery, Italia; Baleno International, Italia; Herald St | Museum St, Regno Unito e MA*GA Museum, Italia. Ha inoltre esposto in collaborazione con Christian Offman a The Garage Lab, Italia.
Precedenti mostre collettive includono The Geological Viens, Palazzo D’Accursio, Italia; Painting in Person, Castello di Rivoli Museum, Italia; Italy at Frieze, Ambasciata Italiana, Regno Unito; MEDITERRANEA 19 Young Artists Biennale: School of Waters, Repubblica di San Marino; Painting Stone, Villa Lontana, Italia; Throw the Stone and Hide your Hand, Murate Art District, Italia (2021); Premio Combat Prize 2020, Giovanni Fattori Civic Museum, Italia; Premio Zucchelli 2019, Zucchelli Foundation, Italia (2020); Open Tour 2019, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia; Rundgang 2019, Art Academy, Germania, Art White Night, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia (2019); Decoration between history, nature and poetry, Zucchelli Foundation, Italia; Open Tour, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia; Rambling rides, distractions from a destination, P420, Italia; Art white Night, Accademia di Belle Arti di Bologna, Italia; Scrap-Collective, Monumental Complex of Baraccano, Italia; Monsters-phenomena, Monumental Complex of Baraccano, Italia (2018).
Tra i riconoscimenti ricevuti si citano: Agitu Ideo Gudeta Fellowship – Performance Act Award (2021); Emilia-Romagna Region Award in support and dissemination of Contemporary Art; 9th edition of the Francesco Fabbri Award for Contemporary Arts (finalista); Premio Combat Prize (menzione d’onore) (2020); Eighth edition of the Francesco Fabbri Award for Contemporary Arts; Zucchelli Prize Scholarship; Tree Time workshop with Massimo Bartolini; Contemporary Minds Prize (finalist) (2019); ArtUp Collectibles Award; Switch The Rules, a cura di Elica and the Ermanno Casoli Foundation (finalista) (2018).
Visual artist
Emmanuel Yoro è un artista visivo italiano di origine ivoriana che lavora tra Vicenza e Milano. Adottando una pratica artistica che abbraccia collage, design, moda, grafica e fotografia, scompone in immagini le questioni delle molteplici sfaccettature della sua identità culturale e le diverse sfumature della queerness.
Una sensibilità afro-diasporica e un’estetica cruda e monocromatica caratterizzano la sua ricerca e la sua recente produzione artistica, sempre nel tentativo di una più ampia ridefinizione del sé che dimora nel simposio tra passato e presente, tra memoria e immaginazione.
Emmanuel Yoro è un artista visivo italiano di origine ivoriana che lavora tra Vicenza e Milano. Adottando una pratica artistica che abbraccia collage, design, moda, grafica e fotografia, scompone in immagini le questioni delle molteplici sfaccettature della sua identità culturale e le diverse sfumature della queerness.
Una sensibilità afro-diasporica e un’estetica cruda e monocromatica caratterizzano la sua ricerca e la sua recente produzione artistica, sempre nel tentativo di una più ampia ridefinizione del sé che dimora nel simposio tra passato e presente, tra memoria e immaginazione.
Artista
Raziel Perin è nato nel 1992 nella Repubblica Dominicana. Ha ricevuto un BFA in Arti Visive alla Naba Milano. Attingendo alla sua esperienza personale, alle associazioni mentali e ai riferimenti culturali, Raziel Perin crea opere d’arte misteriose, inaspettate e dirette che richiamano precisi momenti di chiarezza e densi ricordi che evocano la complessità del processo di riconciliazione dell’identità diasporica liberata dagli stereotipi occidentali. Perin è nato nell’entroterra della Repubblica Dominicana, dove ha vissuto fino all’età di quattro anni. Nel 1996 si trasferisce nel Nord Italia con la madre. La sua produzione artistica prende forma tra due realtà molto distanti, radicate nel bisogno di essere accettato come “l’Altro” e allo stesso tempo sentendo il dovere di sopprimere la parte sensibile della sua storia personale, che riemerge costantemente. L’introspezione e la riconnessione con gli echi di quei legami ancestrali che
Raziel Perin è nato nel 1992 nella Repubblica Dominicana. Ha ricevuto un BFA in Arti Visive alla Naba Milano. Attingendo alla sua esperienza personale, alle associazioni mentali e ai riferimenti culturali, Raziel Perin crea opere d’arte misteriose, inaspettate e dirette che richiamano precisi momenti di chiarezza e densi ricordi che evocano la complessità del processo di riconciliazione dell’identità diasporica liberata dagli stereotipi occidentali. Perin è nato nell’entroterra della Repubblica Dominicana, dove ha vissuto fino all’età di quattro anni. Nel 1996 si trasferisce nel Nord Italia con la madre. La sua produzione artistica prende forma tra due realtà molto distanti, radicate nel bisogno di essere accettato come “l’Altro” e allo stesso tempo sentendo il dovere di sopprimere la parte sensibile della sua storia personale, che riemerge costantemente. L’introspezione e la riconnessione con gli echi di quei legami ancestrali che sembravano essere stati recisi in questo processo di “sbiancamento” ne sono il risultato e si incanalano in disegni, dipinti, sculture e installazioni che uniscono e sintetizzano una serie di elementi ricorrenti. Il suo corpo di lavoro trasmette un’irresistibile metafora visiva degli strati di memoria personale e della storia culturale che informano e intensificano la sua esperienza del presente.
Visual artist
Binta Diaw, nata nel 1995, è un’artista visiva senegalese-italiana con sede a Milano.
La sua ricerca è volta alla creazione di installazioni di varie dimensioni e opere che commentano fenomeni sociali come la migrazione, l’immigrazione e l’antropologia, ma anche come il suo corpo si relaziona con la natura e le nozioni di identità. Sfidando lo sguardo occidentale attraverso una realtà sovvertita, la sua pratica mette in discussione le percezioni di italianità e africanità in relazione al suo patrimonio culturale e alla sua educazione.
Abbracciando l’arte visiva con una metodologia fortemente intersezionale, afro-diasporica e femminista basata su un’esperienza fisica e personale, è in grado di esplorare i molteplici strati del suo essere una persona di colore, il suo essere come corpo sociale e la sua posizione come donna nera in un contesto occidentale.
Ha studiato Belle Arti all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e ha ottenuto un MA al
Binta Diaw, nata nel 1995, è un’artista visiva senegalese-italiana con sede a Milano.
La sua ricerca è volta alla creazione di installazioni di varie dimensioni e opere che commentano fenomeni sociali come la migrazione, l’immigrazione e l’antropologia, ma anche come il suo corpo si relaziona con la natura e le nozioni di identità. Sfidando lo sguardo occidentale attraverso una realtà sovvertita, la sua pratica mette in discussione le percezioni di italianità e africanità in relazione al suo patrimonio culturale e alla sua educazione.
Abbracciando l’arte visiva con una metodologia fortemente intersezionale, afro-diasporica e femminista basata su un’esperienza fisica e personale, è in grado di esplorare i molteplici strati del suo essere una persona di colore, il suo essere come corpo sociale e la sua posizione come donna nera in un contesto occidentale.
Ha studiato Belle Arti all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e ha ottenuto un MA all’ESAD Grenoble-Valence, in Francia. Nel 2018 si è trasferita in Germania per uno stage presso SAVVY Contemporary, a Berlino. Nel 2020 debutta con la sua prima personale alla Galleria Giampaolo Abbondio di Milano.
Questa mostra impegna l'ostinazione socio-spirituale che riconosce l'ovvio ma è consapevole di ciascuno di noi come custodi di un'agenzia poco riconosciuta.
Gettare il Sasso e nascondere la mano è una mostra collettiva dedicata agli artisti della prima edizione della YGBI Research Residency sviluppata in collaborazione con OCAD e The Student Hotel nel febbraio 2020 sotto la guida di Andrea Fatona e Leaf Jerlefia. La residenza riflette su spazi di non-performatività, sulla collettività e sulla nozione di diaspora. Riunendo cinque artisti afro- discendenti di età inferiore ai 35 anni e residenti in Italia, la mostra progettata per le celle di Murate Art District abbraccia una serie di narrazioni collettive che collegano la spiritualità e i riti afro-discendenti all’educazione, la storia coloniale e la sua materialità all’attivismo storico. La mostra è radicalmente fondata su un approccio sperimentale alla condivisione collettiva dello spazio.
La frase Gettare il sasso e nascondere la mano è stata pronunciata da Cécile Kyenge come una descrizione di un futile tentativo di non essere ritenuto responsabile per l’at
Gettare il Sasso e nascondere la mano è una mostra collettiva dedicata agli artisti della prima edizione della YGBI Research Residency sviluppata in collaborazione con OCAD e The Student Hotel nel febbraio 2020 sotto la guida di Andrea Fatona e Leaf Jerlefia. La residenza riflette su spazi di non-performatività, sulla collettività e sulla nozione di diaspora. Riunendo cinque artisti afro- discendenti di età inferiore ai 35 anni e residenti in Italia, la mostra progettata per le celle di Murate Art District abbraccia una serie di narrazioni collettive che collegano la spiritualità e i riti afro-discendenti all’educazione, la storia coloniale e la sua materialità all’attivismo storico. La mostra è radicalmente fondata su un approccio sperimentale alla condivisione collettiva dello spazio.
La frase Gettare il sasso e nascondere la mano è stata pronunciata da Cécile Kyenge come una descrizione di un futile tentativo di non essere ritenuto responsabile per l’attuazione di violenza sfacciata e intenzionale. La sua è stata una risposta alle mani platealmente nascoste, responsabili del danno sociale e del sostentamento di valori fratturati.
Questa mostra impegna l’ostinazione socio-spirituale che riconosce l’ovvio ma è consapevole di ciascuno di noi come custodi di un’agenzia poco riconosciuta. Le opere costituiscono un invito alla capacità collettiva di sviluppare strategie di resistenza ma anche una critica in relazione alla miopia dell’individualismo egoico. Il progetto nasce sulla scia di una serie di mostre personali che si sono svolte presso il Museo MA*GA nell’ambito del progetto di ricerca The Recovery Plan che è stato messo in pausa dalla seconda fase di serrate nell’autunno 2020 ed è accompagnato da cinque volumi monografici on line ciascuno dedicato a uno degli artisti coinvolti.
In collaborazione con MAD Murate Art District
fino al 28/02 MAD Murate Art District, celle, piano 1
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Antropologo
Simao Amista è un antropologo di origine italo-afro-brasiliana. Studioso di religioni e filosofie spirituali africane e afrodiscendenti, lavora da anni nel campo dell’ospitalità e dell’educazione.
Simao Amista è un antropologo di origine italo-afro-brasiliana. Studioso di religioni e filosofie spirituali africane e afrodiscendenti, lavora da anni nel campo dell’ospitalità e dell’educazione.
Giornalista di moda e cultura e direttore creativo
Patrick Joël Tatcheda Yonkeu è nato in Camerun nel 1985, vive e lavora a Bologna. Si trasferisce in Italia nel 2009 dove ottiene una borsa di studio per l’Accademia di Belle Arti di Bologna e ottiene un Master in Arti Visive nel 2016 con un progetto di ricerca sul tema dello Zen nelle arti. Il suo interesse per la metafisica rimane la base della sua pratica, che riguarda il rapporto tra gli esseri umani e la natura e il nostro posto nell’universo, e cerca forme di spiritualità più adatte ai nostri tempi. La sua ricerca si basa sull’idea dell’esistenza come un flusso armonico il cui equilibrio deve essere preservato e fa spesso riferimento ai temi della vita e della morte, del visibile e dell’invisibile e dell’energia nelle sue infinite forme. Approfondisce questa ricerca attraverso numerose collaborazioni tra Africa e Italia e creando seminari di pittura interculturale con scuole e associazioni dell’Emilia-Romagna.
Nato e cresciuto a Kingst
Patrick Joël Tatcheda Yonkeu è nato in Camerun nel 1985, vive e lavora a Bologna. Si trasferisce in Italia nel 2009 dove ottiene una borsa di studio per l’Accademia di Belle Arti di Bologna e ottiene un Master in Arti Visive nel 2016 con un progetto di ricerca sul tema dello Zen nelle arti. Il suo interesse per la metafisica rimane la base della sua pratica, che riguarda il rapporto tra gli esseri umani e la natura e il nostro posto nell’universo, e cerca forme di spiritualità più adatte ai nostri tempi. La sua ricerca si basa sull’idea dell’esistenza come un flusso armonico il cui equilibrio deve essere preservato e fa spesso riferimento ai temi della vita e della morte, del visibile e dell’invisibile e dell’energia nelle sue infinite forme. Approfondisce questa ricerca attraverso numerose collaborazioni tra Africa e Italia e creando seminari di pittura interculturale con scuole e associazioni dell’Emilia-Romagna.
Nato e cresciuto a Kingston Jamaica, Jordan Anderson è un giornalista di moda e cultura e direttore creativo che attualmente vive a Milano. Il suo lavoro spesso esplora anche temi politici dentro e fuori l’industria della moda, inclusi razza, genere, sessualità, identità ed etica culturale. Collabora a diverse pubblicazioni tra cui Document Journal, Teen Vogue, Vogue Italia, The Face e attualmente è online editor e editor-at-large rispettivamente per Twin Magazine e nss magazine.
Formatrice ed esperta di caffè
Jessica Sartiani è una formatrice ed esperta di caffè fiorentina. Con un padre italiano e una madre metà filippina e metà afroamericana, è dalle sue origini che inizia il suo viaggio come donna del caffè. Come persona formata, operativa e attenta alle recenti sottoculture del caffè, ha iniziato il suo lavoro in una delle caffetterie pioniere di questo prodotto selezionato, Ditta Artigianale, dieci anni fa, studiando e scoprendo tutto il lavoro che precede il servizio in caffetteria, dando importanza ai paesi produttori. La sua esperienza si è evoluta con l’apertura del primo Speciality coffee in Italia, occupandosi della formazione dei baristi e dei clienti. Ha partecipato a vari concorsi come il Brewers cup, per migliorare il contatto con il pubblico e arricchire il suo background, e ha fatto parte di progetti di formazione in Honduras, Lituania e diverse start-up di caffè locali.
Jessica Sartiani è una formatrice ed esperta di caffè fiorentina. Con un padre italiano e una madre metà filippina e metà afroamericana, è dalle sue origini che inizia il suo viaggio come donna del caffè. Come persona formata, operativa e attenta alle recenti sottoculture del caffè, ha iniziato il suo lavoro in una delle caffetterie pioniere di questo prodotto selezionato, Ditta Artigianale, dieci anni fa, studiando e scoprendo tutto il lavoro che precede il servizio in caffetteria, dando importanza ai paesi produttori. La sua esperienza si è evoluta con l’apertura del primo Speciality coffee in Italia, occupandosi della formazione dei baristi e dei clienti. Ha partecipato a vari concorsi come il Brewers cup, per migliorare il contatto con il pubblico e arricchire il suo background, e ha fatto parte di progetti di formazione in Honduras, Lituania e diverse start-up di caffè locali.
Artist
Dopo una mostra nel 2016 alla 1-54 Contemporary African Art Fair di Londra, Peskine ha tenuto la sua prima mostra personale alla October Gallery nel 2017 e a ha partecipato a fiere d’arte internazionali con la Gallery negli anni successivi.
Parallelamente, nel 2016, l’Institut Francais di Dakar, Senegal ha ospitato Raft of Medusa: Le retour de la vague, una mostra personale delle opere di Peskine.
Nel 2018, i suoi lavori sono stati presentati nella mostra In Their Own Form al Museum of Contemporary Photography, Chicago e nella mostra Second Generation dell’Africa House a New York. Ha ricevuto numerosi premi prestigiosi, tra cui una borsa di studio Fulbright e il premio Hennessy Black Masters Art Competition.
Negli ultimi dieci anni, Peskine ha lavorato con i giovani dei centri urbani in Francia, Senegal e Brasile per creare una serie di pezzi monumentali, il più grande dei quali è stato prodotto in Francia nel 2012. Musei e collezionisti importanti tra cui Peggy Coo
Dopo una mostra nel 2016 alla 1-54 Contemporary African Art Fair di Londra, Peskine ha tenuto la sua prima mostra personale alla October Gallery nel 2017 e a ha partecipato a fiere d’arte internazionali con la Gallery negli anni successivi.
Parallelamente, nel 2016, l’Institut Francais di Dakar, Senegal ha ospitato Raft of Medusa: Le retour de la vague, una mostra personale delle opere di Peskine.
Nel 2018, i suoi lavori sono stati presentati nella mostra In Their Own Form al Museum of Contemporary Photography, Chicago e nella mostra Second Generation dell’Africa House a New York. Ha ricevuto numerosi premi prestigiosi, tra cui una borsa di studio Fulbright e il premio Hennessy Black Masters Art Competition.
Negli ultimi dieci anni, Peskine ha lavorato con i giovani dei centri urbani in Francia, Senegal e Brasile per creare una serie di pezzi monumentali, il più grande dei quali è stato prodotto in Francia nel 2012. Musei e collezionisti importanti tra cui Peggy Cooper Cafritz; Laurence Graff OBE; il New Britain Museum of American Art, New Britain, USA; The Harvard Art Fogg Museum, Cambridge, USA; Collezione Pizzuti del Columbus Museum of Art, Columbus, USA; e il Museum of Contemporary Photography (MoCP), Chicago, USA, hanno acquisito le opere di Peskine.
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A cura di BHMF in collaborazione con BHMBo, MAD, Numeroventi, Villa Romana e October Gallery
In preparazione alla 6a edizione del Black History Month Florence, la residenza e la mostra di Alexis Peskine sono organizzate da BHMF in collaborazione con Murate Art District, Numeroventi, Villa Romana, October Gallery e Black History Month Bologna.
Il progetto supporta l’artista nello sviluppo di una nuova serie di opere in dialogo con la storia afroitaliana. Peskine utilizzerà uno studio presso Murate Art District dal 4 gennaio al 4 febbraio 2020. Le opere risultanti saranno esposte in una mostra a Villa Romana nell’ambito della 6a edizione del Black History Month Florence.
Le opere più emblematiche di Alexis Peskine sono ritratti monumentali a tecnica mista, della diaspora africana, resi attraverso il martellamento di chiodi di diversa misura, con precisione millimetrica, su legno macchiato di caffè e fango. Applicando la foglia d’oro ai chiodi, l’artista crea immagini composite. Ritrae figure di forza e perseveranza, la cui energia ricorda le “figure
In preparazione alla 6a edizione del Black History Month Florence, la residenza e la mostra di Alexis Peskine sono organizzate da BHMF in collaborazione con Murate Art District, Numeroventi, Villa Romana, October Gallery e Black History Month Bologna.
Il progetto supporta l’artista nello sviluppo di una nuova serie di opere in dialogo con la storia afroitaliana. Peskine utilizzerà uno studio presso Murate Art District dal 4 gennaio al 4 febbraio 2020. Le opere risultanti saranno esposte in una mostra a Villa Romana nell’ambito della 6a edizione del Black History Month Florence.
Le opere più emblematiche di Alexis Peskine sono ritratti monumentali a tecnica mista, della diaspora africana, resi attraverso il martellamento di chiodi di diversa misura, con precisione millimetrica, su legno macchiato di caffè e fango. Applicando la foglia d’oro ai chiodi, l’artista crea immagini composite. Ritrae figure di forza e perseveranza, la cui energia ricorda le “figure di potere” di Minkisi del bacino del Congo, con la loro carica spirituale.
Anche le sue opere video e fotografiche sono sorprendenti.
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Fotografa
Adji Dieye è una fotografa italo-senegalese nata a Milano nel 1991. Laureata in Nuove Tecnologie per l’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera. Negli ultimi anni ha viaggiato tra Milano e Dakar, concentrando la sua ricerca sull’influenza della pubblicità nella cultura visiva africana. Il suo lavoro esplora diversi aspetti delle società dell’Africa occidentale: l’influenza della pubblicità nella costruzione di un’identità nazionale e la spiritualità sincretica che rimane centrale per le comunità africane.
La pratica artistica di Adji Dieye spinge i confini della fotografia nel tentativo di indagare gli archetipi che costituiscono la cultura visiva africana. Nella sua ricerca il continente africano non è mai considerato fine a se stesso; rappresenta invece un ponte verso ulteriori indagini su realtà sociali e geopolitiche più ampie.
Adji Dieye è una fotografa italo-senegalese nata a Milano nel 1991. Laureata in Nuove Tecnologie per l’Arte all’Accademia di Belle Arti di Brera. Negli ultimi anni ha viaggiato tra Milano e Dakar, concentrando la sua ricerca sull’influenza della pubblicità nella cultura visiva africana. Il suo lavoro esplora diversi aspetti delle società dell’Africa occidentale: l’influenza della pubblicità nella costruzione di un’identità nazionale e la spiritualità sincretica che rimane centrale per le comunità africane.
La pratica artistica di Adji Dieye spinge i confini della fotografia nel tentativo di indagare gli archetipi che costituiscono la cultura visiva africana. Nella sua ricerca il continente africano non è mai considerato fine a se stesso; rappresenta invece un ponte verso ulteriori indagini su realtà sociali e geopolitiche più ampie.
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Artista visivo e installativo, scultore
Nato nel 1975 ad Akka, in Marocco, vive e lavora a Tahanaout, vicino a Marrakech, dove insegna arte. Usando la pittura, la scultura, il disegno o anche il video, M’barek Bouhchichi ha sviluppato il suo lavoro attraverso un linguaggio provvisorio fondato sull’esplorazione dei limiti tra il nostro discorso interno e la sua estensione verso il mondo esterno, il reale, l’altro. Pone le sue opere al crocevia tra l’estetica e il sociale, esplorando i campi associati come possibilità di auto-definizione.
Recentemente, il suo lavoro è stato esposto con la mostra personale Les mains noires (Kulte, Rabat, Marocco, 2016), come mostra collettiva Documents bilingues (MUCEM, Marsiglia, Francia, 2017), Le Maroc contemporain (Institut du Monde Arabe , Parigi, Francia, 2014), Between walls (Le 18, Marrakech, Morocco, 2017).
Nato nel 1975 ad Akka, in Marocco, vive e lavora a Tahanaout, vicino a Marrakech, dove insegna arte. Usando la pittura, la scultura, il disegno o anche il video, M’barek Bouhchichi ha sviluppato il suo lavoro attraverso un linguaggio provvisorio fondato sull’esplorazione dei limiti tra il nostro discorso interno e la sua estensione verso il mondo esterno, il reale, l’altro. Pone le sue opere al crocevia tra l’estetica e il sociale, esplorando i campi associati come possibilità di auto-definizione.
Recentemente, il suo lavoro è stato esposto con la mostra personale Les mains noires (Kulte, Rabat, Marocco, 2016), come mostra collettiva Documents bilingues (MUCEM, Marsiglia, Francia, 2017), Le Maroc contemporain (Institut du Monde Arabe , Parigi, Francia, 2014), Between walls (Le 18, Marrakech, Morocco, 2017).
Black History Month Florence 2020
Questo progetto espositivo ha esaminato l’adempimento degli obblighi sociali nei confronti del lavoro sporco, le carenze di confronto culturale, l’annientamento della storia e le politiche di rispettabilità.
Gli artisti in mostra hanno attinto ciascuno da esperienze di permanenza in Italia che li spinge a coinvolgere le città di Roma, Umbertide, Milano e Firenze come siti di produzione culturale con la necessità di impegnare la storia senza esserne vittime.
L’attivista Pape Diaw, in un’intervista del 2013, ha parlato di “… sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito”. Questa contraddizione in termini è posta in un contesto sociale in cui il lavoro sporco sussiste per mantenere uno status governato da politiche di rispettabilità e di controllo sociale. Un’insistenza sulle narrazioni personali come una sostituzione delle appiattite proiezioni di Blackness, la costruzione di ponti tra un passato coloniale e una realtà neocoloniale contemporanea e l’inconsistenza de
Questo progetto espositivo ha esaminato l’adempimento degli obblighi sociali nei confronti del lavoro sporco, le carenze di confronto culturale, l’annientamento della storia e le politiche di rispettabilità.
Gli artisti in mostra hanno attinto ciascuno da esperienze di permanenza in Italia che li spinge a coinvolgere le città di Roma, Umbertide, Milano e Firenze come siti di produzione culturale con la necessità di impegnare la storia senza esserne vittime.
L’attivista Pape Diaw, in un’intervista del 2013, ha parlato di “… sporcarsi le mani per fare un lavoro pulito”. Questa contraddizione in termini è posta in un contesto sociale in cui il lavoro sporco sussiste per mantenere uno status governato da politiche di rispettabilità e di controllo sociale. Un’insistenza sulle narrazioni personali come una sostituzione delle appiattite proiezioni di Blackness, la costruzione di ponti tra un passato coloniale e una realtà neocoloniale contemporanea e l’inconsistenza della monumentalità permeano tutte queste opere con una meditazione sul passato come indicatore di ciò che è in arrivo.
La mostra, a cura di Black History Month Florence, nell’ambito della V edizione del BHMF, in collaborazione con Villa Romana (Florence), Civitella Ranieri Foundation (Umbertide) e Galleria Continua (San Gimignano), presenta il lavoro di 6 artisti internazionali che hanno utilizzato il contesto italiano come luogo di produzione artistica. Una serie di opere trasversali spinge a una rielaborazione di nozioni stereotipate del made in Italy che tendono a escludere gli afro-discendenti, svelando attitudini coloniali e invitando e rompere preconcetti.
Protagoniste le ricerche degli artisti M’Barek Bouhchichi (Morocco), Adji Dieye (Italy/Senegal), Sasha Huber (Switzerland/Finland), Delio Jasse (Angola/Italy), Amelia Umuhire (Rwanda/Germany), Nari Ward (Jamaica/USA).
Insieme hanno formato una melodia armonica che è discordante con la narrativa prescritta, centralizzata e consumata ma trova allineamento per trasmettere il suo potere e la capacità di arricchire la melodia secolare.
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Fotografa, video artista, performer
Sasha Huber è un’artista visiva svizzero-haitiana, nata a Zurigo, Svizzera nel 1975. Vive e lavora a Helsinki, in Finlandia. Il lavoro di Huber si occupa principalmente della politica della memoria e dell’appartenenza, in particolare in relazione ai residui coloniali abbandonati nell’ambiente. Sensibile ai fili sottili che collegano il passato e il presente, utilizza il materiale d’archivio all’interno di una pratica creativa stratificata che comprende interventi basati sulla performance, video, fotografia e collaborazioni. Huber rivendica anche l’uso della pistola ad aria compressa, consapevole del suo significato simbolico come arma, ma che offre al contempo il potenziale per rinegoziare dinamiche dove il potere non è bilanciato. È nota per il suo contributo di ricerca artistica alla campagna Demounting Louis Agassiz, che mira a smantellare l’eredità razzista meno conosciuta ma controversa del glaciologo. Questo progetto a lungo termine (dal
Sasha Huber è un’artista visiva svizzero-haitiana, nata a Zurigo, Svizzera nel 1975. Vive e lavora a Helsinki, in Finlandia. Il lavoro di Huber si occupa principalmente della politica della memoria e dell’appartenenza, in particolare in relazione ai residui coloniali abbandonati nell’ambiente. Sensibile ai fili sottili che collegano il passato e il presente, utilizza il materiale d’archivio all’interno di una pratica creativa stratificata che comprende interventi basati sulla performance, video, fotografia e collaborazioni. Huber rivendica anche l’uso della pistola ad aria compressa, consapevole del suo significato simbolico come arma, ma che offre al contempo il potenziale per rinegoziare dinamiche dove il potere non è bilanciato. È nota per il suo contributo di ricerca artistica alla campagna Demounting Louis Agassiz, che mira a smantellare l’eredità razzista meno conosciuta ma controversa del glaciologo. Questo progetto a lungo termine (dal 2008) si è occupato di portare alla luce e riparare la storia poco conosciuta e le eredità culturali del naturalista e glaciologo svizzero Louis Agassiz (1807-1873), un influente sostenitore del razzismo “scientifico” che sosteneva la segregazione e l’ “igiene razziale”. Huber ha tenuto mostre personali alla Fondazione Hasselblad (Project Room) a Göteborg e ha partecipato a numerose mostre internazionali, tra cui la 56a Biennale di Venezia nel 2015 (mostra collaterale: Frontier Reimagined), la 19a Biennale di Sydney nel 2014 e alla 29a Biennale di San Paolo nel 2010.
Fotografo
Delio Jasse è nato nel 1980 a Luanda, in Angola, vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro fotografico spesso intreccia immagini trovate con particolari di vite passate (foto tessere trovate, album di famiglia) per tracciare collegamenti tra la fotografia – in particolare il concetto di “immagine latente” – e la memoria.
Jasse è anche noto per aver sperimentato processi di stampa fotografica analogica, tra cui cianotipia, platino e primi processi di stampa come il “Van Dyke Brown”, oltre a sviluppare proprie tecniche di stampa personali.
Le sue mostre recenti includono: MAXXI, Roma (2018); Villa Romana, Firenze (2018); Biennale dell’immagine, Lugano (solo, 2017); Collezione Walther, Neu-Ulm (2017); SAVVY Contemporary, Berlino (2017); Bamako Encounters, Bamako (2017); Biennale di Lagos, Lagos (2017); Tiwani Contemporary, Londra (solo, 2016); Walther Collection Project Space, NY (2016); Mostra internazionale Dak’art Biennale (2016); e il Padigli
Delio Jasse è nato nel 1980 a Luanda, in Angola, vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro fotografico spesso intreccia immagini trovate con particolari di vite passate (foto tessere trovate, album di famiglia) per tracciare collegamenti tra la fotografia – in particolare il concetto di “immagine latente” – e la memoria.
Jasse è anche noto per aver sperimentato processi di stampa fotografica analogica, tra cui cianotipia, platino e primi processi di stampa come il “Van Dyke Brown”, oltre a sviluppare proprie tecniche di stampa personali.
Le sue mostre recenti includono: MAXXI, Roma (2018); Villa Romana, Firenze (2018); Biennale dell’immagine, Lugano (solo, 2017); Collezione Walther, Neu-Ulm (2017); SAVVY Contemporary, Berlino (2017); Bamako Encounters, Bamako (2017); Biennale di Lagos, Lagos (2017); Tiwani Contemporary, Londra (solo, 2016); Walther Collection Project Space, NY (2016); Mostra internazionale Dak’art Biennale (2016); e il Padiglione dell’Angola, 56a Biennale di Venezia (2015). È stato uno dei tre finalisti del BES Photo Prize (2014) e ha vinto l’Iwalewa Art Award nel 2015.
Video artista, regista
Amelia Umuhire, nata nel 1991 a Kigali in Ruanda, vive come artista e regista a Berlino. Nel 2015 ha scritto e girato la sua prima serie web, Polyglot, in cui segue con la sua macchina fotografica giovani artisti ruandesi “sradicati” a Londra e Berlino. La serie è stata proiettata in numerosi festival, tra cui il Festival D’Angers, il Tribeca Film Festival e il Geneva International Film Festival, dove è stata nominata Best International Web Series nel 2015. Il suo cortometraggio Mugabo è un cortometraggio sperimentale ambientato a Kigali: esplora la questione di come tornare in patria e come affrontare il passato. Nel 2017 è stato premiato come miglior film sperimentale al Blackstar Film Festival ed è attualmente in tournée in festival in Nord America e, tra gli altri, proiettato al MOCA di Los Angeles, all’MCA Chicago, all’Ann Arbor Film Festival e allo Smithsonian African American Film Festival. Nel 2018 Amelia Umuhire ha prodotto il lungometraggio radiofo
Amelia Umuhire, nata nel 1991 a Kigali in Ruanda, vive come artista e regista a Berlino. Nel 2015 ha scritto e girato la sua prima serie web, Polyglot, in cui segue con la sua macchina fotografica giovani artisti ruandesi “sradicati” a Londra e Berlino. La serie è stata proiettata in numerosi festival, tra cui il Festival D’Angers, il Tribeca Film Festival e il Geneva International Film Festival, dove è stata nominata Best International Web Series nel 2015. Il suo cortometraggio Mugabo è un cortometraggio sperimentale ambientato a Kigali: esplora la questione di come tornare in patria e come affrontare il passato. Nel 2017 è stato premiato come miglior film sperimentale al Blackstar Film Festival ed è attualmente in tournée in festival in Nord America e, tra gli altri, proiettato al MOCA di Los Angeles, all’MCA Chicago, all’Ann Arbor Film Festival e allo Smithsonian African American Film Festival. Nel 2018 Amelia Umuhire ha prodotto il lungometraggio radiofonico Vaterland per la stazione radio tedesca Deutschlandfunk Kultur. Racconta la storia di suo padre Innocent Seminega da giovane studente, insegnante, marito e padre fino alla sua morte per mano degli estremisti hutu. Nel febbraio di quest’anno Umuhire ha tenuto la sua prima mostra personale a Decad Berlin.
Fotografo, video artista, scultore
Nari Ward (nato nel 1963 a St. Andrew, Giamaica; vive e lavora a New York) è noto per le sue installazioni scultoree composte da materiale di scarto trovato e raccolto nel suo quartiere. Ha riutilizzato oggetti come passeggini, carrelli della spesa, bottiglie, porte, televisori, registratori di cassa e lacci delle scarpe.
Ward ricontestualizza questi oggetti trovati in giustapposizioni stimolanti che creano significati metaforici complessi per affrontare questioni sociali e politiche che circondano la razza, la povertà e la cultura del consumo. Lascia intenzionalmente aperto il significato del suo lavoro, consentendo allo spettatore di fornire la propria interpretazione.
Mostre personali del suo lavoro sono state organizzate presso l’Institute of Contemporary Art, Boston (2017); SocratesSculpture Park, New York (2017); The Barnes Foundation, Philadelphia (2016); Pérez Art Museum Miami (2015); Savannah College of Art e Design Museum of Art, Savannah, GA (2015); Museo d’ar
Nari Ward (nato nel 1963 a St. Andrew, Giamaica; vive e lavora a New York) è noto per le sue installazioni scultoree composte da materiale di scarto trovato e raccolto nel suo quartiere. Ha riutilizzato oggetti come passeggini, carrelli della spesa, bottiglie, porte, televisori, registratori di cassa e lacci delle scarpe.
Ward ricontestualizza questi oggetti trovati in giustapposizioni stimolanti che creano significati metaforici complessi per affrontare questioni sociali e politiche che circondano la razza, la povertà e la cultura del consumo. Lascia intenzionalmente aperto il significato del suo lavoro, consentendo allo spettatore di fornire la propria interpretazione.
Mostre personali del suo lavoro sono state organizzate presso l’Institute of Contemporary Art, Boston (2017); SocratesSculpture Park, New York (2017); The Barnes Foundation, Philadelphia (2016); Pérez Art Museum Miami (2015); Savannah College of Art e Design Museum of Art, Savannah, GA (2015); Museo d’arte della Louisiana State University, Baton Rouge, LA (2014); The Fabric Workshop and Museum, Philadelphia (2011); Massachusetts Museum of Contemporary Art, North Adams, MA (2011); Isabella Stewart Gardner Museum, Boston (2002); e Walker Art Center, Minneapolis, MN (2001, 2000).
Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra 2020
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Justin Randolph Thompson, co-fondatore e direttore Black History Month Florence
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Justin Randolph Thompson, co-founder and director Black History Month Florence
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Janine Gaëlle Dieudji su M'Barek Bouhchichi
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Janine Gaelle Dieudji su Adji Dieye
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Janine Gaelle Dieudji su Delio Jasse
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Black History Month Florence 2020
Un progetto di Villa Romana in collaborazione con Black History Month Florence
Black Archive Alliance ha portato a Firenze uno sguardo insolito: quello di nove studenti alla ricerca di segni di una presenza africana in città. Il progetto, nato dalla collaborazione fra Villa Romana e Black History Month Florence, giunto alla seconda edizione, ha spaziato, per campi molto diversi, dall’era moderna alla contemporaneità. Le storie che questo esercizio archeologico ha permesso di raccontare sono altrettanti brani di una Firenze poco nota, se non del tutto sconosciuta, che incrocia l’Africa – e Africani del continente e della diaspora – e con essa tesse, di volta in volta, rapporti culturali, politici, economici, a cominciare dal XV secolo fino all’oggi.
Il lavoro ha spaziato da luoghi della ricerca per eccellenza, come la Biblioteca Laurenziana e l’Archivio del Risorgimento, a centri di studio noti soprattutto agli specialisti, come l’Istituto Agronomico dell’Oltremare (og
Un progetto di Villa Romana in collaborazione con Black History Month Florence
Black Archive Alliance ha portato a Firenze uno sguardo insolito: quello di nove studenti alla ricerca di segni di una presenza africana in città. Il progetto, nato dalla collaborazione fra Villa Romana e Black History Month Florence, giunto alla seconda edizione, ha spaziato, per campi molto diversi, dall’era moderna alla contemporaneità. Le storie che questo esercizio archeologico ha permesso di raccontare sono altrettanti brani di una Firenze poco nota, se non del tutto sconosciuta, che incrocia l’Africa – e Africani del continente e della diaspora – e con essa tesse, di volta in volta, rapporti culturali, politici, economici, a cominciare dal XV secolo fino all’oggi.
Il lavoro ha spaziato da luoghi della ricerca per eccellenza, come la Biblioteca Laurenziana e l’Archivio del Risorgimento, a centri di studio noti soprattutto agli specialisti, come l’Istituto Agronomico dell’Oltremare (oggi una delle sedi dell’Agenzia italiana per la cooperazione internazionale) e l’Istituto Geografico Militare, a carte private e alle collezioni di Palazzo Pitti, con il Tesoro dei Granduchi. La seconda edizione del progetto è stata realizzata con un format di tutoraggio con docenti e studiosi in tandem con gli studenti che guidano la loro ricerca. Il progetto ha collaborato con studiosi dell’Università degli Studi di Firenze, Studio Arts College International, NYU Florence, Villa I Tatti, Syracuse University Florence, Santa Reparata International School of Art e ISI Florence.
A cura di Justin Randolph Thompson, BHMF e Agnes Stillger, Villa Romana
Musicista
Dudù Kouate – percussionista, musicista e mediatore culturale – nasce in Senegal da famiglia di Griot, cantori incaricati di portare avanti le storie del loro popolo, conservatori della tradizione culturale e musicale africana. Musicista polistrumentista, interpreta la tradizione in chiave moderna e multiculturale. Vive a Bergamo dove insegna percussioni africane; tiene seminari sulla storia degli strumenti tradizionali africani cercando di tracciare i confini territoriali delle popolazioni; incontra le scuole con interventi di divulgazione della tradizione culturale africana attraverso racconti di fiabe musicate ed esperienze musicali trasversali. Musicista versatile ed eclettico, conduce una ricerca costante sul suono (sound of elements) per esperienze sempre nuove nel mondo della musica.
Dudù Kouate – percussionista, musicista e mediatore culturale – nasce in Senegal da famiglia di Griot, cantori incaricati di portare avanti le storie del loro popolo, conservatori della tradizione culturale e musicale africana. Musicista polistrumentista, interpreta la tradizione in chiave moderna e multiculturale. Vive a Bergamo dove insegna percussioni africane; tiene seminari sulla storia degli strumenti tradizionali africani cercando di tracciare i confini territoriali delle popolazioni; incontra le scuole con interventi di divulgazione della tradizione culturale africana attraverso racconti di fiabe musicate ed esperienze musicali trasversali. Musicista versatile ed eclettico, conduce una ricerca costante sul suono (sound of elements) per esperienze sempre nuove nel mondo della musica.
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Black History Month Florence 2019
Murate Artlab
Liuteria selvaggia. La scoperta degli oggetti abbandonati
Uno strumento musicale è un oggetto che produce suoni, tesi a esprimere sensazioni, pensieri, sentimenti; e proprio per questo l’essere umano non ha mai smesso di percuotere, strofinare, pizzicare e soffiare in oggetti trovati o inventati. Con le finalità di proporre la musica come un terreno in cui tutte le culture si fondono, di stimolare la creatività e l’intuizione, ma anche di sensibilizzare al recupero e degli oggetti abbandonati in un’ottica di sostenibilità per l’ambiente e per il futuro, il nuovo appuntamento firmato da Dudù Kouate ha proposto ai ragazzi di dare vita a strumenti musicali nuovi, generati da materiali non concepiti per tale scopo, e di suonarli insieme andando a costruire un’inedita sinfonia collettiva.
Il laboratorio, proposto da MUS.E e MAD Murate Art District sabato 2 marzo 2019 nell’ambito del Black History Month Firenze 2019, ha offerto così l’occasione di esplorare come co
Liuteria selvaggia. La scoperta degli oggetti abbandonati
Uno strumento musicale è un oggetto che produce suoni, tesi a esprimere sensazioni, pensieri, sentimenti; e proprio per questo l’essere umano non ha mai smesso di percuotere, strofinare, pizzicare e soffiare in oggetti trovati o inventati. Con le finalità di proporre la musica come un terreno in cui tutte le culture si fondono, di stimolare la creatività e l’intuizione, ma anche di sensibilizzare al recupero e degli oggetti abbandonati in un’ottica di sostenibilità per l’ambiente e per il futuro, il nuovo appuntamento firmato da Dudù Kouate ha proposto ai ragazzi di dare vita a strumenti musicali nuovi, generati da materiali non concepiti per tale scopo, e di suonarli insieme andando a costruire un’inedita sinfonia collettiva.
Il laboratorio, proposto da MUS.E e MAD Murate Art District sabato 2 marzo 2019 nell’ambito del Black History Month Firenze 2019, ha offerto così l’occasione di esplorare come convenzioni e canoni possano essere superati offrendo una seconda vita a oggetti di scarto, avvicinandosi nello stesso tempo a tecniche, approcci e formati di una musica creativa che guarda al jazz, all’improvvisazione e alla percussione. Dopo aver individuato gli opportuni materiali, quindi, questi sono stati trasformati per diventare veri e propri strumenti musicali, indagandone le sonorità possibili e definendo quelle più adeguate. Gli strumenti hanno permesso poi di lavorare su una composizione musicale collettiva, costruendo insieme ai partecipanti un’esperienza di creatività polidisciplinare e multiculturale.
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Artista installativo
Karyn Olivier è nota per installazioni su larga scala che provocano un’interruzione degli spazi pubblici e privati. Le forme familiari, alterate nella funzione e nella sostanza, creano inquietanti meditazioni sul ristagno, divisione e peso della materialità. Le sue installazioni esplorano la poetica dello spazio e il ruolo degli spettatori nel plasmare la propria esperienza e il proprio coinvolgimento.
Karyn Olivier è nota per installazioni su larga scala che provocano un’interruzione degli spazi pubblici e privati. Le forme familiari, alterate nella funzione e nella sostanza, creano inquietanti meditazioni sul ristagno, divisione e peso della materialità. Le sue installazioni esplorano la poetica dello spazio e il ruolo degli spettatori nel plasmare la propria esperienza e il proprio coinvolgimento.
Because time in this place does not obey an order - Black History Month Florence 2019
Because Time In This Place Does Not Obey An Order | Karyn Olivier
A cura di Black History Month Florence
Con la partnership di MAD Murate Art District
In collaborazione con:
Boomker Sound Studios
Syracuse University Florence
SRISA
Vivaio Il Giardiniere
Antonella Bundu
Chris Norcross
Pretesto:
E non si respire più
E non ci si vede più
Ma nella fuga, compagno
Nella paura, compagno
Come nella lotta, compagno
Resterò sempre a fianco a te.
Collettivo Victor Jara, Le Murate
Queste erano le parole scritte e cantate dal collettivo musicale Victor Jara giorni dopo la rivolta del 1974 alle prigioni de Le Murate. La protesta contro le condizioni di vita non idonee e le forze oppressive sono frequenti nei siti che separano, volontariamente o con la forza, i gruppi sociali dal mondo che li circonda.
La natura socio-spirituale di ciò che è giusto e il valore umano sono alla radice della contemplazione nell’ isolamento. Questi sentimenti scaturiti dall’incontro dell’artista con Le Murate.
Because Time In This Place Does Not Obey An Order | Karyn Olivier
A cura di Black History Month Florence
Con la partnership di MAD Murate Art District
In collaborazione con:
Boomker Sound Studios
Syracuse University Florence
SRISA
Vivaio Il Giardiniere
Antonella Bundu
Chris Norcross
Pretesto:
E non si respire più
E non ci si vede più
Ma nella fuga, compagno
Nella paura, compagno
Come nella lotta, compagno
Resterò sempre a fianco a te.
Collettivo Victor Jara, Le Murate
Queste erano le parole scritte e cantate dal collettivo musicale Victor Jara giorni dopo la rivolta del 1974 alle prigioni de Le Murate. La protesta contro le condizioni di vita non idonee e le forze oppressive sono frequenti nei siti che separano, volontariamente o con la forza, i gruppi sociali dal mondo che li circonda.
La natura socio-spirituale di ciò che è giusto e il valore umano sono alla radice della contemplazione nell’ isolamento. Questi sentimenti scaturiti dall’incontro dell’artista con Le Murate. Progetti Arte Contemporanea, hanno guidato il progetto.
Per la quarta edizione del Black History Month Firenze Karyn Olivier, l’attuale Borsista del Rome Prize all’American Academy in Rome, ha presentato Because Time In This Place Does Not Obey An Order, una serie di installazioni site specific che si cimentano con il rapporto tra giustizia e spiritualità.
Le opere hanno coinvolto la storia del complesso de Le Murate e la sua trasformazione da sito di reclusione spirituale a spazio carcerario, in lotta tra la continuità e il contrasto tra le storie che evoca. La salute mentale, la critica sociale, l’isolamento, la chiusura della storia e la confusione dei sensi mettono i giardini di clausura in dialogo con le parole ferme di Martin Luther King Jr. scritte da una cella di prigionia rivelando tracce di una vita a porte chiuse che reclama diritti universali.
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Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra 2019
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Fumettista
Lucio Ruvidotti, è un giovane autore attivo nel mondo delle autoproduzioni e nella pagina del settimanale Pagina99, il suo recente libro ritrae “Il principe delle tenebre” in un romanzo biografico ricco di ritmi, colori e sperimentazione che dona a un’icona , evoluzione naturale della collana BD Rock.
Lucio Ruvidotti, è un giovane autore attivo nel mondo delle autoproduzioni e nella pagina del settimanale Pagina99, il suo recente libro ritrae “Il principe delle tenebre” in un romanzo biografico ricco di ritmi, colori e sperimentazione che dona a un’icona , evoluzione naturale della collana BD Rock.
Miles. Assolo a fumetti - Black History Month Florence 2019
MILES Assolo a Fumetti di Lucio Ruvidotti A cura di Black History Month Florence
Miles Davis è una delle figure più iconiche della storia del jazz. La sua biografia è un esempio di complessa evoluzione e persistenza artistica. Per molti versi, il jazz è spesso lontano dall’apprezzamento delle giovani generazioni e la magia della sua espansione del suono e dell’impatto culturale viene quindi poco compresa. Questa mostra assume la forma del fumetto per raccontare la vita al tempo di Davis e gli impulsi dietro alcune delle sue composizioni che sono diventate icone del jazz. Lucio Ruvidotti ha trasformato l’amore per il jazz in una striscia che invita lo spettatore a uno sguardo intimo verso l’artista e celebrando l’impatto che ha avuto sul mondo della musica; come Ruvidotti stesso spiega:
“Ho cercato di raccontare la storia di questa figura, il principe delle tenebre, il grande artista, approfittando di alcuni episodi della sua esuberante vita esagerata
MILES Assolo a Fumetti di Lucio Ruvidotti A cura di Black History Month Florence
Miles Davis è una delle figure più iconiche della storia del jazz. La sua biografia è un esempio di complessa evoluzione e persistenza artistica. Per molti versi, il jazz è spesso lontano dall’apprezzamento delle giovani generazioni e la magia della sua espansione del suono e dell’impatto culturale viene quindi poco compresa. Questa mostra assume la forma del fumetto per raccontare la vita al tempo di Davis e gli impulsi dietro alcune delle sue composizioni che sono diventate icone del jazz. Lucio Ruvidotti ha trasformato l’amore per il jazz in una striscia che invita lo spettatore a uno sguardo intimo verso l’artista e celebrando l’impatto che ha avuto sul mondo della musica; come Ruvidotti stesso spiega:
“Ho cercato di raccontare la storia di questa figura, il principe delle tenebre, il grande artista, approfittando di alcuni episodi della sua esuberante vita esagerata. Ma soprattutto l’obiettivo era mostrare, attraverso il linguaggio dei fumetti, la musica, incredibilmente evoluta, da lui composta, dagli anni Quaranta agli anni Novanta”
La striscia a fumetti pubblicata nel 2018 da Edizioni BD racconta la storia attraverso otto capitoli intitolati con i nomi di alcune delle sue composizioni più importanti. Ogni parte del libro si distingue anche per un diverso uso del colore e della composizione della tavola. La mostra affianca ai disegni originali realizzati dall’artista una serie di stampe del fumetto, accompagnata dalla musica di Miles Davis che pervade la sala Emeroteca delle Murate.
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Mira a fornire la scintilla fondamentale per la ricerca futura in questo campo per rimediare allo stato di amnesia che isola la presenza diasporica africana nella città e nel paese come fenomeno esclusivamente contemporaneo
Gli obiettivi della iniziativa mirano a presentare materiali d’archivio in siti sparsi per la città allargando l’accesso ai risultati per evidenziare le cronologie che sono state spesso omesse dalla memoria locale. Fornire la scintilla fondamentale per la ricerca futura in questo campo per rimediare allo stato di amnesia che isola la presenza diasporica africana nella città e nel paese come fenomeno esclusivamente contemporaneo. Evidenziare la ricerca e i ricercatori che hanno già svolto questo lavoro, producendo testi e materiali per mostre fotografiche come risorse educative. All’interno di questo progetto a Murate Art District si presenteranno due elementi.
Elemento I: Cartoline dalle Colonie
Sala Laura Orvieto
27 novembre 2018 h.17.30
Progetto di Villa Romana in collaborazione con BHMF, MAD Murate Art Districte Cantiere Toscana.
Cartoline dalle Colonie è una raccolta di tre serie di cartoline e una seria di Francobolli delle colonie Italiane in Eritr
Gli obiettivi della iniziativa mirano a presentare materiali d’archivio in siti sparsi per la città allargando l’accesso ai risultati per evidenziare le cronologie che sono state spesso omesse dalla memoria locale. Fornire la scintilla fondamentale per la ricerca futura in questo campo per rimediare allo stato di amnesia che isola la presenza diasporica africana nella città e nel paese come fenomeno esclusivamente contemporaneo. Evidenziare la ricerca e i ricercatori che hanno già svolto questo lavoro, producendo testi e materiali per mostre fotografiche come risorse educative. All’interno di questo progetto a Murate Art District si presenteranno due elementi.
Elemento I: Cartoline dalle Colonie
Sala Laura Orvieto
27 novembre 2018 h.17.30
Progetto di Villa Romana in collaborazione con BHMF, MAD Murate Art Districte Cantiere Toscana.
Cartoline dalle Colonie è una raccolta di tre serie di cartoline e una seria di Francobolli delle colonie Italiane in Eritrea, Etiopia e Somalia che presentano un immaginario della presenza Italiana in Africa Orientale, un laudo alle truppe e un invito ai soldati accompagnato da un testo contestuale di critica che esamina queste colonie dal punto di vista Italiano nel periodo della loro occupazione. Con un testo di Julia Snyder, Sarina Patel, Willa Konsmo
Architettura di paesaggio. Parchi urbani e giardini botanici in Africa
Michele Dantini © 2008
Per Black Archive Alliance Michele Dantini presenta una ricerca radicata in vari archivi internazionali che indaga sui giardini botanici africani, sul loro concezione coloniale e sul loro significato oggi. La storia dei parchi urbani e dei giardini botanici africani si intreccia con le vicende politiche o sociali degli stati, i processi di colonizzazione e decolonizzazione, l’instaurarsi delle nuove nazioni; e in modi alterni con la storia dell’agricoltura e della foresta. Si intreccia soprattutto con una fantasia profondamente inscritta nell’immaginazione coloniale europea, quella di un Eden africano adatto alla caccia e alle emozioni senza tempo, e con le norme, le demarcazioni, i divieti che le hanno dato vita attraverso la creazione di parchi naturali e aree protette, sottratte all’uso delle popolazioni locali.
Elemento II: Preparing a Recovery Plan
Film Screening Curated by BHMF Sala Ketty La Rocca 27Novembre 2018 h.18.00 Progetto di Villa Romana in collaborazione con BHMF, MAD Murate Art Districte Cantiere Toscana.
Preparing a Recovery Plan è un film screening dedicato a un impegno proattivo lungimirante riguardo le complesse narrazioni sulla tradizionale visione “occidentale”. Un lavoro per la rigenerazione e ricalibrazione della attribuzione dei valori. Promuovere la preparazione preventiva per il disastro previsto della cancellazione storica. Il progetto fa parte del progetto Black Archive Alliance. Artisti: Kevin Jerome Everson Alessandra Ferrini Lerato Shadi
Altri Spazi in cui si sviluppa l’iniziativa:
Biblioteca Marucelliana, Via Camillo Cavour, 43, 50129 Florence; 8.30 am – 6.30 pm
Biblioteca Medicea Laurenziana, Piazza San Lorenzo 9, 50123 Florence; 9.30 am -1.30 pm
British Institute of Florence/ Harold Acton Library, Lungarno Guicciardini 9, 50125 Florence; 10 am – 6 pm
Mediateca Toscana, Via San Gallo 25, 50129 Florence; 10 am – 1 pm / 2 – 7 pm
Centro Studi La Pira, Via dei Pescioni 3, 50123 Florence, 9 am – 7 pm
Fondazione Santa Maria Nuova, Piazza Santa Maria Nuova 1, 50122 Florence; 10 am-1 pm / 3 – 7 pm
SACI/ Worthington Library, Palazzo dei Cartelloni, Via Sant Antonio 11, 50123 Florence; 9 am – 9 pm
Syracuse University Florence/ Syracuse Florence Library, Piazza Fra’ Girolamo Savonarola 15, 50132 Florence; 9 am -1.30 pm / 3 – 8 pm
Villa Romana collabora con BHMF e Cantiere Toscana sponsorizzate dalla Regione di Toscana organizzando una serie di mini-mostre basate sugli archivi, collezioni e biblioteche private e pubblici di Firenze con documenti che riflettono le realtà e le storie delle popolazioni Africani, della loro diaspora e la loro rappresentazione.
Questa serie di mostre si apre per tre giorni nell’ultima settimana di novembre creando una mappa virtuale di questa presenza archivistica nella città. Un catalogo risultante intende assistere la ricerca futura fornendo informazioni dettagliate a coloro che visitano la gamma di spazi dislocati in tutta Firenze e oltre con cui siamo in collaborazione.
Visual Artist & Researcher
Alessandra Ferrini è un’artista, ricercatrice ed educatrice con base a Londra. La sua pratica è fondata sul lens-based media nella teoria postcoloniale, negli studi sulla memoria e sulla critica dell’essere bianco, nelle pratiche storiografiche e archivistiche. Sperimentando l’espansione e l’ibridazione del film documentario, interroga le eredità durature del colonialismo e del fascismo con un interesse specifico nella rete di relazioni passate e presenti tra l’Italia, la regione mediterranea e il continente africano.
Ha esposto a livello internazionale, tra cui a: Casablanca Biennal (2021); Manifesta 13 Paralléles du Sud Marseille (2020); Villa Romana (personale 2019); Depo Istanbul Biennal Collaterale (2019); Lagos Biennal (2019); Sharjah Foundation Film Platform (2019); Manifesta 12 Film Programme (2018).
Alessandra Ferrini è un’artista, ricercatrice ed educatrice con base a Londra. La sua pratica è fondata sul lens-based media nella teoria postcoloniale, negli studi sulla memoria e sulla critica dell’essere bianco, nelle pratiche storiografiche e archivistiche. Sperimentando l’espansione e l’ibridazione del film documentario, interroga le eredità durature del colonialismo e del fascismo con un interesse specifico nella rete di relazioni passate e presenti tra l’Italia, la regione mediterranea e il continente africano.
Ha esposto a livello internazionale, tra cui a: Casablanca Biennal (2021); Manifesta 13 Paralléles du Sud Marseille (2020); Villa Romana (personale 2019); Depo Istanbul Biennal Collaterale (2019); Lagos Biennal (2019); Sharjah Foundation Film Platform (2019); Manifesta 12 Film Programme (2018).
Storico dell’arte contemporanea, critico e saggista
Michele Dantini è uno storico dell’arte contemporanea, critico e saggista, insegna all’Università del Piemonte orientale ed è visiting professor presso università nazionali e internazionali. Laureatosi e perfezionatosi (Ph.D.) in storia della filosofia e storia dell’arte presso la Scuola Normale Superiore di Pisa; Eberhard Karls Universität, Tubinga; The Courtauld Institute, Londra; Ludwig-Maximilians-Universität München, collabora con i principali musei di arte contemporanea italiani ed è responsabile del Master MAED al Castello di Rivoli. Scrive di arte contemporanea, politiche culturali e dell’innovazione, tecnologia, Rete e digitale. Tra le pubblicazioni recenti Geopolitiche dell’arte italiana. Arte e critica d’arte nel contesto internazionale (Milano 2012); Arte contemporanea, ecologia e sfera pubblica (Roma 2012); Humanities e innovazione sociale (Milano 2012); Apple cosmica. Come le narrazioni fantascientifiche modellano il design e il marketing della Me
Michele Dantini è uno storico dell’arte contemporanea, critico e saggista, insegna all’Università del Piemonte orientale ed è visiting professor presso università nazionali e internazionali. Laureatosi e perfezionatosi (Ph.D.) in storia della filosofia e storia dell’arte presso la Scuola Normale Superiore di Pisa; Eberhard Karls Universität, Tubinga; The Courtauld Institute, Londra; Ludwig-Maximilians-Universität München, collabora con i principali musei di arte contemporanea italiani ed è responsabile del Master MAED al Castello di Rivoli. Scrive di arte contemporanea, politiche culturali e dell’innovazione, tecnologia, Rete e digitale. Tra le pubblicazioni recenti Geopolitiche dell’arte italiana. Arte e critica d’arte nel contesto internazionale (Milano 2012); Arte contemporanea, ecologia e sfera pubblica (Roma 2012); Humanities e innovazione sociale (Milano 2012); Apple cosmica. Come le narrazioni fantascientifiche modellano il design e il marketing della Mela (Milano 2012); Horses and other herbivores (Bezalel Academy of Art and Design, Jerusalem 2010). Coautore dei manifesti TQ “università e ricerca” e “patrimonio storico-artistico e ambientale”, è interessato ai temi della diversità culturale e del cosmopolitismo postcoloniale. Il suo Diario Namibiano (e/o, Milano 2003), inchiesta sulle trasformazioni delle abilità tradizionali in Africa australe all’ingresso nel mercato globale condotta in collaborazione con la National Gallery di Windhoek, è stato finalista del premio Paola Biocca|Società Italo Calvino nel 2002. Suoi reportage e fieldworks sono stati presentati alla Fondazione Merz, Torino; CCCS Strozzina, Firenze; Centro di arte contemporanea Luigi Pecci, Prato; Centre de la Photographie, Ginevra; MAO, Torino. Collabora a L’Huffington, Alfabeta2, Doppiozero, ROARS, Il giornale dell’arte, il manifesto. Lista degli istituzioni/archivi: Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, Archivio Enrico Romero, Archivio Leonard Bundu/ David Weiss, Archivio Storico Fratelli Alinari, Biblioteca Marucelliana, Biblioteca Medicea Laurenziana, British Institute of Florence/ Harold Acton Library, Cineteca di Firenze, Collezione Palli, Fondazione La Pira, Fondazione Santa Maria Nuova, Gli Uffizi, Kunsthistorisches Institut Florenz, Le Murate Progetti Arte Contemporanea/ MUS.E, New York University Florence/ Villa La Pietra Poste Italiane, SACI/ Worthington Library, Sahara Desert, Syracuse University Florence/ Syracuse Florence Library
Visual Artist
Lerato Shadi lives and works in Berlin. She earned a M.A. (Space Strategies) from Kunsthochschule Berlin Weißensee in 2018 and she received a B.A. (Visual Art) from University of Johannesburg in 2006. From 2010 to 2012 Shadi was a member of the ‘Bag Factory artist studios’ in Johannesburg. Her work was featured at the Dak’art Biennale and in the III Moscow International Biennale in 2012. She is a fellow of Sommerakademie 2013 (Zentrum Paul Klee). Shadi was awarded with the mart stam studio grant, Berlin in 2014 and received the Alumni Dignitas Award of the University of Johannesburg in 2016. She presented her solo show Noka Ya Bokamoso at the South African National Arts Festival in Grahamstown in 2016. Shadi participated in The Parliament of Bodies, the Public Programs of documenta 14 and was awarded with the AFRICA’SOUT! residency program (Brooklyn, NY) in 2017. Shadi is fellow of the German Villa Romana Prize in Florence (Italy) for 2018.
Lerato Shadi lives and works in Berlin. She earned a M.A. (Space Strategies) from Kunsthochschule Berlin Weißensee in 2018 and she received a B.A. (Visual Art) from University of Johannesburg in 2006. From 2010 to 2012 Shadi was a member of the ‘Bag Factory artist studios’ in Johannesburg. Her work was featured at the Dak’art Biennale and in the III Moscow International Biennale in 2012. She is a fellow of Sommerakademie 2013 (Zentrum Paul Klee). Shadi was awarded with the mart stam studio grant, Berlin in 2014 and received the Alumni Dignitas Award of the University of Johannesburg in 2016. She presented her solo show Noka Ya Bokamoso at the South African National Arts Festival in Grahamstown in 2016. Shadi participated in The Parliament of Bodies, the Public Programs of documenta 14 and was awarded with the AFRICA’SOUT! residency program (Brooklyn, NY) in 2017. Shadi is fellow of the German Villa Romana Prize in Florence (Italy) for 2018.
Artist-filmmaker
Kevin Jerome Everson (nato nel 1965) è un artista che lavora nel cinema, nella pittura, nella scultura e nella fotografia. È nato a Mansfield, Ohio e attualmente risiede in Virginia. Ha conseguito un MFA presso la Ohio University e un BFA presso l’Università di Akron, ed è Professore di Arte presso l’Università della Virginia, Charlottesville.
I film di Everson ritraggono spesso persone che lavorano e vivono nelle comunità della classe operaia. Molte delle sue opere si concentrano sulla migrazione di comunità e individui afroamericani dal sud americano verso nord in cerca di lavoro. “Everson rifiuta il ruolo di analista culturale nel suo lavoro, optando invece per una scelta che pone l’onere della comprensione sul pubblico e sul suo stesso lavoro. In questo modo, si è ritagliato un posto al di fuori sia delle aspettative tipiche del documentario che delle convenzioni della finzione rappresentativa, tentando di lavorare dai materiali dei mondi che
Kevin Jerome Everson (nato nel 1965) è un artista che lavora nel cinema, nella pittura, nella scultura e nella fotografia. È nato a Mansfield, Ohio e attualmente risiede in Virginia. Ha conseguito un MFA presso la Ohio University e un BFA presso l’Università di Akron, ed è Professore di Arte presso l’Università della Virginia, Charlottesville.
I film di Everson ritraggono spesso persone che lavorano e vivono nelle comunità della classe operaia. Molte delle sue opere si concentrano sulla migrazione di comunità e individui afroamericani dal sud americano verso nord in cerca di lavoro. “Everson rifiuta il ruolo di analista culturale nel suo lavoro, optando invece per una scelta che pone l’onere della comprensione sul pubblico e sul suo stesso lavoro. In questo modo, si è ritagliato un posto al di fuori sia delle aspettative tipiche del documentario che delle convenzioni della finzione rappresentativa, tentando di lavorare dai materiali dei mondi che incontra per creare qualcosa di diverso.”
Everson impiega spesso riprese manuali e usa il 16 mm per creare molti dei suoi film. Il suo lavoro è stato oggetto di proiezioni retrospettive al Media City Film Festival (2011), Tate Modern (2017), online al Mubi (2018) e Cinéma du Réel al Centre Pompidou (2019)
Everson ha diretto quasi una dozzina di lungometraggi e oltre 100 corti.
I film di Everson sono stati oggetto di retrospettive mid-career al Modern and Contemporary Art Museum, Seoul, Korea (febbraio 2017); Viennale (2014); Visions du Reel, Nyon, Svizzera (2012), The Whitney Museum of American Art, NY e Media City Film Festival (2011) e Centre Pompidou, Parigi nel 2009. Il suo lavoro è stato presentato alla Biennale di Whitney del 2008, 2012 e 2017 , i Media City Film Festival del 2010, 2011, 2013, 2014, 2015, 2016, 2017 e 2018 e la Biennale di Sharjah del 2013.
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Black History Month Florence 2018
Murate Artlab
Mountaintops è stato un laboratorio artistico progettato per bambini della scuola primaria che celebra Martin Luther King Jr. mentre spingeva i partecipanti a sognare oltre ciò che possono vedere e ad aspirare a ciò che appare fuori dalla loro portata. Attingendo al discorso del 1968 in cui King afferma: “Sono stato in cima alla montagna” il laboratorio è stato costituito dall’intreccio di tre attività che sfruttassero il linguaggio dell’installazione scultorea e le caratteristiche della performance. Il workshop prevedeva la creazione di un paesaggio montano a 360 gradi, una serie di montagne topografiche in cima a pali di legno e la creazione di una superficie da arrampicata. Riflettendo sull’eredità di Martin Luther King, i tre elementi hanno esaminato il significato dei sogni e dell’ambizione, l’importanza della leadership e le strategie per superare gli ostacoli.
Fasi del laboratorio artistico. Da dove mi trovo: Si rifletteva sul c
Mountaintops è stato un laboratorio artistico progettato per bambini della scuola primaria che celebra Martin Luther King Jr. mentre spingeva i partecipanti a sognare oltre ciò che possono vedere e ad aspirare a ciò che appare fuori dalla loro portata. Attingendo al discorso del 1968 in cui King afferma: “Sono stato in cima alla montagna” il laboratorio è stato costituito dall’intreccio di tre attività che sfruttassero il linguaggio dell’installazione scultorea e le caratteristiche della performance. Il workshop prevedeva la creazione di un paesaggio montano a 360 gradi, una serie di montagne topografiche in cima a pali di legno e la creazione di una superficie da arrampicata. Riflettendo sull’eredità di Martin Luther King, i tre elementi hanno esaminato il significato dei sogni e dell’ambizione, l’importanza della leadership e le strategie per superare gli ostacoli.
Fasi del laboratorio artistico. Da dove mi trovo: Si rifletteva sul concetto di creare i nostri ostacoli. Il primo elemento del workshop è stato dedicato alla realizzazione di una pittura paesaggistica autoreggente a 360 gradi. Una serie di post indipendenti sosteneva delle cime montuose in cartone ritagliate e dipinte dai partecipanti al workshop. Queste vette sono state attaccate alla cima dei post di supporto mettendo i partecipanti al centro di un piccolo spazio circondato dalle montagne di loro creazione. La vasta gamma di colori ricreava la fresca alba da un lato e il caldo tramonto dall’altro. Ci vuole un villaggio: Esaminando la forma delle mappe topografiche e il potere simbolico dello scettro, quest’opera comportava la fusione di una piccola catena montuosa in gesso che è stata montata sopra un palo di legno per creare un bastone. Solo quando tutti gli scettri sono stati messi insieme, si è creata una catena montuosa. Questo elemento sottolineava l’importanza della leadership e l’importanza simultanea della collaborazione e della comunità. La scalata: L’ultimo elemento del workshop riguardava il superamento degli ostacoli. Implicava l’apposizione di una serie di prese su roccia da arrampicata su una parete in legno a forma di montagna e l’esplorazione della scalata di questa forma. Una serie di prese per l’arrampicata su roccia create dall’artista sono state attaccate alla superficie della montagna, ciascuna posizionata in base alle scelte dei partecipanti. Una volta riuniti i partecipanti hanno provato l’arrampicata su questo muro imparando alcuni trucchi e tecniche di arrampicata su roccia. Il laboratorio è stato condotto da Justin Randolph Thompson, Black History Month Florence, in collaborazione con Utopia Italy, MAD Murate Art District e MUS.E
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Artista
Barthélémy Toguo è nato in Camerun nel 1967 e ha studiato Belle Arti ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Si è trasferito in Europa nel 1993 e ha iniziato a esibirsi e fare performance mentre terminava i suoi studi a Grenoble (Francia), poi a Dusseldorf (Germania).
La geografia politica e i confini personali sono stati un argomento implicito nel suo lavoro in studio e esplicito nelle sue performance. Da un lato, i suoi acquerelli forniscono un forte impatto visivo, utilizzando un repertorio limitato di immagini e colori per rappresentare un mondo onirico di metamorfosi umane, animali e vegetali. D’altra parte, la realizzazione delle sue installazioni su larga scala è generalmente approssimativa e rapida e sottolinea i conflitti, i paradossi e l’estremismo dell’uomo. Le sue installazioni possono essere visti come un’inversione metaforica dello storico saccheggio dell’Africa subita durante il periodo coloniale.
Toguo ha recentemente tenuto una mostra pe
Barthélémy Toguo è nato in Camerun nel 1967 e ha studiato Belle Arti ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Si è trasferito in Europa nel 1993 e ha iniziato a esibirsi e fare performance mentre terminava i suoi studi a Grenoble (Francia), poi a Dusseldorf (Germania).
La geografia politica e i confini personali sono stati un argomento implicito nel suo lavoro in studio e esplicito nelle sue performance. Da un lato, i suoi acquerelli forniscono un forte impatto visivo, utilizzando un repertorio limitato di immagini e colori per rappresentare un mondo onirico di metamorfosi umane, animali e vegetali. D’altra parte, la realizzazione delle sue installazioni su larga scala è generalmente approssimativa e rapida e sottolinea i conflitti, i paradossi e l’estremismo dell’uomo. Le sue installazioni possono essere visti come un’inversione metaforica dello storico saccheggio dell’Africa subita durante il periodo coloniale.
Toguo ha recentemente tenuto una mostra personale, “The Sick Opera”, al Palais de Tokyo di Parigi. La mostra ha incluso il suo lavoro dal 1999 al 2004. Ha esposto in molti altri prestigiosi musei, gallerie e Biennali a livello internazionale come il Bass Museum of Art di Miami, il Centre George Pompidou di Parigi, lo Houston Museum of Art, il Guangdong Museum of Art , Il Museo Migros di Zurigo e il Palazzo Strozzi di Firenze da quattro anni. Test di prova per mostre personali e collettive selezionate.
Barthélémy Toguo
Nell’ambito di un semestre dedicato alla tematica del post coloniale Murate Art District ha prodotto una mostra inedita dal titolo Il viaggio immaginario di Barthélémy Toguo a cura di Janine Gaelle Dieudji e Justin Randolph Thompson, realizzata in collaborazione con Black History Month Florence e Institut Francais Italia.
Il progetto monografico racconta l’attitudine politica dell’artista, che interpreterà un Paese dalla forte volontà di riscatto: l’Africa di Toguo è un’Africa che rifiuta la ghettizzazione dei suoi artisti nel mercato dell’arte globale, e che altresì rifiuta di accettare una lettura coloniale della propria terra: “L’Africa non è una discarica!” gridano opere come Dustbin presentata per la prima volta in Italia.
Nell’ambito di un semestre dedicato alla tematica del post coloniale Murate Art District ha prodotto una mostra inedita dal titolo Il viaggio immaginario di Barthélémy Toguo a cura di Janine Gaelle Dieudji e Justin Randolph Thompson, realizzata in collaborazione con Black History Month Florence e Institut Francais Italia.
Il progetto monografico racconta l’attitudine politica dell’artista, che interpreterà un Paese dalla forte volontà di riscatto: l’Africa di Toguo è un’Africa che rifiuta la ghettizzazione dei suoi artisti nel mercato dell’arte globale, e che altresì rifiuta di accettare una lettura coloniale della propria terra: “L’Africa non è una discarica!” gridano opere come Dustbin presentata per la prima volta in Italia.
Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra 2018
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Artista multidisciplinare
Nirveda Alleck nata nel 1975, Mauritius. Attualmente vive sulle isole Mauritius. Nirveda Alleck è un’artista multidisciplinare che fonde situazioni pubbliche e personali per creare opere che scompongono nozioni psicologiche di tempo, spazio, vita e morte.
Nirveda Alleck nata nel 1975, Mauritius. Attualmente vive sulle isole Mauritius. Nirveda Alleck è un’artista multidisciplinare che fonde situazioni pubbliche e personali per creare opere che scompongono nozioni psicologiche di tempo, spazio, vita e morte.
Artista concettuale
Nathalie Anguezomo Mba Bikoro è un’artista interdisciplinare originaria del Gabon e ora con sede a Berlino, le cui opere sviluppano progetti tra comunità e raccolgono narrazioni fratturate per il cambiamento sociale attraverso identità, memoria, dialogo, storia e multilinguismo. Indaga la creolizzazione delle identità che commentano i sensi fratturati della condizione umana, le sue costruzioni e interroga le narrazioni contro-storiche dei futuri speculativi, dei loro paesaggi e dell’immaginario geopolitico.
Nathalie Anguezomo Mba Bikoro è un’artista interdisciplinare originaria del Gabon e ora con sede a Berlino, le cui opere sviluppano progetti tra comunità e raccolgono narrazioni fratturate per il cambiamento sociale attraverso identità, memoria, dialogo, storia e multilinguismo. Indaga la creolizzazione delle identità che commentano i sensi fratturati della condizione umana, le sue costruzioni e interroga le narrazioni contro-storiche dei futuri speculativi, dei loro paesaggi e dell’immaginario geopolitico.
Fotografa, video artist, performer
Rehema Chachage è nata a Dar es Salaam ed è un’artista visiva che lavora in performance, fotografia, video, suono e installazioni. Ha conseguito una laurea in Belle Arti presso l’Università di Cape Town (2009); e MA Contemporary Art Theory presso Goldsmiths, University of London (2018).
Rehema Chachage è nata a Dar es Salaam ed è un’artista visiva che lavora in performance, fotografia, video, suono e installazioni. Ha conseguito una laurea in Belle Arti presso l’Università di Cape Town (2009); e MA Contemporary Art Theory presso Goldsmiths, University of London (2018).
Video artist, performer, scrittrice
Wanja Kimani è un’artista visiva e scrittrice con sede nel Cambridgeshire, nel Regno Unito. Attraverso film, tessuti e installazioni, il suo lavoro esplora la memoria, i traumi e la fluidità all’interno delle strutture sociali che sono progettate per prendersi cura e proteggere, ma mutano in forze coercitive all’interno della società. Impone elementi della propria vita negli spazi pubblici, creando una narrazione personale in cui è sia autrice che personaggio. Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale. Nel 2018, la sua performance “Expectations” è stata inclusa nella presentazione del Laboratoire Agit’Art durante la Dak’Art Biennale of Contemporary African Art. Nel 2019, ha presentato il suo lavoro ad Art Dubai e come parte di una mostra collettiva “Yesterday is Today’s Memory” all’Espace Commines, Parigi, Francia.
Wanja Kimani è un’artista visiva e scrittrice con sede nel Cambridgeshire, nel Regno Unito. Attraverso film, tessuti e installazioni, il suo lavoro esplora la memoria, i traumi e la fluidità all’interno delle strutture sociali che sono progettate per prendersi cura e proteggere, ma mutano in forze coercitive all’interno della società. Impone elementi della propria vita negli spazi pubblici, creando una narrazione personale in cui è sia autrice che personaggio. Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale. Nel 2018, la sua performance “Expectations” è stata inclusa nella presentazione del Laboratoire Agit’Art durante la Dak’Art Biennale of Contemporary African Art. Nel 2019, ha presentato il suo lavoro ad Art Dubai e come parte di una mostra collettiva “Yesterday is Today’s Memory” all’Espace Commines, Parigi, Francia.
Fotografa, video artist, performer
Michèle Magema, nata a Kinshasa nel 1977, è un’artista di video, performance e fotografia congolese-francese. È nata a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo nel 1977. È emigrata a Parigi, in Francia nel 1984, e attualmente risiede a Nevers.
Michèle Magema, nata a Kinshasa nel 1977, è un’artista di video, performance e fotografia congolese-francese. È nata a Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo nel 1977. È emigrata a Parigi, in Francia nel 1984, e attualmente risiede a Nevers.
Fotografa
Fatima Mazmouz Nata il 2 maggio 1974 a Casablanca, in Marocco, è un fotografo, artista visivo, concettuale. La sua produzione artistica, LES VENTRES DU SILENCE, Pouvoirs et contre Powers, si occupa principalmente delle varie lotte di potere implicite e invisibili radicate nelle nostre società giudaico-cristiane e arabo-musulmane. Il suo lavoro traduce così la storia dell’emancipazione attraverso un profondo impegno per le libertà individuali. Con il progetto Super Oum e The Broken Body, l’artista si inserisce in una lotta femminista in un contesto post-coloniale per una lotta alla discriminazione razziale e per i diritti delle donne (Diritto all’aborto per tutti).
Fatima Mazmouz Nata il 2 maggio 1974 a Casablanca, in Marocco, è un fotografo, artista visivo, concettuale. La sua produzione artistica, LES VENTRES DU SILENCE, Pouvoirs et contre Powers, si occupa principalmente delle varie lotte di potere implicite e invisibili radicate nelle nostre società giudaico-cristiane e arabo-musulmane. Il suo lavoro traduce così la storia dell’emancipazione attraverso un profondo impegno per le libertà individuali. Con il progetto Super Oum e The Broken Body, l’artista si inserisce in una lotta femminista in un contesto post-coloniale per una lotta alla discriminazione razziale e per i diritti delle donne (Diritto all’aborto per tutti).
Fotografa, video artist, performer
Myriam Mihindou è cresciuta in Gabon con madre francese e padre gabonese, prima di andare in esilio in Francia alla fine degli anni ’80. Dopo una laurea in architettura, si iscrive alla scuola di belle arti di Bordeaux. Soffrendo di afasia, un disturbo del linguaggio parlato e scritto, era in quel momento alla ricerca di un mezzo di espressione. Lavorando inizialmente su scultura e forgiatura, Joseph Beuys e Ana Mendieta la incoraggiano a dirigere la sua esplorazione plastica nella natura attraverso azioni ritualizzate con materiali organici (terra, acqua, sole, paraffina, caolino e tè). Si è laureata nel 1993, sviluppando un linguaggio plastico multidisciplinare, lavorando sia nella fotografia che nella performance, video, disegno e scultura. La sua esperienza di viaggi in molti paesi tra cui dal Gabon all’Isola della Riunione, dall’Egitto al Marocco, le sue opere sono state nutrite da questi incontri geografici e culturali. Altamente autobiografica, i suoi proces
Myriam Mihindou è cresciuta in Gabon con madre francese e padre gabonese, prima di andare in esilio in Francia alla fine degli anni ’80. Dopo una laurea in architettura, si iscrive alla scuola di belle arti di Bordeaux. Soffrendo di afasia, un disturbo del linguaggio parlato e scritto, era in quel momento alla ricerca di un mezzo di espressione. Lavorando inizialmente su scultura e forgiatura, Joseph Beuys e Ana Mendieta la incoraggiano a dirigere la sua esplorazione plastica nella natura attraverso azioni ritualizzate con materiali organici (terra, acqua, sole, paraffina, caolino e tè). Si è laureata nel 1993, sviluppando un linguaggio plastico multidisciplinare, lavorando sia nella fotografia che nella performance, video, disegno e scultura. La sua esperienza di viaggi in molti paesi tra cui dal Gabon all’Isola della Riunione, dall’Egitto al Marocco, le sue opere sono state nutrite da questi incontri geografici e culturali. Altamente autobiografica, i suoi processi creativi sondano la memoria, l’identità, i temi sociali, politici e sessuali del corpo.
Sound Artist
Rezaire si definisce “franco-guyano-danese”. È cresciuta a Parigi e lì ha studiato, oltre che a Copenaghen e Londra, dove ha conseguito un master presso il Central Saint Martins College of Art and Design. Ha poi vissuto a Parigi, Mozambico e Johannesburg dal 2014.Nel 2017 è stata accolta in residenza da MeetFactory a Praga , dove ha iniziato a lavorare sul suono.
Rezaire si definisce “franco-guyano-danese”. È cresciuta a Parigi e lì ha studiato, oltre che a Copenaghen e Londra, dove ha conseguito un master presso il Central Saint Martins College of Art and Design. Ha poi vissuto a Parigi, Mozambico e Johannesburg dal 2014.Nel 2017 è stata accolta in residenza da MeetFactory a Praga , dove ha iniziato a lavorare sul suono.
Artista installativo
Nato nel 1970 a Lomé, Togo. Vive e lavora sia ad Aubervilliers che a Lomé.
Clay Apenouvon ha partecipato a laboratori di pittura, arti grafiche e serigrafia in Togo prima di trasferirsi a Parigi dove ha continuato la sua iniziazione con gli artisti Claude Viallat e Mounir Fatmi.
Dopo aver esplorato il cartone come materiale, ha sviluppato il concetto “Plastic Attack” per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla nocività della plastica. Più recentemente con il Film noir de Lampedusa (2015) ha denunciato l’indifferenza dell’Europa di fronte alla tragedia dell’immigrazione clandestina. Ha utilizzato un film estensibile nero per creare un’installazione in situ eccezionalmente potente ed evocativa.
Clay Apenouvon ha esposto i suoi lavori alla 1:54 Contemporary African Art Fair di Londra (2015) e nell’opera collettiva Visibles / Invisibles, l’Afrique urbaine et ses marges alla Fondation Blachère, Francia (2015). Per The Day That Come
Nato nel 1970 a Lomé, Togo. Vive e lavora sia ad Aubervilliers che a Lomé.
Clay Apenouvon ha partecipato a laboratori di pittura, arti grafiche e serigrafia in Togo prima di trasferirsi a Parigi dove ha continuato la sua iniziazione con gli artisti Claude Viallat e Mounir Fatmi.
Dopo aver esplorato il cartone come materiale, ha sviluppato il concetto “Plastic Attack” per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla nocività della plastica. Più recentemente con il Film noir de Lampedusa (2015) ha denunciato l’indifferenza dell’Europa di fronte alla tragedia dell’immigrazione clandestina. Ha utilizzato un film estensibile nero per creare un’installazione in situ eccezionalmente potente ed evocativa.
Clay Apenouvon ha esposto i suoi lavori alla 1:54 Contemporary African Art Fair di Londra (2015) e nell’opera collettiva Visibles / Invisibles, l’Afrique urbaine et ses marges alla Fondation Blachère, Francia (2015). Per The Day That Comes, creerà un’opera originale in situ.
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Black History Month Florence 2017
Ispirato al Black History Month celebrato negli Stati Uniti e nel Regno Unito, l’evento fiorentino mette in risalto i contributi culturali della diaspora africana che hanno influenzato la cultura popolare Italiana.
Conferenze, proiezioni di film, letture di libri, mostre d’arte, eventi enogastronomici, concerti e spettacoli ricordano i più importanti passaggi della storia africana ponendola in relazione con il panorama contemporaneo fiorentino.
All’interno di questa iniziativa si inserisce la XV edizione della rassegna Videozoom curata da Antonella Pisilli che quest’anno presenta opere di 8 video artiste africane dal titolo “Africana womanism” e l’installazione “Film noir per Lampedusa” di Clay Apenouvon.
Videozoom: Africana Womanism è un progetto video “work in progress”: in mostra opere di video-arte contemporanea, presentate tenendo conto delle specificità culturali delle diverse realtà del mondo. Il progetto vuole proporre una visione nuova della do
Ispirato al Black History Month celebrato negli Stati Uniti e nel Regno Unito, l’evento fiorentino mette in risalto i contributi culturali della diaspora africana che hanno influenzato la cultura popolare Italiana.
Conferenze, proiezioni di film, letture di libri, mostre d’arte, eventi enogastronomici, concerti e spettacoli ricordano i più importanti passaggi della storia africana ponendola in relazione con il panorama contemporaneo fiorentino.
All’interno di questa iniziativa si inserisce la XV edizione della rassegna Videozoom curata da Antonella Pisilli che quest’anno presenta opere di 8 video artiste africane dal titolo “Africana womanism” e l’installazione “Film noir per Lampedusa” di Clay Apenouvon.
Videozoom: Africana Womanism è un progetto video “work in progress”: in mostra opere di video-arte contemporanea, presentate tenendo conto delle specificità culturali delle diverse realtà del mondo. Il progetto vuole proporre una visione nuova della donna africana attraverso l’occhio dell’artista; Africana Womanism, nello specifico, porta alla ribalta il ruolo di madri africane come leader nella lotta per ritrovare, ricostruire e creare un’integrità culturale che abbraccia gli antichi principi di reciprocità, equilibrio, armonia, giustizia, verità e ordine.
Fanno parte delle artiste di Africana Womanism: Nirdeva Alleck (Mauritius), Nathalie Mba Bikoro (Gabon), Rehema Chachage (Tanzania), Wanja Kimani (Kenia), Michèle Magema (RDC), Fatima Mazmouz (Marocco), Myriam Mihindou (Gabon), Tabita Rezaire (Francia-Guyana/Danese)
Film noir per Lampedusa, di Clay Apenouvon (Togo), interpreta una Lampedusa contemporanea, luogo di migrazioni; attraverso un’installazione site-specific, realizzata dall’artista per Murate Art District, si esplora la capacità dei materiali di essere supporto fisico e medium artistico per trasmettere il messaggio socio-politico dell’artista.
Non nuovo a questo tipo ti incursioni artistiche, Clay Apenouvon lavora con materiali plastici di colore nero, che evocano la liquida vischiosità del petrolio.
I due progetti sono stati inaugurati venerdì 3 febbraio 2017 alle ore 17.30 presso MAD Murate Art District.
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Artista e Direttore Black History Month Florence | Residenza d'artista e Mostra
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